A Intervista a Mario Venuti

Intervista a Mario Venuti

Nel corso degli oltre venti anni di carriera Mario Venuti non si è mai stancato di sorprenderci, di confonderci, di commuoverci. Il suo nuovo album, Recidivo, rispetta appieno questa tradizione mettendo insieme gli elementi apparentemente più antitetici per eccellenza ma che l’ex Denovo mischia in maniera sublime regalandoci uno dei suoi migliori lavori.

Il pop si mischia così facilmente con arie classicheggianti, mentre, se qualcuno potrebbe rimanere deluso dall’assenza di sonorità sudamericane, può consolarsi con delle trasgressive e indolori ballate rock. Recidivo: un disco che muove da un verso della titletrack che dice “ma chi lo dice che sbagliando s’impara?” e si snoda tra “un amore non benedetto dalla pubblica morale” e la consapevolezza che “andare era il mio destino”.

Nella canzone racconto la storia di questo piccolo quadretto di ordinaria bisessualità. Dando il titolo all’album il suo significato ovviamente si allarga. Mi sono fatto ritrarre come un Jesse James in fuga e mi piaceva pensare ironicamente a me come a un fuorilegge della canzone pop, forse perché sfuggo alle catalogazioni e sono stato sempre in bilico tra il pop da consumare e altre tentazioni più colte ed alte. Non ultime in questo disco le tentazioni cameristiche e classicheggianti, in parte già presenti in lavori passati, ma che qui hanno preso una forma più consistente.

Si può definire come un disco provocatorio velato da una leggera rassegnazione?

Non credo che ci sia molta rassegnazione in questo disco. Sono abituato da un po’ di anni a questa parte a mettere in mostra luci ed ombre dei sentimenti e cerco di essere meno ipocrita possibile e quindi se lo sono so essere altrettanto gioioso e solare. Le due cose si mischiano continuamente.

La copertina del disco, molto film di Sergio Leone, ha numerosi rimandi nel disco a certe atmosfere rurali da primo novecento. In effetti si. Alcune canzoni suonano un po’ retrò in qualche modo. Penso ad esempio a Il Milione che sa un po’ di Debussy o a Spleen #132 che ha un’aria vagamente gershwiniana. Avevo subito pensato ad un’ambientazione che richiamasse appunto al primo novecento."

A proposito di recidività, non ci sorprendono, ma ci fanno immensamente piacere, le collaborazioni con Franco Battiato e Carmen Consoli. Nome completamente nuovo accanto al tuo è invece quello di Cesare Cremonini in Un Cuore Giovane.

Ci siamo conosciuti soltanto il giorno della session. Seguo con piacere la sua crescita, la sua maturazione e le cose che fa. Veniamo entrambi da un’esperienza di gruppo, lui con i Lunapop, io con i Denovo. Mi piaceva l’idea di cantare insieme Un Cuore Giovane, una sorta di manifesto di ricerca di eterna giovinezza anche perché credo che il pop sia il luogo per eccellenza dell’eterna giovinezza e può essere effettivamente un elisir per noi che lo facciamo.

Musicalmente com’è nato questo disco?

È nato sotto due spinte differenti. Le canzoni di stampo più rockeggiante come Impulsi Primari, La Vita Come viene, Lasciami andare, sono contemporanee di A ferro e fuoco e de L’officina del Fantastico. Erano le canzoni che stavo scrivendo per realizzare un nuovo disco di inediti nel 2008. La casa discografica ha poi pensato di rivalutare il mio repertorio ed è stata pubblicata un’antologia con tre sole canzoni inedite. Le altre sono rimaste per un po’ congelate. Nel frattempo avevo cambiato completamente direzione. Mi immaginavo un disco più cameristico ma mi è sembrato un po’ velleitario e un po’ noioso per me e temevo che lo fosse anche per il pubblico. Alla fine ho cercato di mettere insieme queste due correnti apparentemente lontane fra loro che rimangono comunque accomunate dalla mia firma e dal mio modo di scrivere.“

Nel disco c’è un pezzo molto simpatico intitolato La Virtù dei limoni. Un gesto di riconoscenza nei confronti di tuo padre?

Si in effetti la figura paterna la si rivaluta a posteriori. La figura materna è più consolatoria, mentre quella paterna risulta più aspra, ma vitaminica, come appunto i limoni. Siccome mio padre, di origini contadine, mi aveva da sempre inculcato il legame con la terra, mi portava a fare la raccolta di limoni, limoni dappertutto, per dissetarti, per disinfettarti, per difenderti. Alla fine diventa quindi una metafora della figura paterna.

Parliamo un po’ di Catania. Com’è cambiata musicalmente la città rispetto agli anni d’oro dei REM, di Virlinzi e dei club perennemente strapieni? “Quella primavera di speranza, che aveva coinvolto anche altre città come Palermo, ci portò a credere realmente che le cose potessero cambiare. Purtroppo il sogno si è infranto presto e le cose sono ritornate come, se non peggio, di prima. Questo si riflette inevitabilmente anche sulle produzioni musicali. La scomparsa di Francesco Virlinzi ha fine 2000 ha poi dato il colpo di grazia alla struttura portante delle produzioni discografiche in città. Probabilmente viviamo ancora di rendita di quel periodo d’oro. C’è stata anche una certa riscoperta delle tradizioni musicali e delle nostre tradizioni di canto folkloristico. I club di sempre sono ancora lì ma non c’è più quell’attenzione verso i nuovi talenti, cosa che noto, per altro, anche in altri parti d’Italia.”

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