A Isis Live report - Torino

Isis Live report - Torino

Torino, Spazio 211, 13 luglio 2009

Non cerco l’estate tutto l’anno ed il suo arrivo per me non è mai improvviso, così come non lo è stato l’ingresso sul palco degli Isis chiamati a gran voce qualche minuto dopo le dieci: un Aaron Turner con barba lunga strappa i primi sorrisi al pubblico e Michael Gallagher non vuol certo far perdere tempo alla Les Paul rossa.

L’unica data italiana prende subito avvio ai 100 km/h con “Hall of the Dead”, l’incipit del recentissimo “Wavering Radiant”.

Non tardano a farsi sentire la brutalità e la gola di Turner, capace anche di virare verso un cantato più pulito, in un’amalgama con basso e tastiere: sono proprio gli effetti di modulazione di Jeff Caxide a dettare questo gioco, lungo quasi otto minuti, di flussi e riflussi di stampo onirico.

Clifford Meyer abbandona poi momentaneamente le tastiere elettriche e le chitarre, sopra ad un tom ipnotico, diventano tre dirigendosi verso passaggi atmosferici più alleggeriti, sempre in bilico tra Explosions In The Sky ed Electric Wizard, il tempo così perde peso e potrebbero essere passati proprio “venti minuti / quarant’anni”.

Un altro quattro di batteria e la linea di basso ci riportano coi piedi per terra in un balzo al 2006 di "In the Absence of Truth": “Dulcinea” si insinua nello spazio dei corpi tra il pubblico con quasi un filo (???) di voce. Un crescendo di batteria tribale e il rincorrersi delle chitarre che si inerpicano su tre diversi toni rendono palpabile la tensione e la tragicità della perdita e della ricerca, sublimate nel punto più alto col growl di Turner che ci prepara per una psichedelica discesa negli inferi, prendendoci per le viscere sino alla conclusione epica in un’agitazione generale sul palco.

Se ancora (r)esisteva qualche staticità tra il pubblico essa viene spazzata via da un leggero vento che fa tirare un sospiro di sollievo a tutti i presenti e rifugiare la mia mano nella borsa in cerca di un maglioncino, provocando segni di incredulità e rassegnazione in chi mi è di fianco...avrei freddo anche nell'Ade!

Qualche secondo per riaccordare le chitarre e le radici nell’hardcore di Boston danno i loro frutti in “Threshold of Transformation”: un doppio pedale di Aaron Harris più preciso che mai si evolve verso il doom, creando un muro di suono ovattato e compatto di riverberi e delays, per rallentare e declinare nell’eterea chitarra slide.

Le tastiere, presenza sempre più decisa dell’ultima fatica sotto l’egida Ipecac, tessono così una trama fatta di interludi rallentati e dilatati, per dominare e farsi ossatura in “Ghost Key”, nove minuti che ormai strizzano sempre più l’occhio al versante psichedelico (forse anche ai Cure di fine anni ’80) : qui le eruzioni della voce di Turner si legano ad una direzione più pulita e melodica, una sorta di calma celestiale sempre minacciata da chitarre graffianti che alzano il polverone del deserto dei Kyuss.

Si naviga verso i lidi del post rock di Panopticon attraverso la chitarra ammaliante della maestosa “In Fiction” (che manda il pubblico in visibilio, un tripudio che parla da solo), attraverso il tremolo di “Hand of the Host, sino ad arrivare all’ ambient(e) Oceanic(o) di “Carry”. Charleston sempre chiuso e beat trance, al giungere dei versi “now that you are here you'll swim with me” i suoni sono veramente liquidi, portandoci su certi passi dei Godspeed You!Black Empereor.

Le corde vocali di Turner sono più tese che mai e folate di chitarre e basso tonanti, a cui le agili dita di Meyer fanno da contrappeso, parebbero colorare il cielo di inquietudini viola e verdi, in una sorta di stridore da “post atomic chill” privo di gravità: space rock in decollo.

Purtroppo la ground control spegne i comandi dopo poco più di un’ora e un quarto, il tempo di guardarsi attorno e gli Isis son già tornati per quelli che saranno i definitivi ultimi dieci minuti: Turner sempre più incontenibile, un andirivieni di teste che creano un boato sonoro ove a far da padrone è senz’altro Gallagher.

“The Beginning And The End”, un inzio ed una fine quasi speculari nel chiudere il cerchio che unisce ermeticità primordiale, potenza assoluta ed atmosfere psych-distorte.

Turner s’accovaccia sul palco e vorrei farlo anche io per godermi a pieno questi istanti che credevo fossero solo un’assaggio di una reprise più lunga, ma quando Caxide si sfila il basso capisco che sia veramente la fine, nello stesso tempo “the promise of something greater beyond the water's final horizon”

Le luci si accendono, nell'aria restano note che si attaccano alla pelle come zanzare ammiccanti, è ora di disperdersi e riprendersi, di ristorare gola e membra.

Di quel suoni liquidi ne resterà l'eco nella fontana che campeggia al centro dell'area all'aperto di Spazio 211.

Setlist:

Hall of the Dead

20 minutes / 40 years

Dulcinea

Threshold of Transformation

Ghost Key

In Fiction

Hand of the Host

Carry

Out

The Beginning And The End

C Commenti

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Marco_Biasio alle 20:03 del 18 luglio 2009 ha scritto:

Troppo "Wavering Radiant", per quello che mi riguarda (dov'è "So Did We"?). Ciò nonostante, quanto tega ti invidio.