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A IM MY ROOM

IM MY ROOM

Da alcuni giorni dormo male, mi giro e rigiro tra le lenzuola, mi sveglio, mi riassopisco, resto in dormiveglia.

Succede da quando ho fatto un sogno, tre notti fa. 

Alcuni nodi irrisolti sono tornati a galla dal mio inconscio, benché, o forse proprio in quanto, faticosamente rimossi dalla mia mente cosciente.

In particolare ho sognato Lei. 

La Lei, sicuramente l’unica, per cui valeva la pena esserci. 

Ero troppo timido all’epoca per fare alcunché, se non timorosi pseudo-approcci, nemmeno percepibili nella loro impalpabilità. Abbandonai  il campo senza nemmeno sapere se sarei stato ricambiato. Non lo saprò mai. Sono passati vent’anni. 

Nel sogno ero con Lei e le dicevo la verità, finalmente. La verità di quanto fui stronzo e codardo da ragazzo. 

Mi sveglio con la testa fissa sul ricordo e su pochi concetti: “hai scelto di non scegliere”, e “che cazzo ci fai qua, la vita di chi stai vivendo?”. Sto malissimo.

Quella stessa mattina mi ritrovo in un campo di calcio con mio figlio. Io e lui da soli in un campo regolamentare, immenso. Trenta metri più avanti mio figlio rincorre la palla, io fisso i balconi dei palazzi intorno al campo e non riesco a trattenermi. Spero che nessuno si affacci. E’ domenica, c’è caldo e sono tutti al mare o chiusi dentro con l’aria condizionata. Nessuno si affaccia. Tiro calci al pallone bagnandolo.

Il pomeriggio rimango finalmente due ore da solo, a casa.

Il giorno prima avevo letto su una rivista musicale una bella retrospettiva sui Depeche Mode. Nasce in me la consapevolezza che il periodo in cui ascoltavo questo gruppo era più o meno coincidente con quello rievocato dal sogno. Cerco così quello che ho in casa.  “Violator” in vinile mi finisce tra le mani per primo. Lo metto sul piatto e lo avvio. Partono i ricordi. Il periodo però è leggermente antecedente alla non-storia con Lei. Ricordi sfalsati, non pienamente pertinenti al mio mal di testa da lacrime. Bel disco, qualche pezzo clamoroso (“Personal Jesus”, “Policy of truth”, “Enjoy the silence” su tutti) e qualità media alta. Lo ascolto tutto “Violator”, mi piace ma non mi basta, c’era qualcosa di più collegato, di più specificamente indicato al periodo. 

Cerco allora tra le cose impolverate, e recupero “Songs of faith and devotion” in musicassetta. Chissà chi me l’aveva passato all’epoca, affinché mi facessi una copia. Il periodo è esattamente quello, non ho alcun dubbio. La metto su senza badare al lato e la faccio partire: becco proprio l’inizio del lato A. Che meraviglia. Quante volte l’ho ascoltato chiuso, solitario, nella mia camera. E che bella sensazione avere una camera tutta per sé, da cui escludere tutto e tutti. Poi un “bel” giorno hai una casa tua, ma non più una camera tua, non puoi più escludere niente e nessuno, nemmeno per un secondo. Ci devi sempre essere con gli altri e per gli altri, e se provi a chiuderti in una stanza: “ma perché ti chiudi?” e se metti musica: “spegni questo rumore” è il messaggio più gentile. Le libertà fondamentali non ci sono più e mai più ci saranno. Sad but true. 

I Feel You” inizia con un rumore minaccioso sibilante. Bel pezzo ma forse un pò troppo “Personal Jesus” di riserva.

Walking in my shoes” porta in dote i primi brividi. La voce è dannatamente pertinente, sfumata di spleen. Grande suono e produzione impeccabile, come quasi tutto il disco peraltro. 

Certi gruppi, pochissimi invero, vivono un preciso momento, uno zenit, un apice, un nirvana artistico di beatitudine. Tutto gira per il verso giusto, l’ispirazione è oltre l’umano, trascende le capacità normali. Quel momento i Depeche Mode, a mio parere, lo hanno vissuto nel 1993 con “Songs of faith and devotion”. I Depeche Mode che, come pochi altri  eletti negli ultimi 30 anni, hanno saputo tenere insieme buone tensioni artistiche e grandi ambizioni  commerciali. 

