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La paura fa '90 - Klaxons e riciclaggio musicale (2/2)

Non esiste mai quindi un solo revival, ne esistono tanti, la musica rock stessa, dal ’54 in poi è stata un unico grande revival in cui si combinavano suoni del presente, del passato prossimo e di quello remoto in modi sempre nuovi, e le “scene” si sono sempre generate attorno ad artisti ed etichette in grado di innescare qualcosa, ovunque guardassero, e generare fenomeni di emulazione, complice una carica innovativa misurata (chi è troppo avanti rispetto alla sua epoca fa normalmente la fine della Cassandra di turno) e un successo di pubblico e critica più o meno di massa.

Si pensi a cosa hanno significato ed innescato in questi anni gruppi e artisti diversissimi come Devendra Banhart, The Streets o gli Strokes, che hanno dato il via a fenomeni di emulazione o, più semplicemente, reso cool suoni e scene che già esistevano in precedenza. Ogni volta che viene proposta una sintesi di vecchio e nuovo in grado di fare breccia nell’”opinione pubblica” o di innovare, anche se a volte con la testa parzialmente rivolta all’indietro, l’effetto a catena riparte e si creano scene virtuali e reali, e fitte schiere di imitatori (oltre che di innovatori nell’imitazione )

Che poi questo sia stato, fino ad ora, il decennio del revival anni’80 è indubbio, vista la quantità di label e artisti, più o meno indie , che ne hanno replicato vezzi e sonorità: è fuori discussione ma si tratta solo del fenomeno più corposo e in vista e la generalizzazione può funzionare finché non ci si comincia a credere davvero, cadendo nella trappola di un pensiero massimalista e generalista. Se però si circoscrive il fenomeno e lo si considera rispettandone la complessità di fondo, allora si, si può giocare a scommettere su determinati recuperi e fenomeni, ed è indubbio che il recupero dei ‘90s sia ormai alle porte.

Ed è probabile che uno dei primi segnali di questo recupero stia partendo coi Klaxons: aldilà del glanour, aldilà della risibile scena Nu Rave (risibile perché creata in gran parte nei laboratori delle redazioni inglesi e per il momento musicalmente fittizia), non si può mettere in dubbio che il gruppo abbia creato una miscela dirompente: quando ascolti per la prima volta Atlantis To Interzone resti inchiodato alla sedia, perché quella miscela di new wave, noise rock e hardcore techno primi anni ’90, pur nella sua vena retrospettiva, è qualcosa di nuovo. Non si tratta mai delle singole componenti, ma di come esse vengono dosate: perché se vogliamo dirla tutta i primi esperimenti di fusione tra rock e hardcore techno li facevano già 10 e passa anni fa i Prodigy. Con una differenza: i Prodigy venivano dall’hardcore techno e dal mondo dei rave e inglobavano nella loro musica scorie di suono rock, qui il percorso è opposto. Sembra un dettaglio ma non lo è. Perché la musica dei Klaxons resta, prima di tutto, indie rock, ha una natura più organica , è strutturalmente opposta, ma ingloba dentro di sé i suoni, i ritmi, persino l’iconografia (smileys e glowsticks) della techno dei rave.

Se vogliamo, il parallelo più azzeccato andrebbe fatto con i tizi di Madchester: che però erano indie rockers in visita alle fonti dell’acid house e agivano sul finire degli anni’80, quando le differenze tra house e techno non erano ancora troppo marcate (da notare comunque, tanto per aggiungere un po’ di confusione nella mente di chi legge, come anche l’acid house sia stata, in questo nuovo millennio, rivisitata da parecchi produttori): il suono dei Primal Scream di Screamadelica era allucinato ma a modo suo caldo, aveva dentro mood e bpm ben diversi. Il suono dei Klaxons è più vicino all’hardcore techno dei primi ’90, seppur svuotata dei suoi elementi più meticci, ma anche alla techno più o meno commerciale che fioriva negli stessi anni in Inghilterra: è un suono aggressivo, allucinato e cupo che si fonde o si alterna maledettamente bene con le opposte spinte garage, new wave e noise rock. E qui sta la questione: come diceva un saggio di cui non ricordo il nome, non è il punto d’arrivo che conta, ma il percorso che fai per arrivarci: e nel loro tornare indietro i Klaxons si portano nel dna tutto il loro bagaglio di retro-modernità, l’esperienza della new new wave e de new rock, e tutta l’acqua passata sotto i ponti in questi anni.

Una sindrome un po’ da “Ritorno al Futuro” se vogliamo, per cui si rivisitano con abiti e vesti moderni paesaggi musicali del passato più o meno prossimo, ma che è l’anima e l’essenza della maggior parte dei filoni e percorsi musicali. E per sapere che, Nu Rave o meno, da quest’ennesimo viaggio nel tempo qualcosa si genererà non serve nemmeno attendere il disco, né tanto meno spulciare le ricostruzioni fittizie di una presunta scena da parte dell’NME: la cosa sicura è che la miccia è accesa, e l’esplosione, in una forma o nell’altra ci sarà, con effetti e modalità ancora imprevedibili.

Per approfondire: http://www.storiadellamusica.it

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