A Gli USA e la canzone d'autore

Gli USA e la canzone d'autore

Nella guerra fratricida del rock (USA vs. UK), ciascuna fra le contendenti in campo vanta i propri punti di forza.

Qualche esempio? Nel mondo indie americano, tutt'ora inginocchiato accanto al concetto di autenticità, venerato come una reliquia, “pop” rimane una parolaccia. Nella produzione alternativa made in USA, già negli anni '70, e ancor di più nel decennio di Reagan, preponderante è l'influenza di generi quali folk, contry, blues, miscelati a dosi massicce di rock nella sua accezione più “pura”; essenzialmente, si ruota sempre attorno a stili e filoni percepiti come “autentici”, viscerali, diretti: il rock americano, specie se alternativo, suona come potrebbe suonare un salutare calcio nelle palle.

Al contrario, in Gran Bretagna, quelli che sono i corollari del concetto di “pop” (importanza centrale del look e quindi del video, produzione sfavillante, ricerca imperitura dell'hook, arrangiamenti sontuosi, adroginia) rappresentano da sempre un “valore”, il quid pluris che esalta una produzione smaccatamente tesa alla ricerca della “canzone perfetta”. I fronzoli servono eccome, anzi rappresentano un ingrediente fondamentale della miscela.

Naturale, quindi, che la produzione americana guadagni in termini di intuitività e di vitalità anarchica (difficile disegnare i contorni di questa o di quella scena, tutto appare decisamente fuori controllo), laddove il mercato inglese è capace di regalare gemme pop senza eguali: ognuno vince quando gioca in casa, in questo scontro fratricida.

I Beatles, gli Smiths e tutto il corredo di artisti smaccatamente pop potevano nascere solo nell'Inghilterra innamorata alla follia della melodia, mentre il rock alternativo e tutte le vaste realtà di contorno (dall'hardcore al cow-punk, passando per folk primitivista, freakettoni vari, psichedelia dilatata, noise etc...) sono un frutto che poteva crescere e maturare solo sull'albero America, essendo legato a doppio filo con le peculiarità della sua cultura.

Altri casi eclatanti: la scena psichedelica californiana è la quintessenza del concetto di americano e della sua cultura perennemente in fermento, laddove il progressive-rock ed il glam-rock, con il corredo di cappelloni, di costumi sgargianti, di arrangiameti faraonici e melodismo struggente, sono quanto di più britannico possa esistere (mi rendo conto di forzare la mano, ma si prenda le mie generalizzazioni per quello che sono, ovvero considerazioni prive di ogni pretesa di esaustività: non venite quindi a farmi le pulci su questa o quella eccezione, vi scongiuro!).

Ciò detto, esiste un campo di battaglia dove la scena americana sbaraglia la concorrenza per K.O., e obiettivamente risulta difficile cogliere le ragioni di una differenza tanto abissale, specie se raffrontata al sostanziale equilibrio che segna il “duello” in oltri altro campo, e sin dagli albori.

Sto parlando della canzone d'autore.

Ok, ok, anche l'Inghilterra ha avuto i suoi poeti con la P maiuscola: sin troppo facile nominare John Lennon, Nick Drake, Roy Harper, o magari Billy Bragg e PJ Harvey (per evitare che Van Morrison mi rifili un pugno sul naso, mi affretto a precisare che non me la sento di annoverarlo fra gli inglesi: non solo per il sangue irish, ma anche perché i suoi lavori più grandi vedono tutti la luce in america).

Ma non è che si veda molto altro: il mondo della canzone d'autore, l'enfasi posta sulle liriche, la centralità del messaggio, la rincorsa verso il riconoscimeto dello status di “poesia”, il suo legame indissolubile con una certa tradizione da cantastorie, sembano piuttosto lontani dalla cultura pop della Gran Bretagna. E questo anche volendo contemplare fra i “cantautori” gente anomala e poco definibile come Jarvis Cocker, o altri musicisti essenzialmente pop che però, in qualche modo, strizzano l'occhio al filone colto per eccellenza.

Perchè il dato numerico degli USA risulta comunque impressionante e, su questo terreno, vince facile.

