Il tempo, la 'cattiva abitudine' dei Massimo Volume
Dum loquimur, fugerit invida aetas
Mentre parliamo, il tempo invidioso sarà già fuggito
(Orazio)
Cè uno spartiacque, una soglia, un varco, a un certo punto dellesistenza: cè una porta che spinge a guardarsi indietro forse per la prima volta e considerare ciò che si è stati, trattenersi, meditare. Si scruta il proprio passato, con occhio ora attento: per indagarlo, scandagliarlo. Comprenderlo. Valicata la montagna, comincia lineluttabile discesa, più o meno lunga o accidentata a seconda dei casi, mentre malinconicamente si osservano le gocce della propria clessidra ridursi, pian piano, illudendosi di poterne arrestare il fluire, frenarlo, arginarlo.
Nel silenzio che va da Club Privé (1999) a Cattive abitudini (2010) i Massimo Volume scollinano, oltrepassano il loro varco, la soglia, lo spartiacque. Si voltano, ponderando i loro trascorsi: i primi capelli grigi, le prime rughe, i progetti di vita attuati, i sogni realizzati, altri ancora lasciati per sempre nei cassetti polverosi, incompiuti. Quindi la reunion, il ritorno, per dimenticare il peso di cose fatte male / e fatte in fretta, con lo sguardo vegliardo e sapiente, con il quale si contemplano
cumuli di immagini sfocate
su cui si punta il dito senza convinzione
solo per poter dire: questo sono io
nell'illusione che ciò che siamo riusciti a dire
fosse ciò che avevamo da dire
Mimì Clementi affida a queste parole, nel brano dapertura Robert Lowell, il significato della ricomparsa, dellinatteso rientro sulla scena: fissa anche una data, giugno 2010, come nastro di partenza del nuovo inizio, come pietra stabile che non vuole arrendersi al fiume del tempo che impassibile scorre, travolge, trascina. Ed è il tempo il protagonista assoluto del disco: ne permea ogni canzone, ogni verso, ogni respiro. Il chiasso degli orologi è pervasivo, ossessionante; è un tempo, però, che non muta la persona, almeno interiormente, perché corona le solite cattive abitudini, i vizi consueti, le manie familiari, perché si è costantemente aggrappati a unimmagine / condannata a descriverci. Lunica vera metamorfosi riguarda la riflessione su se stessi, sul passato, riflessione ora più attenta e razionale.
Superata la soglia, la paura della morte invero sempre esistente, solo momentaneamente sopita negli anni della freschezza si fa più intensa, palpabile; torna a galla, si palesa: Il terrore dellassenza / gli oggetti che ci sopravvivranno / la muta presenza (Robert Lowell). E unidea di morte non ancora immediata, è una paura remota, distante, ma gli occhi attenti delluomo si posano su di essa per la prima volta con coscienza, finalmente la considerano, amaramente la sfiorano: ancora troppo presto / per organizzare il nostro sgargiante declino / ma non abbastanza / da non averne unidea Le nostre ore contate: Clementi si rifà chiaramente al poemetto di Auden (Horae canonicae), in cui vige il desiderio dimporre una misura propria al tempo, senza piegarsi a lancette e ticchettii.
Idea di morte, idea di logorio inesorabile. La cera solca le candele accese, le consuma lentamente, senza possibilità che tornino integre. Le raffredda. E unusura ormai percepibile (Lo senti questo suono? / E il lamento del tempo? Coney Island), è un degrado che esorta al pragmatismo, ad amplessi fugaci con la vita (Ho speso troppo tempo e il tempo s'è accorciato / non giro più in cerca di occasioni / la mattina mi vesto svelto Litio). La lucida consapevolezza della clessidra incontrollabile sfocia sovente in rammarico, talvolta in rabbia, e nella sua impotenza luomo cerca (vani) stratagemmi per bloccare la ruota che gira (Ho corrotto il tempo per non lasciarti andare Avevi fretta di andartene).
Capire che il tempo è un tiranno che non conosce ragioni porta a proiettarsi nel passato, piuttosto che nellavvenire (mentre i Massimo Volume degli anni 90 molto si basavano sul presente, sullimmediatezza, sui quadretti di vita quotidiana, sulla vitalità di via del Pratello). Passato come unico possesso, sola certezza, passato come tempo stabile, vero, nonostante i ricordi arrechino, talvolta, dolore e lacrime: un uomo scava nellevento che gli ha cambiato la vita, alla ricerca spasmodica del suo carnefice (La bellezza violata); in Mi piacerebbe ogni tanto averti qui Clementi dice al padre morto ciò che avrebbe voluto dirgli quando era ancora vivo, in un lento commovente che però non riavvolge il nastro delle ore, degli anni, della vita, del tempo; in Via Vasco De Gama sono ancora i ricordi a far da padroni, in un clima onirico che riporta alla luce questa strada di S. Benedetto del Tronto, dove Clementi rimembra sensazioni antiche, mai obliate.
Limplacabilità del tempo è un fardello troppo greve, se la riflessione su un tema tanto cruciale dellesistenza umana diventa la regola. In Fausto cè il tentativo di eludere queste elucubrazioni paralizzanti, concedendosi ad una notte ebbra e sfavillante. Perché meditarci profondamente porta ad elaborare amare considerazioni sulla natura umana (Tra la sabbia delloceano), porta ad assaporare l«orrido vero», il male oscuro, combatterlo, pur sapendo di andare incontro ad una disfatta.
Non resta, forse, che sperare in un mondo dopo il mondo, in un aldilà, in una realtà diversa, in qualcosaltro. O non resta, forse, che fermarsi, tacere, far silenzio dopo la pienezza delle Cattive abitudini. Zittire orologi, spegnere candele, rompere clessidre, non cedere ai dispotismi di questo maledetto tempo, creazione (e mera convenzione) delluomo. Guardare sì la soglia, il varco, lo spartiacque. Guardare, ma sorridere. Perché il tempo, in fondo, è un signore distratto, è un bambino che dorme, cantava De Andrè.
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