A Dimmi cosa leggi, ti dirò che ascolti

Dimmi cosa leggi, ti dirò che ascolti

Che la carta stampata attraversi uno dei momenti più brutti della sua storia, probabilmente il peggiore, quello che a breve, secondo alcuni, le darà il colpo di grazia definitivo, ce ne siamo accorti un po’ tutti. Le vendite di quotidiani e riviste sono sempre meno consistenti e molto probabilmente, senza gli amati-odiati contributi pubblici all’editoria, in edicola ne troveremmo molti, ma molti, di meno. La carta stampata che si occupa di musica non fa certo eccezione. Di questa e della sua convivenza, più o meno pacifica, con le innumerevoli varianti on-line, vogliamo oggi occuparci.

 

L’avvento di internet e il conseguente ingolfarsi dello stesso con miriadi di siti che trattano l’argomento musica, con particolare riferimento alle nuove uscite discografiche, agli approfondimenti, ai classici del passato e altro ancora, ha portato inesorabilmente il pubblico dei musicofagi a prestare sempre più attenzione alle riviste online (le c.d.  “webzine”, termine come noto derivato dall’adattamento del termine “fanzine”, come un tempo si usava chiamare le riviste specializzate di musica). Questo per due motivi principali:  il primo è che le webzine sono gratuite. A parte il costo della connessione, che ormai credo rientri nei beni del paniere ISTAT (se non lo è già, presto lo sarà sicuramente) tutto è libero, immediato e, soprattutto, niente va a finire nel garage del nonno, sotto mille altre cose, per cui diventa impossibile ritrovare un bellissimo articolo che è stato scritto magari 5 anni prima, ma che probabilmente mai più rileggerò. Nelle webzine tutto è lì, per sempre, ed è in continuo aggiornamento. Il secondo motivo è che le riviste cartacee sono arrivate ad essere vendute a prezzi davvero considerevoli, specie se pensiamo che i maggiori fruitori di musica hanno un età che difficilmente va oltre i 30 anni, quindi: giovani squattrinati, perlopiù.

 

Chi scrive, onde fugare qualsiasi ombra di dubbio su possibili faziosità sull’argomento, da sempre è legato morbosamente alla carta stampata specializzata, alternando le testate a seconda dell’umore, delle persone che ci scrivono o degli artisti in vetrina in quel determinato numero. Nonostante negli ultimissimi anni mi sia avvicinato alle webzine, nazionali ed internazionali, arrivando pure, come vedete, a collaborarne attivamente, la lettura delle riviste cartacee non ne ha risentito affatto. Anzi, è decisamente aumentata.

 

Ma perché dovremmo continuare a leggere le riviste in edicola e non lasciarle morire, come sembrerebbe stia purtroppo accadendo, rivolgendosi esclusivamente a quello che si trova in rete? Ha ancora senso spendere l’equivalente di una pizza ed una minerale al mese per procurarsi l’ultimo numero di una delle poche fanzine di nicchia rimaste nelle selezionate edicole che le vendono? C’è davvero tutta questa differenza nel rivolgersi unicamente verso l’una piuttosto che l’altra via? Per intenderci, non credo di avere una risposta certa ed assoluta, ho però sicuramente una mia idea che a questo punto vorrei condividere.

 

Per arrivare a scrivere un articolo, una recensione, una notizia, un report di un live, ci deve essere un input esterno. Una volta questi input seguivano pochi e delimitati canali. Gli uffici stampa delle case discografiche telefonavano o inviavano fax (poi e-mail) alle redazioni dei giornali, informando delle varie cose in cantiere, cui poi seguiva, nel caso delle nuove uscite discografiche, spesso in contestuale abbinamento, il prodotto fisico in anteprima, in modo da poterne ascoltare prima di tutti  per poi parlarne al popolo dei lettori. Oggi questo meccanismo si è immensamente dilatato e per molti versi è totalmente fuori controllo. Ciò sia perché ci sono molte più uscite discografiche di quanto accadeva 15 anni fa (contrariamente a quello che la crisi del mercato lascerebbe pensare) sia perché ci sono molte più persone che, con diversi livelli di professionalità, parlano di musica, molte volte della stessa musica.