In questo caso c’è comunque davvero pochissima concessione al lato commerciale del loro suono. Il pop elettronico intriso di dark è infatti furioso come non mai, duro e sfavillante. 

In un simile contesto “Condemnation” costituisce un primo break placido, di ambientazione gospel-chiesastica, cantata con molta partecipazione da Gahan. 

Mercy in you” è un altro colpo interiore. Sontuosa e potentissima, tra piccoli incisi di chitarra distorta ed il battito ossessivo della batteria. 

Judas” chiude il lato A, toccando il punto più basso del mio gradimento. Moscia, plasticosa e senza nerbo. Passo, skippandola, al lato B. 

La cassetta non si deve nemmeno girare, è sufficiente premere il tasto play di sinistra (il piccolo stereo ha due tasti play che riproducono ciascuno un lato della musicassetta) per riprodurne il retro.

Becco così “Get right with me” e la ascolto. Bello il gioco di voci maschile / femminile. Electro-pop venato di Gospel, proprio riuscito. 

Ma io cerco altro. Un momento preciso, che mi ridia uno specifico suono riverberato nella mia stanza di allora, quando stavo malissimo e mi rifugiavo nella musica.  

Provo a portare indietro la cassetta al pezzo che voglio, che leggo nella custodia essere il primo del lato B. Ma sbaglio, cazzone che non sono altro, e la cassetta va invece avanti. 

Parte così “Rush”, potentissima e bellissima. La immagino, chissà perché, cantata da Tom Waits col suo vocione sparato al massimo, increspato e ruvido: sarebbe ancora più devastante, da estasi. 

Riprovo. No, questa dannata cassetta va ancora avanti e così trovo “One caress”, pezzo della stessa genia di “Condemnation” e “Judas”, con un arrangiamento delicato di archi. Non male, forse solo un pò troppo mielosa.

Di traccia in traccia sono praticamente arrivato alla fine del lato B. Sono un inetto, continuo a non capirci niente, la cassetta va sempre avanti, sebbene la giri e la rigiri cambiando il tasto di avanzamento! O forse (forse?) è proprio questo il mio errore. Continuo a fare confusione. 

La conclusiva “Higher Love” è un altro punto altissimo. La adoro. Qui tutta la tensione esplode nel refrain “by a higher love” ripetuto ossessivamente su un tappeto elettronico striato di suggestioni tra l’umano e l’alieno. I brividi aumentano.

Riprovo ancora. Forse ci sono: ci riesco, finalmente. Riavvolgo l’intero lato B. 

Deve esserci un disegno particolare perché arrivi per ultima “In your room”, la canzone che cerco disperatamente. Da quand’è che non la ascolto? Da quasi vent’anni? Praticamente si. L’ho consumata in quella stagione, in quell’unica stagione. Io nella mia stanza. Chiuso. Da solo. Con quest’altra Lei: “Your favorite smile, your favorite slave, I'm hanging on your words, living on your breath, feeling with your skin ......”. Emozioni a fiumi. Solo un dubbio mi assale per un attimo: “i brividi così violenti che sento adesso sono reali o sono solo il manifestarsi del mero ricordo dei brividi di allora?”. Non ho energie per questi pensieri e li abbandono. Alzo il volume. I vicini sì, ma che si fottano. Alzo ancora il volume. Sono solo. Da solo nella mia casa di oggi o forse per un’ultima volta nella mia stanza di allora. Non importa. Il calore che sento in ogni cellula dell’epidermide, i contraccolpi interiori, la voce che urla, la mente che spazia, i ricordi dolorosi della sua assenza, le lacrime che fluiscono. La fine e la morte definitiva di quel mondo. Di me. Un ultimo tardivo contatto creato da un sogno. Un regalo o forse solo un torto onirico dal passato. 

C Commenti

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tramblogy alle 9:39 del 23 giugno 2013 ha scritto:

Il vero viaggio e' nel devotional DVD , in your room live ti trasporta in una zona proibita, infernale.

gull, autore, alle 18:02 del 24 giugno 2013 ha scritto:

Grazie per la dritta tramblogy.