A Blur - Optimus Primavera Sound 2013,Oporto

Blur - Optimus Primavera Sound 2013,Oporto

Ricordate il mio racconto del concerto di chiusura delle Olimpiadi londinesi dello scorso agosto? Una delle ultime immagini dei Blur ad Hyde Park, è quella di Albarn, che sulle sinuose note di “The Universal” guarda il pubblico e lascia trasparire dal viso una commozione evidente. Ultimo concerto?  Mi sbagliavo di grosso…I Blur avrebbero annunciato poco tempo dopo un nuovo tour mondiale.

In una fredda giornata di ottobre prendo il mio biglietto per la data del Primavera Sound di Oporto, assieme alla mia consorte (da sempre discepola del clan Gallagher) non troppo entusiasta dell’idea.

Ben sette mesi dopo arriva il grande giorno: l’orario d’inizio dell’esibizione della band britannica è fissato a l’una e venticinque di notte, e decido di arrivare a Parque da Cidade intorno alle 21:30. L’attesa si fa snervante, il tempo non passa mai, ma visti i quattro diversi palchi montati attorno al parco, ho modo di godermi altre band come Swans, Grizzly Bear e il dj producer Four Tet. Quest’ultimo ha avuto l’arduo compito di fare da cerniera tra l’esibizione degli orsi e dei Blur, e la qualità del suo show è stata davvero altissima: un’ora di raffinatissima elettronica, in grado di far muovere anche chi del genere mastica molto poco.

Scocca l’una e mezza, ci siamo! Dalle casse parte “Theme from retro”, traccia scelta come intro, e i nostri quattro salgono sul palco tra le urla dei presenti (stimati in 20.000 circa). La partenza è di quelle da cardiopalma: il magnifico giro di basso di Alex James in “Girls And Boys” carica subito l’atmosfera, e tutto il parco si trova a saltare senza sosta mentre intona il famoso ritornello scioglilingua. Come annunciato dal gruppo, la scaletta di questo tour è un karaoke delle grandi hits, senza addentrarsi in territori più sperimentali e magari meno apprezzati dai fan dell’ultim’ora (davvero molti). Arriva quindi il turno di “Popscene”, e mentre il buon Coxon (vestito con un’orribile giacca) inizia a rotolarsi per terra, il suo fido amico Damon decide di sparargli nell’orecchio il suono del megafono preso come suo solito. Alright! Ci troviamo davanti ad un’esecuzione senza sosta di grandi successi: “There’s No Other Way” anticipa il ripetuto e massacrante accordo di chitarra di “Beetlebum” che vede un Coxon in grande spolvero, e con “Out of time” diamo il via alla prima di altre intense ballate. Il pezzo della giornata è sicuramente “Trimm Trabb”, eseguita in maniera magistrale: il repentino cambio di marcia delle chitarre è entusiasmante, e i deliri di Albarn sul microfono caricano la canzone di un’aura quasi mistica, e lo capisco anche dagli occhi sbarrati della mia ragazza. Fantastico. La successiva “Caramel”, diventata un must nella setlist del gruppo dopo i concerti britannici del 2012, è probabilmente l’unico momento di relax di un concerto in cui le corde vocali sono messe a dura prova. Ma non c’è tempo di respirare che subito arriva il momento di Graham: “Coffe And Tv” è come sempre uno dei pezzi preferiti dal pubblico, e anche Damon è felicissimo nel suonarla, ma la scena è tutta per il timido e istrionico chitarrista. Siamo ormai a metà concerto, e dopo tre quarti d’ora di esibizione la voglia di cantare non è per niente sazia, così i nostri decidono di accontentarci con la sempre splendida “Tender”, ed è sicuramente inutile parlare del boato che accompagna il ritornello…

Le gioiose trombe di “Country House” e il riff killer di “Parklife” (orfana questa volta della presenza storica di Phil Daniels) ci catapultano ai tempi della Band Battle del 1995, ormai ampiamente conclusa ma mai dimenticata. Un’impeccabile “End Of A century” anticipa “This Is A Low”, dedicata ai portoghesi che non vedevano i Blur da ormai dieci anni. Conclusa la canzone, la band saluta momentaneamente il palco per prendersi una rapidissima pausa prima del gran finale. E che finale: la romantica “Under The Westway” viene accompagnata dalla scenografia sul palco che ritrae la famosa strada amata tanto dal gruppo, ed è impossibile non ritenere la canzone uno dei migliori pezzi della band.

Come detto poco prima, le corde vocali sono messe a durissima prova, e lo splendido singalong di “For Tomorrow” rende la situazione ancora più critica. Manca pochissimo alla fine dello show, e gli archi di “The Universal” sono un segnale forte e chiaro: abbracci, lacrime e urla tirate fuori con tutto il cuore rendono questo immenso classico degli anni ‘90 un cocktail di trascinanti e indescrivibili emozioni che si susseguono, e che mi rendono fiero di essere un “seguace” di una band del genere. “Yes it really could happen” si canta, e infatti sta succedendo davvero! Molti credono che lo show sia terminato qui, e vedo più di qualcuno iniziare una lenta risalita verso l’uscita, ma l’incessante batteria di Dave Rowntree fa intendere che non è ancora compiuto l’ultimo atto: “Song 2” diventa ancora più devastante di quella ascoltata e vissuta ad Hyde Park, e “Whohoo” è l’ultimo grande grido di libertà di una notte indimenticabile.

Obrigado Blur, Até breve!

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