A Avanti, avanti senza sosta - Intervista a Laura Agnusdei

Avanti, avanti senza sosta - Intervista a Laura Agnusdei

Non ancora trent'anni, un curriculum di grande prestigio, un futuro splendente davanti a sé. Laura Agnusdei è tra le giovani musiciste migliori che l'Italia, anche quella espatriata, possa al momento vantare. L'occasione per parlare un po' del recente esordio lungo “Laurisilva” (da noi positivamente recensito) è, in verità, un pretesto per discutere anche di altro: spunti tecnici, crescita personale, questioni di genere. Spoiler alert: nessuna risposta è banale. Parola all'interessata.

1) Sotto il ponte che collega i quattro brani di “Night/Lights” al concept strutturato di “Laurisilva” è passato un oceano: un diploma di master all’Institute of Sonology de L’Aia, un’attività concertistica piuttosto sostenuta, un altro disco dei Julie’s Haircut (“In The Silence Electric”) e una nuova sonorizzazione per The Last Command. Mi viene inevitabile chiederti se e come tutte queste esperienze abbiano inciso, a livello formale e funzionale, sulla scrittura del disco e sulla tua personale evoluzione come musicista e strumentista.

Certamente questi ultimi due anni sono stati piuttosto intensi e al tuo riassunto potrei aggiungere altri progetti ed esperienze che, magari, sono state meno “sotto i riflettori”, ma ugualmente formative. Ogni tipo di esperienza ovviamente contribuisce alla tua crescita  ma quello che penso sia servito di più è stata la possibilità di aver tempo a disposizione per riflettere e sperimentare su quale voleva essere la mia sfera d'azione. Per questo il disco ha anche un titolo così autoreferenziale (un'autoreferenzialità, spero, più giocosa che presuntuosa), perché è il frutto di un percorso alla ricerca di una propria identità sonora. In questo percorso è stato fondamentale il mio master a Sonology e l'immenso supporto e gli stimoli ricevuti dai miei professori e amici durante i miei studi. La cosa particolare, però, è che di fatto i sei pezzi del disco sono un risultato “indiretto” di tutto ciò, durante il mio percorso accademico ho presentato e scritto la mia tesi riguardo a delle altre composizioni. Nel comporre il disco mi sono lasciata invece più libera dalle intellettualizzazioni, seguendo un approccio più instintivo, quasi fosse la mia “zona franca” dove non dovevo dimostrare niente a nessuno, ma solo divertirmi.

2) Di “Laurisilva”, personalmente parlando, ho molto apprezzato non solo le composizioni in sé, ma anche il lavoro concettuale che vi sta dietro, certi esperimenti di scrittura a collage (come “Shaky Situation”) che ripropongono, aggiornandolo alla contemporaneità, quel dialogo elettroacustico tra componenti sonore proprio di certa folktronica d’inizio millennio. Ti va di spiegare un po’, a livello teorico, come hai lavorato sul disco?

Sul disco non c'è stato un approccio teorico a priori, l'unico vago obbiettivo che mi sono posta fin dall'inizio è stato quello che ci fosse più ritmo rispetto alle mie composizioni precedenti, di mettermi più alla prova riguardo alla struttura dei brani. Certamente il tipo di studio che ho portato avanti in questi anni è stato anche teorico e nel disco riecheggiano tanti degli spunti che ho raccolto nella mia tesi di laurea (incentrata sulla definizione dell'uso del timbro nella composizione elettroacustica), ma diciamola così: “Laurisilva” è un più una pianta selvatica che un prodotto da orto. “Shaky Situation” è emblematica riguardo a ricerca del ritmo e di nuove forme. È, inoltre, un pezzo che difficilmente assoceresti al mio disco precedente, anche perché mostra un'ironia che di sicuro non è sconosciuta a chi mi frequenta, ma più raramente emerge nella mia musica. Per il disco inoltre volevo sicuramente utilizzare altri strumenti a fiato oltre il sax, sfruttandoli sia a livello timbrico, tramite l'uso delle tecniche estese, sia inserendo parti “a sezione”, per aggiungere spessore a certe melodie e ricreare un'idea di interplay in cui il sax non fosse sempre l'unico protagonista. È stato solo a disco finito però che ho individuato i patterns ricorrenti tra i vari brani e pensato che la metafora dell'ecosistema poteva descriverne bene l'insieme. La presenza di quelli che io chiamo i bubble sounds evocano l'idea di un ambiente umido e in costante gorgoglio e mutamento. Il modo con cui i vari suoni sono spesso organizzati sovrapponendo vari layers può richiamare l'idea di un groviglio di piante ed animali, ognuno avente la sua traiettoria ma comunque interconnessi coerentemente tra loro. L'album dunque non è inspirato alla reale “Laurisilva”, il riferimento al nome non va preso alla lettera, ma si tratta di una foresta immaginaria, un ecosistema musicale personale.

