A Dei cambiamenti Saporiti - Dialogo con un cantautore (perennemente) controcorrente

Dei cambiamenti Saporiti - Dialogo con un cantautore (perennemente) controcorrente

Siete impazziti per gli esordi di Colapesce e Dimartino? Credete che Dente sia il nuovo Battisti, Le Luci Della Centrale Elettrica il nuovo Rino Gaetano e Brunori SAS un tizio simpatico? Non riuscite a non trattenere l'espressione vacua di sorpresa se qualcuno si prova a citarvi Alessandro Fiori o Marco Parente? Potete tranquillamente abbandonare questo articolo, e dedicarvi ad altro.  A tutti gli altri, profani e non, interesserà invece conoscere più da vicino il percorso unico, ed originalissimo, del milanese Paolo Saporiti, talentuoso cantautore da poco arrivato al suo quinto, omonimo disco. Perché frequentare personaggi discoli come Xabier Iriondo e Cristiano Calcagnile può portare a sbandate, positive, mica da ridere. Siete curiosi di sapere come si fa a costruire due dischi in uno, a suonare come un bardo nella morsa di una tempesta, a progettare una dilatazione di non ritorno?  Ecco a voi le parole, i sentimenti, le impressioni del diretto interessato.

1) Ciao Paolo, anzitutto benvenuto su Storiadellamusica.it e complimenti per il disco, davvero notevole. Per questo tuo quinto, omonimo full length si rinnova la tua collaborazione con Xabier Iriondo, già presente - a livello di arrangiamenti - nel precedente "L'Ultimo Ricatto". Da cosa siete partiti, questa volta, per lavorare sui pezzi del disco?

Ciao, quello che scrivi mi fa molto piacere. Grazie. Sono molto contento del lavoro fatto e, non ti nascondo, colpito dalle reazioni favorevoli che le persone mi stanno regalando.  È davvero emozionante. “Paolo Saporiti” in qualche modo, nasce dove e come era finito il disco che lo ha preceduto. Ero arrivato a un determinato punto del percorso ed era necessario provare a fare qualche passo più in là, non a virare. Così ho chiesto a Xabier di allargare i confini de “L’Ultimo Ricatto”, aderendo maggiormente alle emozioni presenti nelle canzoni, andando così a incontrare e a coadiuvare in qualche modo o a venire incontro, anziché tagliare o ridurre sempre e a ogni costo. Nessuno voleva un disco facile o pop e il mio pensiero di fondo è stato questo: se con l’italiano mi avvicino alle persone, voglio trovare, negli arrangiamenti, gli strumenti e il modo per ridistribuire e creare nuovi equilibri. E così è andata. Credo che l’organicità del disco dipenda e risieda in questo e, inevitabilmente, nel fatto che tutti capiscono maggiormente quello che dico. Tutto appare più coerente.

2) La domanda è banale, ma necessaria: quanto è difficile suonare questo set dal vivo? Ti devi portare dietro tutti i musicisti, o spogli completamente i pezzi? 

Faccio un po’ tutto quello che dici. In realtà questo è un argomento spinoso in questi giorni, ma solo per questioni logistico/organizzative e di booking, visto che non ho agenzia. Per come funzionano i miei live, purtroppo, non riesco ancora a fare quel salto di qualità nel reperire date di un livello tale da potermi permettere veramente di portare tutto quello che vorrei sul palco (un quartetto o un quintetto) ma già facciamo l’impossibile. Ora come ora, ad esempio, il live è costituito da un trio in cui compaiono contrabbasso (Luca Pissavini) e bouzouki, cumbus, dobro, bow-glamà, percussioni (Roberto Zanisi), le mie chitarre, banjo, pedali vari, insomma... il set è diverso dal disco, perché amo che sia così, ma anche per forza di cose. Vorrei tanto potermi permettere Cristiano Calcagnile sempre sul palco con noi, o Xabier Iriondo, e ricostruire il suono del disco, ma non calpesto palchi abbastanza importanti per potermi permettere tanto. Quello che spero veramente è che qualcosa cambi prima o poi e che possa un giorno essere riconosciuto il valore delle cose che facciamo, delle scelte e della fatica, l’enorme passione che ci guida.