Quasi superfluo fare nomi: si potrebbe iniziare con il padre di tutto il cantautorato moderno, tale Robert Zimmermann, proseguire poi con i santoni del country (Hank Williams, Johnny Cash, George Jones, John Prine, Townes Van Zandt etcc..), musicisti eclettici e deviati che potevano nascere soltanto nella terra-caleidoscopio per definizione (Tom Waits, Tim Buckley, Lou Reed, Paul Simon, Scott Walker), straordinari intepreti ed innnovatori del linguaggio di folk e country (Neil Young), poeti di provincia impregnati sino al midollo di cultura e di storia (e volendo di retorica) USA (Bruce Springsteen), poeti e basta (Leonard Cohen); il tutto, per concludere con una miriade di autori solo all'apparenza di seconda fascia, ma in reatà – molto spesso - grandi tanto quanto i suddetti: Gram Parsons, Gene Clark, Glen Campbell, Mark Eitzel, Beck, Bonnie “Prince” Billy, Jackson Browne, Jim Carroll, David Crosby, Mark Kozelek, Cat Stevens, James Taylor. Jeff Tweedy; volgendo lo sguardo verso l'universo femminile, è doveroso citare almeno Suzanne Vega, Joni Mitchell, Lisa Germano, Rickie Lee Jones, Carole King, Jane Siberry, Laura Nyro, Patti Smith.

E ancora, volendo comunque trascurare autori ed interpreti di talento straordinario che potrebbero benissimo sedere accanto ai nomi più grandi, se non avessero dato il meglio nelle rispettive band (Paul Westeberg, Bob Mould, io aggiungerei anche Kurt Cobain, J Mascis, Kurt Kirwood e tutta l'orda di cantautori punk e post-punk, partoriti dallo stesso humus culturale che ha dato la vita alla lunga genia dei decenni precedenti; sono gli strumenti a modificarsi, non i fini).

Insomma, venendo al dunque: il divario numerico e qualitativo è obiettivamente imbarazzante, e risulta difficilmete spiegabile, vista non solo la vitalità della scena britannica sotto ogni altro profilo (vitalità che consente spesso e volentieri di colmare il gap numerico nei confronti degli USA, che godono del vantaggio di poter attingere a un bacino infinitamente più vasto), ma anche la ricchezza della tradizione letteraria inglese, da secoli faro per tutta la cultura europea.

Come si spiega, quindi un divario simile?

Provo a dire la mia: la lettaratura, in Gran Bretagna, si è infiltrata in po' ovunque, è ancora viva e vegeta. Ha però alterato i connotati, e risulta più difficile risonocerla. Ha indossato gli abiti sgargianti della musica pop, ha vestito i suoi colori eccentrici e smaliziati, si è in qualche misura snaturata (o forse semplicemente rinnovata), dedicandosi a imprese nuove ed emozionati, capaci di sfoggiare abiti nuovi, a metà strada fra la musica di ricerca a la quintessenza anche commerciale della cultura pop, che da sempre è componente essenziale di tutto ciò che è rock in Gran Bretagna (qualcuno ha detto David Bowie?).

Questo, laddove l'America ha saputo conservare intatto lo splendore di una tradizione radicatissima nel suo territorio e nella sua cultura, innovandola progressivamente iniettandole massicce dosi di novità (di genere, tecnologiche), e finendo così per coniare una forma d'espressione radicalmente nuova ed essenzialmente americana.

Perché i cantastorie sono componente naturale e imprescindibile dell'evoluzione culturale americana: ambiscono allo status di poeti e spesso oltrapassono la sottile linea rossa che separa il mondo della lettaratura da quello della musica, ma sono anche gli interpreti più intelligenti ed originali della musica “popular” in tutte le sue declinazioni (dal blues al rock vero e proprio).

In America, la canzone d'autore si è assunta il compito di esprimere nei modi più vari le contraddizioni insanabili della cultura, della società americana.

Le contraddizioni fra l'american dream, le aspirazioni diffuse a macchia d'olio dal circo ingombrante di Hollywood/MTV/cultura yuppie, e la realità triste e senza prospettive dei ghetti o della provincia. Il contrasto fra le speranze alimentate da un circo mediatico-politico senza eguali e l'anomia, la claustrofobia e l'atomizzazione cui ti costringe la vita nelle megalopoli americane, lo specchio che deforma in una smorfia orribile il sorriso di plastica di tutti gli Zio Tom della terra.

L'insoddisfazione, lo sconforto e la disillusione contrapposte alla vitalità del self-made man e delle sue ambizioni sconfinate, evocate dagli spazi immensi del continente americano, dalle leggende del west e dalla ricerca affannosa delle miniere d'oro (“After the Gold Rush”); la brutalizzazione e i fallimenti che ogni giorno levano il sorriso al Grande Fratello nascosto dietro ogni schermo televisivo.

