A Cube Festival - Un report semiserio.

Cube Festival - Un report semiserio.

Gallipoli 13-14 agosto 2009.

Le città mostrano sempre la loro vera faccia. Sulle strade, nelle piazze, nei locali e nei negozi. Sui volti dei turisti. Gallipoli è decisamente la città della movida, degli aperitivi, della disco fino all’alba, del cocktail compulsivo. Gallipoli è impreparata a un evento rock quasi quanto io sono impreparato a tornare a Gallipoli.

Ecco perché, imbottigliato nell’orda di cabriolet strombazzanti e vigliacche fuoriserie col cambio automatico, bestemmio. Non esiste un cartello che indichi Parco Gondar, tutte le strade sembrano portare al luminosissimo corso, tra fighetti impomatati e troiette da asporto, strizzati in pochi metri cubi d’aria (mi si perdoni la calma con cui affronto l’argomento, ormai la mente è fredda e la lingua poco affilata).

Dopo un paio d’ore in questo bell’ambientino metropolitano, un paio d’ore in cui ascolto tutta la “musica giusta”, che non è decisamente quella per cui ero partito, e in cui respiro CO2 in quantità sufficiente a morire, giungo nei pressi dello stadio, all’agognato parcheggio, e comincio a rilassarmi: finalmente mi godrò il mio concerto. Milioni di gruppi spalla in scaletta, sono le undici, i miei Marlene Kuntz, fragoroso amore giovanile, saliranno sul palco tra una mezzora. Voci di corridoio li davano addirittura per l’una, una birra tra amici, un po’ di sano dondolio e l’attesa è presto ripagata. Tutto questo nella mia testa.

E invece NO.

Chiudo lo sportello e da quella pineta laggiù parte un attacco inconfondibile: lo schitarrare grasso di Sonica, in assoluto la mia canzone preferita dei cuneesi. Quello che successe nel fatidico tragitto dalla macchina all’entrata resterà per sempre negli annali dei miei amici e della mia ragazza (suo malgrado), sotto la lettera G alla voce Gran Signore Della Blasfemia, ma nessun uomo sano di mente vi tramanderà ciò che accadde nel momento in cui si chiuse Sonica e quasi senza pausa s’insinuò timida la batteria dell’incipit di Nuotando Nell’Aria. Furia, fiamme, fuoco nella mia bocca.

Sono dentro. Non ho la più pallida idea di quanti e quali pezzi la band abbia già suonato, e non voglio saperlo, giuro. Trovo Cristiano Godano in forma, fisicamente intendo, l’ultima volta era quasi cadavere, stasera ha colorito, è paffuto, sorride, ma è lui? Si è lui. Mi dona un senso di benessere, la mia ragazza mi abbraccia dopo avermi maledetto. Sto bene ora. Anche se saccheggiano Che Cosa Vedi, un album che non ho mai amato fino in fondo, i pezzi riarrangiati, più asciutti, ci guadagnano in incisività e così Canzone di Oggi e Primo Maggio graffiano come devono senza troppi fronzoli, Cara è la Fine si infuoca con selvaggio tambureggiare, mentre La Canzone Che Scrivo Per Te resta più o meno uguale, visto l’intervento (previsto) dell’osannata Skin che ricama calcolati vocalizzi mentre si spupazza il nuovo Godano, poco dannato e più sexy ora che ha tagliato i capelli. Meno wall of sound e più psichedelia caratterizza le lunghe code improvvisate proposte su quasi tutti i pezzi, che suonano nuovi, diversi, il che mi rende godibile il concerto oltre ogni aspettativa. Questo è quello che mi aspetto da un live, pago per la destrutturazione, la ricerca, non voglio un greatest hits di brani che già conosco a memoria. Grandi canzoni come Ineluttabile e la cover di Impressioni di Settembre, e piccole nuove gemme meno conosciute come Canzone Ecologica e Bellezza,  mi restituiscono ghignante soddisfazione, ma l’ho già detto, ogni paese mostra sempre la sua vera faccia, e il pubblico gradisce poco, è freddino, poco numeroso, e per lo più si fa i cazzi propri. Grazie anche alla vergognosa amplificazione, nei brani meno tirati mi ritrovo a dovermi spostare davanti alle casse per non ascoltare i discorsi dei miei vicini, tanto interessati da dare le spalle al palco. Scoprirò poi con disgusto che la serata sarebbe proseguita con vari dj set (tra cui quello di Skin e quello un po’ più “suonato” dei comunque boriosi Motel Connection), per i quali il volume verrà alzato oltre il limite umano… chi non gradiva i Marlene Kuntz poteva entrare dopo la mezzanotte a ben tre euro in meno (all’uscita c’era la coda, fate voi). Anche la band sembra avvertire vibrazioni negative, e quando abbandona il palco quasi nessuno li reclama per il bis. Per tutta risposta Godano e soci tornano on stage e annientano gli astanti con una tellurica versione di Ape Regina che mi procura moti scomposti di eccitazione, dopodichè salutano sorridenti e vanno via. Gente di un certo spessore. Vado via anch’io dopo una birra e un ascolto distratto dei Motel Connection di Samuel e soci, mentre fuori c’è la ressa per entrare.

