A L’immortale libertà di Carmen, alla Scala

L’immortale libertà di Carmen, alla Scala

Prova Generale di "Carmen", Milano, Teatro alla Scala, 20 marzo 2015

Fu l’ultimo lavoro musicale di Georges Bizet, la Carmen che è oggi tra le opere più rappresentate al mondo e di cui lui, morto dopo soli pochi mesi dalla fallimentare prima parigina del marzo 1875, non potette assaporare il seguente clamoroso successo.

Un genio di cui si devono ancora indagare i molteplici risvolti, dalla produzione poliedrica ed eclettica, rimasto nella memoria popolare per i tre capolavori "Les pêcheurs de perles", "L’Arlésienne" e la celebre "Carmen", appunto.

Si potrebbe fare il paio con altri compositori precoci spentisi in giovane età nel pieno della produzione artistica, eppure Bizet resterebbe a buon diritto un unicum della storia della musica occidentale. Carmen, il suo lavoro sommo, è capace ancora oggi di stupire, commuovere e incuriosire ad ogni rappresentazione, ad ogni esecuzione, ad ogni ascolto: la trama e la musicalità di quest’opera non cessano di porci interrogativi e di darci risposte sempre nuove, come se fosse sempre la prima volta.

Il soggetto è tratto dal romanzo omonimo di Mérimée, ma nel libretto di Henri Meilhac e Ludovic Halévy viene radicalmente stravolto, arricchendo i personaggi e ricostruendo ex novo la vicenda d’amore tra Carmen e Don José. Da novella di costume Carmen diventa un dramma quasi verista (e quasi politico, nella Parigi in piena lotta di classe che aveva appena combatto per la Comune), in cui però solo alla fine è permesso mettere in scena la morte, pure continuamente evocata.

Se è nella tradizione musicale francese un particolare gusto per i temi popolareschi ed esotici, non deve però essere ritenuta questa la chiave di lettura dell’opera. L’ambientazione andalusa è solo un pretesto collaterale e di colore per mettere in scena la storia tragica di una donna libera che disprezza il mondo e di un uomo che non la può capire e che per questo l’ama e l’odia.

La forma di Carmen è un’opéra-comique, vale a dire il corrispettivo parigino del Singspiel tedesco, con dialoghi parlati e non cantati (anche se ne esiste una versione con i recitativi accompagnati), e richiede interpreti in grado di esprimere particolari capacità recitative, di espressione, di movimento, persino di danza. Bizet ha fatto indicare esplicitamente nel libretto, che molto gli deve, i requisiti teatrali per i vari ruoli e Carmen, stando alle sue indicazioni, dovrebbe ad esempio essa stessa suonare le nacchere nella danza all’osteria di Lillas Pastia.

L’allestimento che è in scena in queste settimane alla Scala di Milano è quello realizzato per la Prima del 2009 dalla regista Emma Dante, con le scene di Richard Peduzzi. Se allora poteva sembrare una regia troppo innovativa e suscitare persino i rimproveri del loggione, già oggi può tranquillamente rientrare nel novero delle regie tradizionali, e il giudizio che merita non è granché migliorato.

Le criticità che furono sottolineate ormai sei anni fa non hanno superato la prova del tempo. La Dante ha certamente colto tutti i lati drammatici della vicenda interiore ed esteriore dei personaggi e dimostra una maestria fenomenale nel gestire i continui movimenti dei cantanti e del coro, che entra ed esce di scena continuamente, ma il palco appare alle volte davvero saturo di elementi, alcuni peraltro evidentemente superflui.

Evidenzia forse un eccesso d’interpretazione, e di descrizione, la presenza costante del curato al seguito di Micaela (in barba alle indicazioni di libretto), come pure il corteo di supplici al seguito della croce inclinata. Totalmente inutili le due gigantografie della corrida esposte nel secondo atto dal nugolo poco comprensibile di maschere bianche che seguono Escamillo. Infine, davvero risibile la mascherata dei briganti del terzo atto, mal travestiti da piante, che ricordano più scene da musical per ragazzi, che un’ambientazione notturna e tragica.

Ultimo esempio. Nel primo atto, al cambio della guardia, i soldati portano sulle spalle dei ragazzini. Il fatto in sé può avere un senso con la trama, giacché è il coro di voci bianche a intonare le famose arie di questa scena, ma nelle “note di regia” stese di proprio pugno da Emma Dante, i ragazzini devono simboleggiare “il passaggio dall’infanzia all’età adulta”, “il piccolo esercito della propria fanciullezza”: troppa fantasia, che non aggiunge nulla e, anzi, rischia di dare noia.