3) Hai recentemente portato “Laurisilva” dal vivo con la formazione al completo. Che esperienza è stata e che tipo di lavoro ha richiesto? Quali le maggiori differenze rispetto al suonare coi Julie’s Haircut, oggi, o coi Sex With Giallone, ieri?

È stata la coronazione di un desiderio! Ancora sorrido quando penso che alla fine l'ho fatto davvero e che lo rifaremo presto! Il disco nella sua interezza può essere (e sarà) suonato solo così. C'è stato dietro un lavoro di riarrangiamento ovviamente, ma in generale la resa è piuttosto fedele all'album e sono molto felice di aver trovato degli ottimi musicisti che hanno lavorato con entusiasmo e dedizione. Fondamentale è stato aver con me Elisabeth Lusche (tromba) e Giacomo Bertocchi (clarinetto, flauto, sax alto) che già hanno suonato sul disco. Daniele Fabris (synths ed elettronica) è un mio collaboratore ormai da qualche anno e avendo masterizzato l'album e seguito da amico consigliere anche la composizione era il candidato ideale per darmi una mano a trovare le migliori soluzioni per la resa del live. Edoardo Grisogani (drum pads e percussioni), invece, è stato scelto perchè si muove bene tra le timbriche più world/exotica delle varie tracce. In poco tempo siamo riusciti a creare una bella intesa umana e musicale, gestendo bene sia gli spazi improvvisativi che le strutture prefissate. Sono molto soddisfatta, le possibilità di una formazione del genere sono infinite e non vedo l'ora di sperimentarle ancora di più. Per me è un'esperienza nuova, completamente diversa da quella nei Julie's e nei SWG, perché qui essendo l'unica autrice sono io che devo indicare la direzione da prendere. Tuttavia non considero la band come un insieme di semplici turnisti, come ho specificato ognuno di loro è stato scelto per delle qualità specifiche, e uno dei miei obbiettivi è valorizzarle al massimo.

4) Percepisco, sia nella tua proposta da solista che in organico coi Julie’s Haircut, una chiara aura cinematografica che circonda il tuo approccio allo strumento. Hai mai pensato, aldilà delle esperienze di sonorizzazione con la band, di scrivere una colonna sonora di tuo pugno? E quali sono i registi coi quali ti piacerebbe lavorare?

