A Intervista a Pier Paolo Capovilla (Teatro degli Orrori)

Intervista a Pier Paolo Capovilla (Teatro degli Orrori)

Più che un gruppo rock Il Teatro degli Orrori è un groviglio di esistenzialismo, cantautorato, rabbia, e infine, di sano, puro e duro rock. Giunto a due anni di distanza dal precedente “Dell'impero delle tenebre”, “A sangue freddo” è stata una piacevole conferma. Il gruppo è maturato parecchio. Sonorità lasciate per lo più allo stato grezzo nel precedente disco si mostrano qui nella loro veste più raffinata. Pier Paolo Capovilla è indubbiamente il protagonista di questo teatro itinerante che sta mettendo d’accordo critica e pubblico.

Può andar bene l’aggettivo “protagonista”, “main character” come dicono gli inglesi, per definire il ruolo che hai nel gruppo?

Ho un ruolo importante ma alla fine un gruppo è un gruppo, in cui tutto viene fatto insieme. Ognuno di noi è indispensabile agli altri.

Come vi definireste ad un pubblico che non vi conosce?

Il nostro sforzo, specie con “A Sangue Freddo”, è stato quello di fare un rock classico. Ci piace la tradizione anche se amiamo guardare al futuro di questa classicità. La tradizione resta tale se riusciamo a rinnovarla. Abbiamo cercato una classicità sia nella forma canzone sia nella performazione e negli arrangiamenti dei pezzi. Altra considerazione che amo fare, riguardo la nostra musica, è che ci piace coniugare il rock americano con la tradizione cantautorale italiana. Non se se ci riusciamo ma almeno possiamo dire di averci provato.

Il Teatro degli Orrori nasce come progetto parallelo di due gruppi distinti. Il precedente disco era in inglese mentre “A Sangue Freddo” è cantato in italiano. Come mai il cambio di lingua?

Alle cose più belle ci arrivo sempre tardi nella vita, ma meglio tardi che mai. Il Teatro degli Orrori nasce sì come progetto parallelo di Super Elastic Bubble per quanto riguarda Gionata e di One Dimensional Man per quanto riguarda me. Il Teatro degli Orrori è poi diventato il nostro progetto prioritario. Il fatto che cantiamo in italiano all’inizio voleva essere un modo per riuscire a distinguere bene questo side project dai nostri originari e poi alla fine ci siamo accorti che cantare in italiano vuol dire molto. Finalmente riesco ad essere compreso, le persone capiscono quello che dico. Diciamoci la verità: cantare in inglese è un po’ come nascondersi dietro un’altra lingua. L’inglese diventa un media tra ciò che vuoi dire e ciò che dirai. Conosco benino l’inglese ma non è comunque la mia madrelingua. Cantare in italiano per me significa anche guardare dentro me stesso, esplorare e indagare meglio la società che ho intorno e riuscire a comunicare questa indagine. Sono convinto che la musica debba arricchire fino a produrre conoscenze in più. L’inglese non mi facilita in questa ambizione e mi rende la vita soltanto più complicata.

Nel disco ci sono due pezzi che mi hanno fatto pensare molto: Majakowski e Padre Nostro.

Majakowski oltre ad essere un omaggio al teatro di Carmelo bene è soprattutto, ovviamente, un omaggio a Majakowski. Carmelo Bene ha avuto un ruolo fondamentale anche perché la nostra versione è sostanzialmente tratta dalla sua lettura della poesia. Quello che abbiamo fatto noi è stato seguire le indicazioni di Artaud. Per riuscire a liberare la poesia dobbiamo liberarla dalla dittatura del testo scritto: la dobbiamo cantare. Abbiamo cercato di cantare, di coniugare una canzone rock con questa poesia meravigliosa di Majakowski e non credo che se ne avrà a male il buon Wladimir perché questo è resuscitare un testo. Riportarlo in vita e, nel nostro caso, farlo precipitare nella contemporaneità dell’oggi.

Nel Padre Nostro abbiamo cercato di secolarizzare questa preghiera, che per altro è una preghiera meravigliosa in quanto piena di autorevolezza. Secolarizzarla e trasformarla da una richiesta ad un invito al padre eterno a non perdonarli. Non devono essere perdonati. Se esiste il Padre Eterno mi auguro che li sbatta tutti all’inferno certi figli di puttana. Mi sta crescendo una rabbia dentro di fronte alle ingiustizie quotidiane che avvengono intorno a me e nel mondo che sento il bisogno di dire queste cose.

La critica è dalla vostra parte. Ai concerti che reazione registri da parte del pubblico?

Abbiamo suonato la settimana scorsa un bel po’ di concerti. A Trieste abbiamo trovato un pubblico un po’ freddo anche se numeroso mentre al Magnolia di Milano abbiamo fatto un meraviglioso sold out con una risposta molto entusiastica. Il disco è appena uscito e già tutti conoscevano a memoria i testi delle canzoni. C’è grande amore e capiamo che c’è grande emozione da parte del pubblico e questo ci riempie di felicità.

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Marco_Biasio alle 21:23 del 24 novembre 2009 ha scritto:

Bravo Gianluca

Alessandro Pascale alle 9:30 del 25 novembre 2009 ha scritto:

moolto interessante l'intervista, bella lì!

Sante alle 1:58 del primo dicembre 2009 ha scritto:

Grandi i Teatro! In Italia avevamo bisogno di un gruppo così.

E bravo Gianluca!!