Da notare la presenza costante di scene fisse, dei veri e propri muri di mattone rossicci, che ricordano il romanico di certi centri mediterranei, e che, senza dubbio, ben si prestano al gioco di luci e ombre cui sono sottoposti. In effetti, il fondale non è mai chiuso, e persino nel secondo atto, nella taverna sotterranea, una porticina al centro lascia intravedere uno spazio retrostante indefinito. L’ultimo atto si conclude su sfondo blu notte, ed è l’unico in cui il fondale viene nascosto prima da una muratura e poi dalla folla stessa.

I costumi ci portano all’inizio del ‘900, in Spagna o nell’Italia meridionale indifferentemente, e non sono mai precisi nella definizione spazio-temporale, ma tutti molto dettagliati. Ogni singola persona presente in scena compie i suoi gesti specifici, raccontando a volte delle storie marginali per l’occhio che le coglie, e ugualmente i costumi sono ognuno diverso dall’altro in qualche particolare: solo i soldati e le monachelle/sigaraie del primo atto parrebbero condividere la stessa identica uniforme.

Bizet ci racconta la storia di Carmen in quattro quadri, con un preludio che funge da collettore delle principali frasi musicali che si ascolteranno nelle ore successive.

Il primo quadro, o atto, si apre su una piazza cittadina (di Siviglia, vorrebbe il libretto), tra una fabbrica di sigari e una caserma di Dragoni. I ragazzi di paese rincorrono e festeggiano il cambio della guardia e i soldati e i paesani si scambiano pareri sulle belle lavoratrici che di lì a poco usciranno per la pausa. Tra costoro c’è la gitana Carmen, la bellissima, suadente e libera Carmencita, che non lascia scampo a chi la incontra: alla sua vista ne rimangono incantati sia il tenente Zuniga sia il sottufficiale Don José. Carmen canta la nota “habanera” in cui con sfrontatezza intona il suo illecito inno all’amore libero e irriducibile alle leggi della morale. Sul punto giunge Micaela, la promessa fidanzata di Don José, che gli rammenta le ansie e le preoccupazioni della madre lontana. Non appena rientrate nell’opificio le sigaraie s’invischiano in una rissa violenta, in cui resta ferita una delle lavoratrici e di cui viene accusata Carmen, che fuggendo si ritrova proprio tra le mani di Don José. Dopo un interrogatorio infruttuoso, in cui Carmen beffarda si pronuncia contro la legge, Zuniga impone a José di arrestarla e li lascia soli: Don José non può resistere alle provocazioni della zingara e alla promessa di un appuntamento, così, quasi incosciente, la lascia fuggire sotto gli occhi dei commilitoni. Per lui non c’è che l’arresto.

Quadro secondo. Nella taverna di Lillas Pastia Carmen e le amiche Mercedes e Frasquita intrattengono i clienti, perlopiù soldati e briganti, cantando e danzando per loro. Zuniga, presente, prova a corteggiare Carmen, senza successo. Quando l’oste e i suoi due aiutanti Dancaïre e Remendado provano a far uscire tutti per la chiusura, fa il suo ingresso trionfale il toreador Escamillo: per lui si apparecchia la tavola e s’intonano canti celebrativi. Il torero resta subito colpito da Carmen che però rifiuta le sue avances, alle amiche stranite dal suo contegno ella rivela di essere invaghita di Don José. Finalmente restano nella taverna solo le tre zingare con i tre faccendieri: Lillas Pastia, Dancaïre e Remendado propongono alle avvenenti ragazze un colpo da contrabbandieri in cui le tre avranno il delicato compito di distrarre le guardie, Mercedes e Frasquita accettano subito, Carmen è invece molto titubante. Mentre Carmen sta per convincersi arriva José, i due si prendono qualche momento di tenerezza e Carmen, nel suo continuo gioco di seduzione e velato erotismo, danza e canta per l’amante. Al colmo della tensione d’amore suona il richiamo militare, Don José deve scegliere, o tornare alla caserma o seguire Carmen, da disertore, nella sua vita spericolata. Carmen è affranta dall’incapacità di José di compiere una scelta per lei naturale. Torna Zuniga, insoddisfatto dal precedente diniego della zingarella, e scoppia la rissa inevitabile con l’ex camerata, ora contendente: Don José aggredisce e ferisce il suo ufficiale, quando i briganti li separano per lui non resta che la drammatica decisione di seguirli, abbandonando definitivamente la solidità della sua vita.