Il giorno seguente, vigilia di Ferragosto, mi faccio furbo: abbandono le quattro ruote e mi affido alla mia vecchia motoretta, scelta più che azzeccata. Già alle nove e mezza i paganti sono il doppio rispetto al giorno prima, è Morgan ad aprire la serata. Che dire di quest’uomo. Suona cinque o sei pezzi in più di due ore, questo vi indica quanta masturbazione si sia concesso nelle sperimentali cieche divagazioni su ciascuno di essi. Però paradossalmente mi è appena appena simpatico, anche alle prese con computer, armonica a bocca, improbabili ricerche di un fantomatico rumore artistico, come un Piero Manzoni della musica, ma ubriaco, senza ironia, e molto poco trasversale. Fondamentalmente le canzoni non sono male - il pubblico per la maggior parte non le conosce, a parte la più famosa Altrove - ma alla lunga lo spettacolo offerto è estenuante e un pelo soporifero.

Dopo la mezzanotte salgono sul palco gli Afterhours, Manuel Agnelli, elegante camicia rossa e stempiatura d’ordinanza, è accolto come il messia da un pubblico adorante che, capovolgendo le impressioni della sera prima, un tantino mi nausea. L’attacco è affidato all’ultima Il Paese è Reale, seguita dalla solita bellissima Male di Miele, che Agnelli introduce affermando che pensavano di smettere di proporla, ma poi l’hanno sentita risuonare alla Diaz di Genova e hanno cambiato idea. Ruffiano, ma ci sta se sei una superstar. La scaletta (non me ne va bene una) attinge a piene mani dagli ultimi quattro album, ignorando bellamente Germi dal quale mi sarei aspettato quantomeno Giovane Coglione… Scherzi a parte, ho appuntato l’intera scaletta, ma mi limito a citarvi Milano Circonvallazione Esterna, L’Estate, Sulle Labbra, brani che eseguono più di rado. Molto da Ballate Per Piccole Iene, moltissimo dall’ultimo I Milanesi Ammazzano Il Sabato (che preferisco al precedente) anche se hanno deciso di depennare la mia favorita Naufragio Sull’Isola Del Tesoro, il giusto da Quello Che Non C’è e Non è Per Sempre. Da Hai Paura Del Buio? in scaletta resterà insuperato, una spanna sopra tutto, il memorabile trittico 1.9.9.6., Lasciami Leccare L’Adrenalina, Dea, che mi sveglia violentemente dal torpore. Non è vero che sono esigente, non cerco il pelo nell’uovo, però era il ventesimo concerto degli Afterhours cui assistevo, e non è stato certo il loro migliore. Come dicevo qui sopra da qualche parte, non a caso, le riproposizioni stantie mi annoiano, e non mi accontento di pagare il biglietto solo per “vedere” una band che non mi stuzzica con qualcosa di diverso da quanto ho già consumato su disco… Altro discorso, oltre che per il trittico succitato, per la cover della pacifista Shipbuilding di Elvis Costello, “una canzone che molti attribuiscono a Robert Wyatt. Non so perché vi racconto questa storia, sarà che alla tenera età di 42 anni sono diventato frocio e comunista", e per l’altra cover proposta in apertura di bis, una lunga trasposizione della folkeggiante Suite: Judy Blue Eyes di Crosby Stills & Nash, divertita e divertente. Nel mezzo c’è spazio sul palco per Amerigo Verardi e Marco Ancona che propongono la loro Mano Nella Mano tratta dalla compilation Il Paese è Reale, che non entusiasma ma si fa ascoltare con piacere. La parte migliore del live risiede senza dubbio nel finale: dopo la classicissima e sempre emozionante Voglio Una Pelle Splendida, il pubblico è piuttosto provato ma viene rinfrancato all’istante dal deflagare di una bomba di nome Bye Bye Bombay, sicuramente la miglior versione che abbia ascoltato dal vivo, e congedato con una lacerante Ci Sono Molti Modi, che merita finalmente la standing ovation. Agnelli ringrazia più volte con emozione sincera, e fine delle danze.