Ecco, forse poprio queste laceranti contraddizioni tutte “americane” sono il segreto della grandeur della canzone d'autore del nuovo continente: così come l'esigenza esclusivamente americana di munirsi di una tradizione poetica propria, solo vagamente imparentanta con la letteratura più nobile della Vecchia Europa

Mi rendo conto che si tratta di interpretazioni e letture squisitamente personali e per molti, ne sono convinto, poco atttendibili, fuorvianti o anche solo semplicemente sbagliate.

Ma io credo che un fondo di verità ci sia: che la nazione più avanzata del pianeta (sotto il profilo strettamente economico), il paese guida del mondo occidentale, ove si materializzano le inquietanti visioni di un futuro tanto prossimo da sovrapporsi a presente, in cui si profila un mondo globalizzato – il paradiso del consumatore - che asfalta le diversità e la peculiarità non solo di ogni singolo individuo, ma anche delle comunità locali, ha voluto offrire al resto dell'umanità gli antidoti alla propria furia disumanizzante. Di fatto, gli USA ci hanno colonizzato, ma hanno anche originato gli spiriti liberi che possono fare luce, che sanno intuire la realtà deforme e pericolosa nascosta dietro questa gioviale orda di colonizzatori.

La cultura americana ha voluto dotarsi di una propria letteratura, popolare e pregna di cultura popolare, per ammonire non solo gli americani, ma anche il resto del mondo sulle devastanti conseguenze dell'american way of life.

Ha voluto anche porsi alla guida delle maggiori rivoluzioni culturali della seconda metà del '900 e offrire loro un sostegno di stampo para-filosofico e letterario: perché la rivoluzione beat (e molto altro ancora) è figlia della società americana e delle sue ineguaglianze e contraddizioni insanabili.

Soltanto la nazione guida poteva sobbarcarsi un compito tanto importante e dalle implicazoni tanto signficative, inventando di fatto una forma di espressione inedita che abbraccia tanto le arie popolari, la desolazione eterna di country e blues, le sue impressionanti ibridazioni (anche queste, figlie della cultura multietnica americana) quanto l'ambizione allo status di “arte” e di forma di comunicazione superiore. In Inghilterra, la protesta e la riflessione hann scelto di intraprendere (con successo enorme) altre vie, certo non meno significative ed originali, ma comunque profondamente diverse. Ecco perchè in libreria è facile scorgere vere e proprie enciclopedie dedicate alla storia dei cantautori americani, mentre non esiste nulla di simile sugli autori inglesi.

C Commenti

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Dr.Paul alle 15:05 del 29 novembre 2011 ha scritto:

lol julian nn vorrei farti le pulci ma non condivido quasi niente di quel che scrivi, sono talmente tante le cose da confutare che non so da dove partire! la canzone d'autore è americana...d'accordo! ma nelle librerie del vecchio continente non trovi enciclpoedie dedicate alla storia dei cantautori...solo perche gli inglesi hanno fatto altro. semplice! devo rioridinare le idee xche ci sarebbe da quotare ogni riga del tuo scritto...mi organizzo! )

FrancescoB, autore, alle 15:22 del 29 novembre 2011 ha scritto:

Ci mancherebbe Paul, ben vengano critiche e pulci varie. Anche se a quanto leggo concordi con me sul dato numerico (gli inglesi hanno fatto altro): forse non condividi le motivazioni, e su questo aspetto tue considerazioni (del resto è normale sollevare problemi quando si azzarda valutazioni così personali!).

REBBY alle 17:03 del 29 novembre 2011 ha scritto:

Beh i cantautori americani sono più di quelli britannici, ma pure la popolazione è più numerosa. Aggiungo però qualche cantautore britannico meritevole di essere citato, per valore artistico, come quelli indicati da Julian: Donovan, John Martyn, Vashti Bunyan e Roy Harper. Mi piacciono meno, ma senz'altro significativi (almeno per la prima parte della loro carriera) sono stati anche Cat Stevens ed Elton John. Inoltre tra i cantautori post-punk (eheh) ho molto apprezzato Robin Hitchcock, Lloyd Cole e Joe Jackson.