Quadro terzo. Nel covo montano dei contrabbandieri si sta per preparare il colpo. Don José è diperato per la vita che l’attende e per l’insana condotta di Carmen, sempre oltre il limite del lecito e del morale. Carmen, orgogliosa e fiera della propria libertà e indipendenza lo scaccia e si mette a leggere le carte con le due amiche: ad ogni rimescolamento le carte paiono predire sempre la stessa tragica sorte, molto presto moriranno sia Carmen sia Don José. I briganti stanno per partire, a Don José viene imposto di restare lì di guardia, a causa del suo temperamento imprevedibile nei confronti di Carmen. Giunge Micaela in cerca di Don José, lo deve riportare alla ragione, alla madre e alla tranquillità di una vita serena. Sul posto si sta aggirando però anche Escamillo, che cerca Carmen, da cui è rimasto profondamente sedotto. Il toreador s’imbatte in Don José e i due, avendo compreso la situazione, si sfidano a duello, José sta per avere la peggio quando tornano alcuni contrabbandieri e le zingare, attirati dal rumore. I due vengono separati e a Don José viene ordinato di andarsene. Escamillo fa in tempo ad invitare alla corrida i furfanti e Carmen, ormai invaghita del toreador e ammaliata dal suo comportamento. Micaela riesce a convincere Don José a tornare dalla madre, ormai in punto di morte: l’ex militare acconsente, ma lasciando l’amata la minaccia di vendetta.

Quarto e ultimo atto. Siviglia, davanti alla plaza de toros la folla festante esalta il torero Escamillo, che giunge accompagnato da Carmen e dagli altri gitani. Mercedes e Frasquita sono però preoccupate: Don José è nei paraggi, e sarebbe meglio per Carmen mantenersi in disparte. Ma Carmen non ha timori né paure, di che deve vergognarsi il suo animo coerente e libero? I due ex amanti s’incontrano, e José attacca la sua arringa disperata. In sottofondo si odono le esultazioni dell’arena, mentre Don José prima supplica Carmen di tornare ad amarlo, essendo lui disposto a dimenticare ogni rancore, poi inizia a minacciarla con prepotenza, ricordando quanto egli ha perduto per lei. Carmen getta a terra l’anello che le aveva donato Don José: non cede, è nata libera e libera è pronta a morire. Mentre si riversa in piazza la folla con in testa Escamillo, José, che non può sopportare la sprezzante indifferenza di Carmen, con un gesto folle e insano, pugnala a morte l’amata, con lo stesso coltello che lei stessa ha sfoderato per allontanare l’ex militare. Militari, briganti, toreri, uomini d’arme e d’azione, usi alla violenza e al sangue, devono assistere al più assurdo e abominevole degli assassinii: nell’attonito silenzio generale, Don José si consegna alla polizia.

Il direttore Massimo Zanetti rispetta l’usanza recente di ristabilire quasi completamente i dialoghi recitati originari, così da valorizzare appieno il portato drammatico delle parole pronunciate nel silenzio dell’orchestra o su musica non d’accompagnamento (i cosiddetti mélodrames). Eppure la straordinarietà di Carmen è che nonostante il forte impatto dei dialoghi, risulta davvero notevole la quantità di musica che scorre quasi incessantemente, fatto che suscitò le ammirazioni di Nietzsche e Wagner. Brahms e Ciajkovskij ne apprezzarono invece le sonorità così originali e così romantiche. Una musica quasi ironica, densa di citazioni popolari, che dipinge magistralmente passioni individuali e universali, a momenti caustica nel sottolineare il parallelismo costante di vicende antitetiche e che Zanetti ha rievocato magnificamente, pur senza particolare trasporto. L’ouverture, i preludi e le arie di Carmen si sono tutti impressi indelebilmente nella memoria culturale collettiva, un fatto più unico che raro, che ne testimonia il carattere di trascendente universalità e che, al contempo, riversa su direttore e orchestra una responsabilità non indifferente.

Ottimo il coro, diretto dal maestro scaligero Bruno Casoni, preciso nella dizione e versatile nell’interpretazione delle diverse folle di personaggi, dalla caserma, all’osteria, alla corrida. Spassose le voci bianche, ragazzini bravi e divertenti.

Stranamente molto imprecisi nella pronuncia francese quasi tutti gli interpreti, in particolare José Cura, nei panni di Don José, che alla prova generale e alla prima ha attirato qualche fischio per la performance non certamente esaltante, anche se comunque assai dignitosa. Bravo attore e sempre intonato, che ha però voluto risparmiare la voce, rendendo di fatto un po’ scialba l’espressione.