3) Nel complesso mondo del cantautorato italiano si grida alla rivoluzione copernicana non appena si svia dal tracciante voce - chitarra acustica. Gli arrangiamenti di questo disco sono quanto di più eterodosso si potesse scrivere. Nascono prima loro o prima le linee melodiche dei brani?

Nasce tutto e sempre dalla mia chitarra, poi viene la voce e una volta che le canzoni sono pronte, il vestito può variare a piacimento, almeno dal mio punto di vista. Per questo i miei brani reggono chitarra e voce, perché così sono nati. Per alcuni dovrebbero rimanere tali ma diciamo che ognuno la vede talmente in maniera diversa che io vado serenamente per la mia strada, mettendoci tutto quello che mi piace e chiedendo aiuto a chi meglio mi può dare quello che serve.

4) "L'Ultimo Ricatto" era un bel lavoro, ma a tratti un po' scentrato, un po' eccessivo. Questo s/t spinge ancora più in là i limiti dello sperimentalismo applicato al songwriting, ma ne esce più compatto. Ha aiutato la scelta di giocare in casa sull'impervio terreno linguistico?

Come dicevo prima, credo che l’italiano abbia permesso a tutti di entrare di più nel merito delle canzoni e di giocare maggiormente con quello che avevamo in mano, di dilatare ognuno i propri spazi e cercare tra le tante soluzioni possibili. La consapevolezza di essere capiti responsabilizza e libera allo stesso tempo, è una cosa magica e naturale. Questa è una delle differenze enormi che trovo oggi anche nel cantare dal vivo i brani del disco.

5) Come fai a suonare con Cristiano Calcagnile? Voglio dire, il rischio è quello di disorientare gli ascoltatori... Ti piacerebbe sperimentare forme/ canzone più libere e dilatate, ancora più jazzate in senso buckleyano?

Guarda, il live con Cristiano è una delle cose migliori e più coerenti che io abbia fatto nella mia vita, come questo disco, anche se questa è una considerazione che dedicherei a tanti momenti vissuti, alla fine dei conti. È tutto un crescendo in generale, fino a ora, forse perché ho toccato punti estremamente bassi, ma credo valga un po’ per tutti. Se ci muoviamo verso il profondo, si continua a crescere e, anche quando sembra andare tutto a rotoli, arriva un momento in cui si raccoglie, inevitabilmente. In realtà, il duo con Cristiano è il set più vicino e coerente con le sonorità del disco. Il trio di cui parlavo prima, produce un vero e proprio riarrangiamento del disco e altrettanto vale per i singoli duetti a disposizione perché amo ricreare e rivivere ogni volta, col musicista di turno, l’aspetto della creazione. Mi piacerebbe molto iniziare un concerto e chiuderlo senza pause e per questo lavorare sulle singole sezioni strumentali tra un brano e l’altro ma mi domando se abbia davvero senso in un mondo di canzoni che vorrei comunque rimanesse tale. Vedremo. È una cosa su cui stiamo ragionando e lavorando.

6) Adoro il fatto che rimani sempre riconoscibile, nonostante le metamorfosi e gli esperimenti. In tal senso, "In Un Mondo Migliore" è perfetta ed esemplare. Ma non cominci ad avvertire una lotta interiore tra la tua parte più intima e quella più anarchica?

Lotta perenne questa, fino alla fine, che mi caratterizza anche come uomo. Quello che sento ora però è che la sicurezza di avere musicisti così bravi e preparati al mio fianco e che fanno per me quello che stavo cercando di fare io da solo, ma molto meglio, mi permette di tornare un poco indietro di qualche passo e concentrarmi ancora di più sui contenuti, sull’utilizzo della mia voce e delle scelte che faccio. Cosa che vorrei fare fino all’infinito. 

7) E ora, dove si va? Cosa c'è dopo questo self titled?

Eh...  vai a saperlo. In realtà non so neanche se vorrei saperlo. Sono per il “Lasciamo che succeda...”, citando il mio EP “Just Let It Happen...” di qualche anno fa. Non sono cambiato al riguardo, la vedo allo stesso modo: sarà la mia pancia a decidere e io sto a guardare, tanto è molto ben addestrata. Ci ho messo degli anni ma ora ho la certezza di saper seguire quello che sento nel profondo e insomma, dipenderà da quello che sentirò al momento.

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