 

I difensori della carta stampata, in buona parte a dire il vero, le stesse persone che poi ci scrivono e con ciò magari ci campano, rivendicano una maggiore professionalità e un rigore nello scrivere, che l’asserita amatorialità delle webzine inevitabilmente non ha. Chiunque può scrivere per una webzine, dove la maggior parte delle persone che collaborano neanche si conoscono tra loro, essendo sufficiente il più delle volte uno scritto di prova ai responsabili per essere presi a bordo.

I difensori delle webzine, oltre all’innegabile e impari vantaggio economico nella fruizione dei contenuti, sostengono la praticità, la completezza e la velocità che una rivista cartacea non potrà mai avere tra i suoi punti di forza.

 

Facciamo un esempio, molto pratico, molto attuale. I My Bloody Valentine (ma un caso simile è l’uscita dell’ultimo LP di David Bowie) sono tornati quest’anno, a sorpresa, a quasi 22 anni di distanza dal loro ultimo LP. La notizia del ritorno è stata data dallo stesso Shields,  via Facebook, e l’album è stato rilasciato, pochi giorni dopo, (almeno all’inizio) unicamente via internet, con accesso al nuovo materiale garantito a chiunque (giornalisti, webzinari, semplici ascoltatori, per la band non faceva differenza). La notizia ha colto di sorpresa tutti, compreso il sottoscritto. Ma mentre le redazioni dei giornali “classici” hanno potuto prendersi tutto il tempo che volevano, tanto prima del prossimo numero, magari in gran parte già ultimato, non avrebbero potuto comunicare nulla, il mondo delle webzine è letteralmente impazzito in una corsa frenetica a chi forniva le indicazioni migliori, nel minor tempo possibile.

 

Quando la notizia è poi apparsa sui giornali, quei giornali, la sensazione, almeno da parte mia, è stata quella di assistere ad un clamoroso, anche se inevitabile, ritardo nel dare la notizia. Come se si arrivasse a parlare di un argomento bomba con un ritardo tale che forse sarebbe stato preferibile non parlarne affatto, tanto è nel frattempo calata l’aspettativa nei potenziali interessati. Tutti sapevano già tutto, a parte il punto di vista di quel giornalista.  Come se Repubblica o Il Corriere della Sera, tanto per intenderci, dessero la notizia di un terremoto a dieci giorni di distanza dall’accaduto. Certo, darebbero la notizia in modo impeccabile e professionale, ma a chi interesserebbe più se i quotidiani on-line mi hanno avvertito quando la terra ancora tremava? E’ un esempio estremo e non rende giustizia del comunque innegabile valore qualitativo che le riviste specializzate spesso portano con se, con il loro bagaglio di esperienza e professionalità, ma può servire a dare un’idea di come vanno le cose e di come i lettori orientino oggi le proprie scelte.

 

Non è sempre così però (almeno per il momento, per il futuro chissà). La stragrande maggioranza delle nuove uscite discografiche segue ancora il canale classico della promozione a mezzo stampa. Ma anche qui, il mondo delle webzine sembra avere una marcia in più. Lo stesso comunicato stampa, inclusivo della premiere del disco, viene inviato a tutti indistintamente, redazioni di webzine e di riviste cartacee, o direttamente a chi si vuole che poi ne scriva. Tutti sanno tutto, quindi, o quasi. Le riviste cartacee presenti da anni sulla scena hanno una rete di collegamenti onnicomprensiva dove quasi nulla sfugge. Le webzine, a poco a poco, soprattutto le più solide e consolidate (ne conterei in tal senso almeno 4/5 in Italia) ci stanno lentamente arrivando. Quando anche questo gap sarà colmato, probabilmente l’unico altro punto a favore delle riviste cartacee sarà la “professionalità”.

 

Ma anche su questo, a parer mio, occorrerebbe spendere due parole. Se per professionalità s’intende, scrivere di musica per professione, arrivando a farne il proprio mestiere, giustamente  retribuito, allora si, la professionalità c’è solo nelle testate che si trovano in edicola. Pochi, pochissimi, riescono a guadagnare qualcosa scrivendo sulle webzine.  Sicuramente non i collaboratori, che scrivono per passione e diletto. Se per professionalità s’intende invece la scrupolosità e l’accuratezza del lavoro, giustificata da un bagaglio di esperienza nella scrittura e nell’ascolto della musica, devo dire che tanta professionalità, sempre crescente, la si ritrova anche nelle webzine. Anzi, è fenomeno sempre più frequente negli ultimi tempi vedere collaboratori tradizionalmente legati a riviste storiche che instaurano collaborazioni con prestigiose webzine.