Ottima Elena Mosuc, nei panni di Micaela, davvero splendida nelle poche arie che le competono e, soprattutto, nelle condizioni registiche in cui si è dovuta esibire: sempre seguita dal curato e dalle prefiche e ovattata in costumi da bomboniera di lutto o di sposalizio, o ancora avvolta in veli e lenzuoloni.

Bravo il baritono Vito Priante, il toreador Escamillo, che si è dimostrato all’altezza del ruolo affatto secondario e, benché qualche grossolano scivolone nella dizione, ha fornito buona prova delle proprie capacità vocali ed espressive.

Simpatici e notevoli i due contrabbandieri Michal Partyka e Fabrizio Paesano, dalle movenze circensi e dalla voce squillante e comica, adattissimi alla parte vivace che spetta ai ruoli, rispettivamente, di Dancaïre e Remendado.

Meravigliose le due zingarelle Mercedes, Sofia Mchedlishvili, e Frasquita, Hanna Hipp. In particolare la Mchedlishvili ha sorpreso con la sua voce piena, limpida, ferma e dalla sonorità energica. Nei terzetti con Carmen i due soprani hanno dato il meglio di sé, in un’esibizione davvero impeccabile.

Molto bravo anche Gabriele Sagona, il tenente Zuniga, in un ruolo alquanto vivace per un basso, eppure ben interpretato.

Infine, al posto d’onore, Elina Garanča, una Carmen bionda con gli occhi di ghiaccio, che ha suggellato con altissima qualità il cast. Attrice, persino danzatrice, sensuale e drammatica. Mezzosoprano con un’estensione particolarmente ampia, dalla voce eccezionale, corposa ed espressiva. Le minime sbavature della dizione non hanno potuto offuscare un’esibizione che ha lasciato il pubblico in estasi. Nel secondo atto si è dovuta esibire in due danze, la prima nella scena con Don José, in cui la Dante le ha risparmiato le nacchere, e la seconda con i compagni di brigata, in una frenetica coreografia d’insieme in cui la mezzosoprano si è comportata davvero dignitosamente.

La Garanča è riuscita a entrare nel complicato personaggio di Carmen e, nonostante la gestualità poco suadente imposta dalla regia, ne ha esaltato il carattere eternamente unico che esso rappresenta nella storia dell’opera. Carmen che sfida la legge e la morale fin dalle primissime battute, prima con l’habanera “L’amour est un oiseau rebelle”, e poi rispondendo a tono a Zuniga “Coupe-moi, brûle-moi, je ne te dirai rien”: una denuncia bella e buona contro la morale bigotta, una vera e propria provocazione in faccia alla borghesia, impersonata da Don José. A Micaela, infatti, compete la parte misera, decadente e stanca della morale cattolica, già fuori dal tempo, mentre Escamillo è un Don Chisciotte di successo, l’eroe popolare, la controfigura maschile, e dunque accettabile, di Carmen.

Lei, la zingara, trattata come prostituta, eppure mai inganna né mai tradisce alcuno. La sua sincerità e onestà è disarmante, nemmeno i suoi compagni di ventura la possono veramente comprendere: le sue arie popolaresche tramandano l’eterno anelito alla felicità e all’amore, fuori dalle convenzioni imposte dalla società. Quando sa che sta per morire Carmen non fugge né si dispera, per lei amore e morte equivalgono. Parla in terza persona di se stessa (“Jamais Carmen ne cédera! Libre elle est née et libre elle mourra!”), difende il proprio codice etico, il proprio senso dell’onore, antico tanto quanto i paraventi ideologici militareschi e patriarcali di Don José (egli si consegna alle guardie, fedele indefesso all’ordine legale che gli è stato inculcato, che pure viola ogni volta che entra in contatto con l’amata). Non si sta per avverare “soltanto” uno dei più celebri femminicidi della storia musicale, né la classica autoimmolazione eroica, e l’interpretazione di Elina Garanča ce lo dimostra: è la sublimazione, la catarsi della più commovente e toccante vicenda umana, la prepotenza del mondo che schiaccia meschinamente i sogni di una giovane libertaria.

A tutte le Carmen di questo mondo e a Bizet, grazie infinitamente.

Articolo di Marco Nebuloni per IlBecco.it

Per approfondire: http://www.ilbecco.it/cultura/musica/itemlist/user/3070-marco-nebuloni.html

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