Dr.Paul alle 17:35 del 29 novembre 2011 ha scritto:

inizio con qualche considerazione random quotandoti: "in Gran Bretagna, quelli che sono i corollari del concetto stesso di “pop” (importanza centrale del look e quindi del video, produzione sfavillante, ricerca imperitura dell'hook perfetto) rappresentano da sempre un “valore”, il quid pluris di una produzione smaccatamente tesa alla ricerca della canzone perfetta." Secondo me si parte da un presupposto non completamente a fuoco: queste sono sempre state peculiarità made in USA a cui si sono fortemente ispirati gli inglesi, si pensi a tutti gli autori ed esecutori tin pan alley....da bing crosby a frank sinatra, passando per bobby darin e dean martin, o da herb alpert....chessò fino alle marvelettes!! il corollario era lo stesso per tutti! chiaro che se pensiamo agli stati uniti come johnny cash e l'inghilterra come spandau ballet...qualche differenza di scelta stilistica, look, hook, video...c'è!! -continua-

FrancescoB, autore, alle 17:39 del 29 novembre 2011 ha scritto:

Ok Paul ma in Inghilterra sono diventati tratti distintivi di larga parte della scena (anche quella migliore), cosa che in America non è.

Rebby, quello che dici secondo me vale fino ad un certo punto: perchè l'Inghilterra stravince in ambito glam o progressive, anche se ha una popolazione molto inferiore.

Si tratta proprio di un diverso radicamento della tradizione dei cantautori, che balza subito all'occhio (ne citi alcuni inglesi molto importanti, ma quanti potrei aggiungerne io?).

FrancescoB, autore, alle 17:44 del 29 novembre 2011 ha scritto:

In altri termini: è ovvio che anche in Inghilterra ci sono stati autori di primissimo piano (del resto, è accaduto anche in Italia, in Francia, in Spagna).

Ma il divario con gli USA, in questo ambito, è veramente abissale: ed il dato stride con la grandezza della musica popolare britannica in quasi ogni altro contesto.

Si tratta proprio di peculiarità e forme di radicamento diverse, che ho forse interpretato in modo errato, ma che mi paiono proprio esistere!

REBBY alle 18:16 del 29 novembre 2011 ha scritto:

OK il glam ed il progressive (e non solo) è risaputo che non è quasi mai stato nelle corde di band americane. Ma tornando alla canzone d'autore a me pare che in Gran Bretagna (ed in Europa in generale) non solo non sono mancati artisti di valore, ma anche alla base non è mai mancata una folta schiera di appassionati di questo genere musicale e, sempre secondo me, il dato numerico si spiega anche col dato demografico.

ozzy(d) alle 21:04 del 29 novembre 2011 ha scritto:

agli americani i cantautori, agli inglesi il glam ( tenetevelo pure ghghgh), giusto cosi!!!

Totalblamblam alle 23:01 del 29 novembre 2011 ha scritto:

non ho capito il senso di questo papiro juliano ci riprovo domani sto troppo stordito ora mi pare così forzato non mi sembra ben oliato che la letteratura si c'entra ma il teatro elisabettiano molto di più...di botto direi: ovvio che se uno ha guthrie, joan baez e dylan parte avvantaggiato ma c'è tanto tanto folk inglese solo gli scenari e i paesaggi sono diversi

Alfredo Cota alle 23:04 del 29 novembre 2011 ha scritto:

Se uno ha Nick Drake vince in partenza u,u

Alfredo Cota alle 23:06 del 29 novembre 2011 ha scritto:

soprattutto perchè Buckley esula da ogni definizione e quindi non riescono a pareggiare

ozzy(d) alle 23:12 del 29 novembre 2011 ha scritto:

joan baez? legnosissima dai, pure a letto doveva essere una scopa secca, ha fatto bene bob a piantarla.

Totalblamblam alle 23:34 del 29 novembre 2011 ha scritto:

RE:

LOL mi sono piegato per questa...apparentemente è legnosa ma se modula la voce in quel mondo legnosa non lo era affatto!

DonJunio alle 14:56 del 30 novembre 2011 ha scritto:

In America ci sono stati cantautori tra le figure mitologiche del rock ( Dylan e Young), e questo mi pare abbia generato tutti i gli epigoni dell’ iconografia dell’uomo solo con la chitarra, che si perde negli spazi sterminati o alla ricerca di se stesso, districandosi tra slanci e contraddizioni del grande continente. Springsteen si è costruito una carriera in tal senso. In Inghilterra nessun cantautore ha mai raggiunto quello status e chi inizia a produrre musica ha un altro tipo di nume tutelare ( Beatles, Kinks, Bowie etc), secondo ma la differenza è principalmente questa.

