A Franco Battiato @ Auditorium della Conciliazione di Roma (20-02-13)

Franco Battiato @ Auditorium della Conciliazione di Roma (20-02-13)

Mi ritrovo per la seconda volta all’Auditorium della Conciliazione, splendida location alle porte di un’illuminata S.Pietro, per rivedere Franco Battiato, dopo il concerto dell’anno scorso sempre qui e successivamente al Foro Italico assieme alla Filarmonica Toscanini. La prima di quattro date romane consecutive già sold out da tempo.

Dopo aver preso il mio posto numerato nella seconda balconata, mi rendo conto (non che fosse una novità, intendiamoci) che l’età media del pubblico presente è discretamente alta, e la presenza di giovani è davvero ridotta.

L’onore di aprire il concerto è concesso a Giovanni Caccamo, giovane cantautore messo sotto l’ala protettrice del Maestro catanese, che propone quattro canzoni del suo album solista.

Scoccano le 21:30 e finalmente le luci si spengono. Eccolo. Uno scrosciante applauso accoglie Battiato, seduto su un elegante tappeto persiano (che ricorda molto il famosissimo live di Baghdad) che canta “Un irresistibile richiamo”. Viene eseguito l’album per intero (esclusa “Apriti Sesamo”), a mio avviso sintomo di sicurezza di qualità del proprio prodotto musicale: si passa dall’autobiografica “Quand’ero giovane”, al primo singolo estratto “Passacaglia”, passando per “Testamento” e “Caliti Junku”.

L’atmosfera presente nella sala gremita in ogni ordine di posto è davvero suggestiva, e a tratti surreale: il silenzio è totale, smorzato solo dai sentiti applausi alla fine di ogni traccia. Addirittura, dopo “Il serpente”, Battiato “sgrida” il pubblico per aver applaudito alla fine della canzone e aver rovinato uno splendido silenzio.

Subito dopo aver completato tutti i pezzi dell’album, il cantautore inizia a ripescare canzoni della sua immensa e dispersiva discografia, presentando una scaletta che non è minimamente cambiata rispetto alla prima data bergamasca del tour.

Dopo “L’ombra della luce”, viene eseguita “Danza”, un brano tratto da “Telesio”,opera commissionata dal comune di Cosenza: uno splendido pezzo di musica classica, accompagnato dalle immagini proiettate sullo schermo alle spalla dell’artista di tre ballerini che si muovono con movimenti eleganti e leggiadri.

Arriva il turno di “Lode all’inviolato”, purtroppo unico pezzo live estratto dal bellissimo album “Cafè de la Paix” (e fonte di tristezza per me, che adoro la title track).

Voglio fare anche un meritatissimo applauso ai tecnici delle luci, che sono stati capaci di creare atmosfere magnifiche grazie al gioco di fari che hanno illuminato il palco. Dopo la sempre splendida “Prospettiva Nevskij”, arriva una delle mie canzoni preferite: “Mesopotamia”. La canzone, versione leggermente modificata di “Che cosa resterà di me” scritta per Gianni Morandi, diverte il pubblico anche per il video sullo schermo, che rappresenta un giovane Battiato alle prese con un buffo balletto improvvisato in un giardino.

Nomadi” viene anticipata da “Il mantello e la spiga”, estratta dal capolavoro “Gommalacca”, che affascina per il connubio tra elettronica, rock e classica, con la voce del Maestro filtrata dal microfono.

Passata un’ora abbondante di concerto, arriva finalmente il momento dei grandi successi: è una rapida carrellata di “La stagione dell’amore”, “La cura” cantata da ogni presente in sala, “E ti vengo a cercare”. Subito dopo le fantastiche “Bandiera bianca” e “Up patriots to arms” dimostrano come il Maestro già negli anni ’80 ci aveva visto lungo, ripresentando canzoni e testi quanto mai attuali, e che lo saranno ancora per molti anni.

Arriva il momento più emozionante, e personalmente parlando, il desiderio musicale di una vita: il medley elettronico. Ebbene si, dopo anni di assenza, Battiato ripropone tre pezzi della sua fantastica carriera sperimentale degli anni ’70, mettendo nuovamente mano al sintetizzatore che tanto lustro gli ha dato soprattutto all’estero. A tal proposito, prima di eseguire le tre tracce, il cantautore racconta un esilarante aneddoto che gli capitò durante il tour con i Velvet Underground (orfani di Lou Reed): dopo la strana richiesta di “farina” da parte di Nico, vedendo la stessa struccarsi in camerino Battiato esclamò “Cazzo ma questa ha 50 anni!” credendo che la cantante non capisse. Si sbagliava di grosso, visto che Nico aveva vissuto per ben due anni nel Bel Paese. Detto ciò il concerto raggiunge quindi il suo apice: “Da Oriente a Occidente/Aria di rivoluzione/Propriedad prohibida”, una favolosa esplosione di sintetizzatori e bassi, unita ai testi psichedelici e angoscianti dell’artista. Il pubblico reagisce stranamente a tutto ciò, diviso tra quelli in visibilio, e chi invece si trova spiazzato da un certo tipo di musica, preferendo magari ascoltare subito il prossimo pezzo pop. Personalmente è stato qualcosa di fantastico, credo sia una di quelle esperienze da poter raccontare ai figli, una splendida e irrepetibile opportunità di rivivere le atmosfere che tanto lustro hanno dato all’Italia nel panorama avanguardistico e sperimentale europeo. Sapevate che nel 1971 Battiato fu il primo a dotarsi di un VCS3, sintetizzatore analogico, assieme ai Pink Floyd?

Dopo le solite “Voglio vederti danzare” e “L’era del cinghiale bianco”, si va verso la chiusura. La presentazione completa della band mi lascia una bella sorpresa: alla chitarra è presente Simon Tong, ex chitarrista dei Verve e dei The Good, The Bad & The Queen assieme al frontman dei Blur Damon Albarn. Sapevo della sua partecipazione alla registrazione dell’album, ma non che fosse presente anche nelle esibizioni live.

Mancano ormai solo due pezzi. E invece no. Costantemente richiamato da una parte del pubblico, arrivato come da copione sotto palco e definito scherzosamente dal cantante “rompipalle”, Battiato viene quasi obbligato a eseguire “Stranizza d’amuri” (che personalmente destesto, ma vabè). Accontentati.

Dopo aver ringraziato la classe politica italiana per avergli dato ispirazione nel comporre il pezzo, arriva “Inneres Auge”, che vede il solito boato della sala dopo l’invettiva molto attuale che recita : “Uno dice che male c'è a organizzare feste private con delle belle ragazze, per allietare primari e servitori dello stato? Non ci siamo capiti, e perché mai dovremmo pagare anche gli extra a dei rincoglioniti?”. Novanta minuti di applausi, avrebbe esclamato Fantozzi.

Siamo arrivati all’atto conclusivo: “Cuccuruccucu” chiude il concerto, con un pubblico a mio avviso decisamente sottotono. Intendiamoci, non mi aspettavo certamente il pogo, ma un po’ più di entusiasmo sicuramente si.

Finisce così un concerto splendido e svolto in una cornice altrettanto splendida, grazie alla classe infinita di un artista che all’età di 68 anni ha ancora tanto da insegnare e regalare a tutti noi.

Emozioni a Go Go. Il Pop perfetto, e non solo.

Ciao Franco, alla prossima!

 

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