A Cello Suites, nei venti del nulla con Spoerli e Bach alla Scala

Cello Suites, nei venti del nulla con Spoerli e Bach alla Scala

Prova Generale di "Cello Suites - In den Winden im Nichts", Milano, Teatro alla Scala, 3 marzo 2015

Torna Heinz Spoerli al Piermarini, dopo le coreografie dell’”Europa riconosciuta” del 2004, sotto la regia di Ronconi e Pizzi, e lo fa con un lavoro precedente, risalente al 2003 ma ancora del tutto attuale: le coreografie in due parti per le suite per violoncello solo di J. S. Bach.

Il balletto che andrà in scena dal 5 marzo alla Scala è “Cello Suites - In den Winden im Nichts”, balletto sulle suite n. 2, 3 e 6, ispirato, secondo le intenzioni e indicazioni di Spoerli, all’elemento naturale dell’aria. Al violoncello si alterneranno i primi violoncellisti dell’Orchestra del Teatro alla Scala, Massimo Polidori e Sandro Laffranchini, mentre calcheranno il palco i ballerini del Corpo di Ballo scaligero in figure d’assolo, a due, a tre e d’insieme.

Non è la prima volta che la danza moderna si cimenta in coreografie non narrative, e non è la prima volta che Spoerli affronta la musica virtuosa di Bach. In effetti, le suite sono componimenti basati su motivi e forme della danza popolare (allemande, correnti, sarabande, minuetti, bourrée, gavotte, gighe), ma è altrettanto indubbio che non per la danza furono scritte dal sommo compositore tedesco: si tratta dunque di sperimentare forme nuove, ma non inedite, di convivenza e compenetrazione tra musica e movimento, emozioni sonore e visive, spazio e tempo.

Spoerli sembra affrontare questa enorme sfida con sorprendente facilità. Fa spogliare il palcoscenico di ogni scenografia, affidando alla regia di Cavero un lavoro essenzialmente di luci e colori: una grande circonferenza metallica che sprigiona fumi e luci sul fondo del palco squadrato, quasi a ripetere l’antico schema cerchio-quadrato, l’uno simbolo ancestrale degli elementi leggeri (aria e fuoco), l’altro degli elementi pesanti (terra, acqua). Ed è a partire dalle filosofie fisiche che Spoerli vuole rendere visive le suite di Bach.

La sua è una danza di movimenti del vocabolario classico, accademico, sempre molto aderente alle linee musicali ma del tutto formale, persino a tratti astratta e sperimentale. Una lettura pop del balletto concertante, si potrebbe dire.

Del resto l’intenzione più volte dichiarata dallo stesso Spoerli è di rendere visiva la musica, di avvicinare lo spettatore tanto alla danza quanto alla musica, in questo caso di Bach. Non ci deve stupire dunque il susseguirsi di passi “d’école” con passi “free style”, in dialogo continuo con l’effetto generale, organico, complessivo del gioco di movenze e di sonorità. In questo, dichiara Spoerli, non è necessario avvalersi dei migliori ballerini, come ebbe occasione di fare con Bolle e Ferri nell’”Europa riconosciuta”, ma occorre invece individuare le precise attitudini dei singoli artisti e dispiegarle al meglio nella coreografia più appropriata.

Delle tre Suites Heinz Spoerli ha solo in parte recuperato le interpretazioni tradizionali, ereditate dalla storica lezione del violoncellista catalano Pau Casals. Il coreografo svizzero ha preferito riattualizzare a suo modo le vene espressive che è riuscito sapientemente a catturare.

Il palco pare come una grande nuvola, con proiezioni oniriche su tutta la scena. I movimenti musicali sono scanditi da evoluzioni cromatiche, i costumi sono perlopiù sobri corpetti e culottes in velluto opaco, non ci sono suggestioni che determinano epoca e luogo dell’azione. Di fatto, non esiste un’azione vera e propria.

La suite n. 2 appare come una vera e propria ouverture dell’intero balletto. L’ambiente è terso e cristallino, un cielo azzurro quasi soprannaturale. Le citazioni colte non mancano, come cenni di esercizio alla sbarra, gestualità moderne e veri e propri virtuosismi. Aderenza e contrasto tra musica e danza fanno da trait d’union nel gioco dialettico della poetica spoerliana, cui del resto fa il paio, con qualche secolo di differenza, quella bachiana del contrappunto: l’armonia di geometrie solo apparentemente indipendenti, come simmetrie più o meno complesse.

Se pareva annullarsi la forma umana in luogo di simbolici riferimenti animaleschi, i ballerini che si erano appena trasformati in volatili sinuosi rientrano in silenzio, tra la suite n. 2 e la n. 3, nella veste di dervisci rotanti con lunghi gonnelloni svolazzanti in un’atmosfera annebbiata da rossi fumi infuocati.