Dr.Paul alle 14:59 del 30 novembre 2011 ha scritto:

cmq jules, so bene che anche tu adori la scena uk. in questo articolo però, ho la forte impressione che per esaltare l'americanismo si poggino i gomiti sul regno unito commettendo un'irregolarità che potrebbe valere l'ammonizione ghghg!

non vorrei ridurre tutto alla solita diatriba usa vs. uk...ma ci sono troppi punti che non mi tornano oltre quelli già illustrati in precedenza. ad esempio quando dici:

"poeti di provincia impregnati sino al midollo di cultura e storia USA (Bruce Springsteen)".

non credo sia una caratteristica ad esclusivo appannaggio degli americani. ecco nella tua frase che ho quotato poche righe sopra basta sostituire USA con UK e nella parentesi metterci un nome a caso....lennon, mccartney, ray davies, townshend, morrissey, drake...

E poi ancora: van morrison escluso dal regno unito perche i suoi dischi migliori li ha partoriti in america....bah ok, ma a questo punto dalla lista degli americani "d'oro" va depennato scott walker per lo stesso discorso...si è trasferito in inghilterra ad inizio carriera. è lampante.

e poi ancora se nella canzone d'autore...o nei miti in generale ci rientrano Paul Westeberg, Bob Mould, Kurt Cobain, J Mascis....ci rientrano a occhi chiusi anche Ian Curtis, Robert Smith, Peter Murphy, e mi limito a nomi anni 80 per non andare troppo indietro nel tempo!

FrancescoB, autore, alle 15:20 del 30 novembre 2011 ha scritto:

Ok Paul, capisco ciò che vuoi dire (e sono contento del fatto che non si traduca il discorso in una sorta di scontro fra fans, per carità!)...Il succo di ciò che intendo sostenere comunque l'ha colto bene Don: a me pare che in America ina certa tradizione costituisca un humus culturale onnipresente e fortissimo per tutta la musica "alternativa" e non solo. Insomma quella del cantastorie-poeta è una figura radicatissima e fortissima nell'immaginario e nella cultura USA, che prende vita già con i primi artisti country e folk ed arriva sino ad oggi (Bon Iver & soci). In Inghilterra i riferimenti culturali sono diversi, pur non mancando nomi fondamentali anche in questo contesto: per dire, Patrick Wolf poteva nascere solo in Gran Bretagna, e come lui tantissimi altri artisti sulla medesima falsariga. Le coordianate sono diverse, perchè in UK si sono affermati anche altri "valori": non solo quelli che cito legati a potenza dell'immagine etcc..ma anche lo studio come strumento di registrazione, l'importanza della produzione, il legame a doppio filo con una certa cultura teatrale europea etc... Cose non certo minori, ma semplicemente diverse: quindi nessuna sfida, solo (per quel che mi riguarda) un prendere atto delle reciproche diversità.

FrancescoB, autore, alle 15:23 del 30 novembre 2011 ha scritto:

Mi riferisco anche al ruolo anche latamente culturale del cantautore americano (sin dai tempi di Dylan, ma anche prime), alla importanza centrale del suo discorso "narrativo" e descrittivo, tanto sotto il profilo personale quanto in ambito socio-culturale. In Inghilterra le figue di questo tipo sono molto meno numerose, e lo sviluppo si è indirizzato più in altri ambiti, ha sfruttato altri elementi, altre possibilità, altri linguaggi (volendo altrettanto se non più innovativi).

FrancescoB, autore, alle 15:23 del 30 novembre 2011 ha scritto:

Scusate il pessimo italiano: spero si colga in ogni caso il senso del discorso.

PetoMan 2.0 evolution alle 9:56 del 25 luglio 2012 ha scritto:

Articolo molto interessante. Secondo me, se si parla di cantautore così come in genere viene comunemente inteso, cioè identificato con la figura del cantastorie, dello storyteller con chitarra al collo, beh in effetti penso che l'america vanti la tradizione migliore. Da figure leggendarie come Woody Guthrie, Hank Williams, Pete Seeger, fino ai vari Tom Petty, John Mellencamp, Warren Zevon, Steve Earle, passando per Dylan, Young, Springsteen, insomma tanta carne al fuoco. Un altro confronto interessante fra america e inghilterra potrebbe essere sul piano delle band, dei gruppi; se l'america probabilmente ha avuto le migliori individualità, forse l'inghilterra sui gruppi è stata superiore. O no?