Ciò significa principalmente una cosa. Il mondo sta andando in una direzione precisa e non sembra intenzionato a cambiar strada. O gli schemi tradizionali vengono aggiornati, senza che ciò significhi necessariamente far scomparire il vecchio sistema legato alla carta, oppure il futuro sarà solo ed esclusivamente una questione di web. Che è si completo, estremamente vasto e decisamente democratico, ma senza chiari, riconosciuti e riconoscibili punti di riferimento, rischia di ingenerare un disorientamento nella testa e nelle orecchie degli ascoltatori,  specie nel mare magnum delle produzioni contemporanee. I setacci della qualità vera sono dunque davvero vitali se non si vuole rischiare di mandare in fumo la voglia di scoprire e ascoltare della buona musica. Ma il tempo stringe e le webzine, quelle più importanti, anno dopo anno acquisiscono sempre più un  ruolo determinante anche per questa auspicata funzione di scoperta e setaccio della qualità.

 

La convivenza è quindi possibile ed auspicabile, tutto sta alla lungimiranza, all’intelligenza e all’umiltà delle tante persone valide che orbitano attorno a questo magico ma a volte brutale mondo. Io personalmente, me lo auguro.

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redbar alle 23:10 del 12 aprile 2013 ha scritto:

Sono d'accordo su molte delle considerazioni fatte. Cresciuto a Mucchio e Rockerilla, di cui ho la classica cantina piena, oggi per l'informazione uso blog e magazine on line. Il Mucchio continuo a leggerlo in PDF per articoli di approfondimento non solo musicali e per un vecchio affetto. Stessa storia per il jazz, ricco di fonti informative in rete e con le riviste che rincorrono, ma fino ad oggi una funzione continuano a svolgerla. Sull'accesso alla scrittura il web e' decisamente un universo migliore, ma è' difficile fare paragoni fra una passione ed un mestiere. Che poi in chi scrive per mestiere ci sia anche la prima e' tutto da dimostrare.

FrancescoB alle 11:37 del 13 aprile 2013 ha scritto:

Bell'articolo, che mi sento di condividere praticamente in toto.

Franz Bungaro, autore, alle 9:23 del 15 aprile 2013 ha scritto:

Grazie Julian, sono contento ti sia piaciuto . L'argomento mi sta molto a cuore perchè sento che sto vivendo sulla mia pelle un cambiamento che è destinato a cambiare le mie abitudini (giornaletto al bar con cappuccino e muffin)...spero che la carta resista, anche perchè quando ti cade una goccia di cappuccino sul giornale, dici "pazienza"...quando ti cade sull'ipad, smadonni di brutto...

Redbar, sono d'accordo su quello che dici...anche se alle versioni in pdf non mi ci riesco ad affezionare...se devo pagare, faccio un piccolo sforzo in più e porto il giornale con me...cmq sia, le abitudini cambieranno, ma il fascino di un giornale, come quello di un disco in vinile, sono indiscutibili per chi ama la musica, per chi ama rallentare, fermarsi un attimo e ripetere gesti lenti ma necessari perchè si possa assaporare il vero succo della musica.

Marco_Biasio alle 9:41 del 15 aprile 2013 ha scritto:

Bravo Franz, anch'io condivido moltissimo di quanto scritto, soprattutto l'annosa tenzone della "professionalità"... Ho smesso di comprare Rumore e per i voti altissimi dati a pioggia in ogni numero, e per le enormi carenze linguistiche e grammaticali di cui soffrivano molti collaboratori. Inutile dire che non tutto il mondo è Blatto (o Pomini, o Stefano Bianchi, o il fu Enver ecc ecc).

Franz Bungaro, autore, alle 17:23 del 15 aprile 2013 ha scritto:

Grazie Marco...credo che presto il bubbone esploderà (è di ieri sera la notizia che anche Federico Guglielmi lascia il Mucchio, e sono 3 grandi firme che abbandonano nel giro di 3 numeri)...ed il web prenderà le redini di tutto...non ci crederai ma ho notato la stessa cosa io...di solito compro il Mucchio, ma mi capita pure Rumore (pure altri a dire il vero)...sarà un caso ma in quest'ultimo ho sempre trovato una marea di errori, spesso piccoli, semplici refusi, ma visti sulla carta stampata sono proprio brutti...