Ho fatto molti lavori A/V negli ultimi due anni, non solo con i Julie's, ma anche con il mio trio Kykyokyo, da sola e con altri improvvisatori, principalmente si è trattato di sonorizzazioni di film muti, ma non solo. Proprio quest'anno mi è stato anche chiesto di ricomporre la colonna sonora di un cortometraggio di animazione preso dagli archivi di RE:VIVE, una realtà olandese con cui ho collaborato molto nel 2019. In qualche modo questo lavoro è la cosa più simile ad una colonna sonora che abbia mai fatto, il corto è stato presentato al Dekmantel Festival di Amsterdam insieme ad altri lavori analoghi e verrà pubblicato anche su vinile dall'etichetta del festival nel 2020. Hai ragione, la mia musica ha una certa qualità cinematografica, quel che invidio al cinema è la possibilità di creare ambientazioni, piccoli mondi alternativi che lo spettatore può attraversare. Penso che questo aspetto e una certa vocazione “narrativa” siano riscontrabili nel mio lavoro. Mi piacerebbe davvero continuare a lavorare in questo ambito, anche perché imparo sempre tantissimo e trovo molto stimolante contribuire alla resa emotiva di un'immagine. Un giorno mi piacerebbe collaborare con Lorenzo Pullega, un mio amico regista dalle influenze felliniane, autore di due corti, Calandrino e Gli Arcidiavoli, che ovviamente vi consiglio.

5) La tua amica e collega Caterina Barbieri, la scorsa estate, è stata suo malgrado al centro di una polemica sollevata da un pezzo poco felice apparso sul Resto del Carlino. Un po’ mi avvilisce porti questa domanda alle soglie del 2020 ma, dalla tua prospettiva, come e quanto le questioni di genere influenzano ancora la percezione e la diffusione di una particolare proposta artistica? Come si può lavorare efficacemente sui gender biases in un ambiente, come quello musicale, che dovrebbe essere particolarmente sensibile e ricettivo nei confronti della questione?

Da un lato vorrei davvero trovare ogni tanto questo tipo di domanda nelle interviste di qualche mio collega maschio eterosessuale. Perché, se è un problema dell'ambiente musicale, beh, avranno anche loro qualcosa da dire, no? Di fatto costituiscono la maggioranza numerica del suddetto ambiente. Sotto un altro punto di vista, però, capisco che ci si aspetti una risposta soprattutto da chi appartiene alla minoranza, perchè si pensa a valorizzarne la specificità del suo punto di vista. Detto ciò, rispetto alle 'cadute di stile' di certa stampa, mi trovo d'accordo con le linee guida suggerite da questo post di shesaidso.italy. A volte sarebbe davvero semplice non scrivere cazzate, e invece c'è chi ancora ci riesce! Ma almeno la disparità di genere è diventata argomento comune di dibattito. Aspettiamo con fiducia che ci si accorga più avanti di quanto ci siano altre disparità e ghettizazzioni ancora più pesanti: problemi di classe in primis. A tal proposito ho trovato illuminante questo articolo di Chefare, che discute il problema prendendo, ad esempio, il mondo dell'editoria, ma il discorso è facilmente trasportabile anche nell'ambito musicale. Ultimamente mi preme più questo discorso, perché mi porto dentro la consapevolezza, con un misto di senso di colpa e amarezza, che non potrei aver fatto il percorso che ho fatto senza l'aiuto economico ed emotivo della mia famiglia di estrazione borghese e penso che, di fatto, stiamo creando un ambiente creativo riservato solo a una certe classe sociale. In un'Italia dove ancora ti chiedono “Bello, suoni, ma che lavoro fai?” chi è davvero che può concedersi il lusso anche solo di provarci, a fare il musicista? E allora, a guardar bene, non è poi solo (ma anche) il contributo delle donne che manca al nostro ambiente in fondo, questo discorso andrebbe ampliato in chiave intersezionale per arrivare a un radicale cambiamento.

6) La chiusura che quelli bravi facevano una volta: ci puoi accennare ai tuoi progetti futuri?

Nel 2020 spero possa uscire il disco che stiamo preparando con Daniele Fabris (in arte LEDEN), la nostra collaborazione in duo va avanti dal 2017 ed è ora di condividere qualcosa con il mondo. A fine gennaio sarò invece fare una residenza ai Worm Studios di Rotterdam, e dopo qualche concerto in Olanda e Belgio, il mio tour in solo continua con qualche data in Italia, mentre con la formazione a band stiamo programmando un tour italiano per la prossima primavera/estate.

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