La seconda suite del balletto è un continuo alternarsi di caldo e freddo. Allegri e adagi, tempi binari e ternari, movenze sinuose e meccaniche. Se le coreografie di gruppo hanno dinamiche saltellanti, di una religiosità festosa, quelle di coppa, dei passi a due e a tre, parrebbero alludere a giochi di seduzione e inseguimento. I ballerini sono quasi chiamati a riverberare gli abbellimenti, i ritornelli e le ripetizioni tematiche della partitura: ciò che ne scaturisce è una giustapposizione di scene d’insieme e scene più intime, la cui trama spetta allo spettatore svolgere.

Tra la suite n. 3 e la n. 6 tornano i ballerini in gonnellone. L’atmosfera è però fin da subito decisamente più leggera, femminile, con fasci di luce chiara proiettati sul palcoscenico. I ballerini e le ballerine sono come stormi geometricamente schierati, la cui linearità è rotta dai movimenti, apparentemente disordinati, di gambe e braccia. La coreografia, che rincorre la musica galoppante, è ancora una volta un gioco di passi d’insieme e passi d’assolo, a due e a tre. Lo spettatore può tornare a convincersi che i ballerini non siano altro che ambigui uccelli che si sfidano, si rincorrono e si seducono? Forse sì, tanto più quando dall’azzurro del cielo si passa al verde dei prati, proprio secondo la tradizionale interpretazione bucolica della suite n. 6. La metamorfosi ovidiana pare compiuta: gli animali si trasformano ora in organismi vegetali, smossi al vento.

Ma i movimenti finali, dei veri e propri ballabili, ci riportano alla dimensione umana. Il gioco di coppia e d’insieme approfitta della musicalità frizzante delle due gavotte, finché l’ultima ripresa ci porta alla giga finale, che chiude la parentesi su questo balletto, con l’insieme dei ballerini in ritirata su uno sfondo di luci in dissolvenza.

Se a Zurigo Spoerli doveva accontentarsi di un teatro laboratorio, alla Scala si è potuto avvalere di un palcoscenico molto più grande. In questa dilatazione degli spazi, che certamente rendono più ariosi i movimenti, è però ancor più indispensabile la precisione, la sincronia e la perfezione dei singoli ballerini. Le imprecisioni ci sono state, soprattutto nei passi d’insieme, e hanno rischiato di infrangere le corrispondenze studiate tra danza e musica. Oltre a ciò, la scommessa di Spoerli non è facile a vincersi nemmeno con le migliori étoiles, e il rischio di passare dalla circolarità alla ripetitività è enorme: il grande pubblico milanese non è detto sia pronto a “vedere Bach” e non è detto che sia compiuta la sperimentazione dello stesso Spoerli.

La prova generale d’insieme ha visto sulla pedana del violoncello il maestro Polidori. L’interpretazione che il primo violoncellista della Scala ha dato di queste tre suite è stata senza dubbio espressiva e sentimentale: la sonorità piena, decisa, calda, sostenuta da una tecnica di prim’ordine. Dunque non un’esecuzione filologica, da camera, ma al contrario già disposta alla danza, quasi a voler far vibrare i ballerini sulle corde del violoncello stesso. Uno strumento che Bach ha selezionato contro le convenzioni dell’epoca, che lo volevano relegato alle parti d’accompagnamento e di basso continuo, e che nelle sei suite si deve invece cimentare in soli dalla straordinaria espressività. I salti di registro dai bassi agli acuti, gli arpeggi, i colpi d’arco e i virtuosismi sprigionano da questo strumento gran parte delle sue potenzialità, che Massimo Polidori ha voluto sottolineare e risaltare.

Il sovrintendente del Teatro alla Scala Pereira ha dichiarato alla stampa di voler rinnovare per i prossimi anni altri e nuovi sperimenti di connubio tra musica da camera e balletto. Intanto, il prossimo balletto del cartellone, è il più classico e romantico in repertorio: "Giselle".

In Cello Suites si metteranno alla prova i ballerini Nicoletta Manni, Claudio Coviello, Antonino Sutera, Mick Zeni, Vittoria Valerio, Virna Toppi, Marco Agostino, Antonina Chapkina, Denise Gazzo, Alessandra Vassallo, Timofej Andrijashenko, Nicola Del Freo, Angelo Greco, Walter Madau, Lusymay Di Stefano e Christian Fagetti.

Articolo di Marco Nebuloni per Fermata Spettacolo

Per approfondire: http://www.fermataspettacolo.it/danza/cello-suites-nei-venti-del-nulla-con-spoerli-e-bach-alla-scala

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