Il computo delle due serate è presto fatto: i Marlene Kuntz, a prescindere dalla qualità delle composizioni, al Cube Festival stracciano gli Afterhours, per improvvisazione, tecnica, e soprattutto sangue. Morgan macchietta sopra le righe, pollice verso per tutto il resto. Per gli insulti, sapete dove trovarmi. Naturalmente, non a Gallipoli, il paese irreale.

C Commenti

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target alle 15:56 del 30 agosto 2009 ha scritto:

Godibilissmo Daniele: gran ritratto dell'italia rock estiva (laddove ce n'è una).

Roberto Maniglio alle 1:45 del 31 agosto 2009 ha scritto:

Complimenti, Daniele. La nostra terra, il Salento, l'estate (ma anche l'inverno, visto che ora mi ci ritrovo tutto l'anno) è uno specchio fedele di tutto il peggiore costume italiano. Senza divagare, anche la musica (e il rock!?!) nostrana proposta in queste sedi è così (mediocre?). Come dire? Alternativo alla moda? Alternativo per dire o sembrare di essere alternativo? Avevo visto i cartelloni pubblicitari, ma non ci sono voluto andare. Morgan? Manuel Agnelli? Mancavano Paolo Bonolis e la Ventura e si poteva fare Sanremo. Ho preferito ascoltare i miei amici suonare fuori ad un bar con un pubblico di quattro gatti e una tennent's gelata. Non credo di essere alternativo o indie, perchè altrimenti lo è pure il vecchietto seduto al tavolo accanto al mio che faceva il solitario con le carte. Comunque, grazie per la testimonianza.

Marco_Biasio alle 13:23 del 31 agosto 2009 ha scritto:

Con Manuel Agnelli ci ho fatto due chiacchiere ad inizio luglio, ma non mi pareva stempiato, anzi (o forse sì?). Comunque concordo che di rock, qui in Italia, ce n'è bisogno. Anche se tutto sommato Morgan mi sta simpatico e Marlene ed Afterhours dal vivo sono una garanzia (ma per quanto tempo ancora?). Bella Daniele!

bargeld, autore, alle 20:35 del primo settembre 2009 ha scritto:

@marco: forse la stempiatura me la sono immaginata! ah ah! scherzo giuro che l'ho vista ma non giuro di aver visto giusto.

bargeld, autore, alle 20:36 del primo settembre 2009 ha scritto:

a tutti: grazie dell'apprezzamento.