A Live – Liars + Disco Drive

Live – Liars + Disco Drive

Il buttafuori arriva e praticamente mi sbatte fuori dal locale. Allo stesso modo in cui è iniziata è finita la serata al Musicdrome (ex Transilvania) di Milano. In mezzo il delirio. E forse anche di più. Ma andiamo con ordine.

Tre ore e passa di treno per arrivare a Milano e manco a dirlo riesco ad arrivare in ritardo all’appuntamento previsto con gli amici. Dopo viaggi più o meno spericolati in macchina arriviamo comunque con lodevole anticipo al locale. Il temuto tutto esaurito ovviamente non si è realizzato neanche lontanamente e i Disco Drive, gruppo spalla della serata, non sono ancora saliti sul palco. Buono così. C’è il tempo per finire la birra portata da casa e scroccare una sigaretta. In questo contesto arriva la prima ammonizione dell’addetto ai servizi: “Qui non si può stare con sigaretta e bottiglia”.

Per questo ed altri motivi mi viene da dire due parole sul novello Musicdrome: fa cagare. Il vecchio e glorioso Transilvania è stato rivoltato come un calzino e trasformato idealmente in un posto per fighetti. Il dark che permeava ovunque con trucchetti mortuari e plasticofili tipo ragnatele e tombe ha lasciato il posto a un bianco candido e insipido che toglie ogni magia anche puerile all’ambiente.

Ad ogni modo quando finalmente si entra nel locale i Disco Drive hanno appena iniziato a suonare. Vengo a sapere che in realtà prima avevano già suonato i Htrk, gruppo d’accompagnamento abituale dei Liars, ed è un peccato esserseli persi, ma non abbiamo di che piangere ascoltando lo strepito emanato dal trio torinese. Sorprende decisamente la giovane band italiana, mostrando una grinta e un’aggressività sonora che sui due dischi finora pubblicati non sembravano avere. Il loro punk-funk spruzzato di new wave è esplosivo e fiammante e se a tratti sembra di sentire anche gli Oneida più psichedelici e post-punk molto più spesso si rimane nella quasi certezza che siano praticamente i cuginetti ideali dei Liars.

Alla fine escono tra gli applausi e non fosse che si attende il gruppo headliner come degli semidei sono sicuro che ci sarebbero state ampie richieste di bis. Ad ogni modo si arriva al momento clou: salgono sul palco Julian Gross alla batteria, Aaron Hemphill al basso e il novello chitarrista preso da poco in supporto di cui non vale neanche la pena parlare tanta sarà la sua quasi totale invisibilità sia sonora che a livello di immagine. I tre cominciano a suonare la base strumentale di Hold and it will happen anyway e si aspetta l’entrata in scena del frontman Angus Andrew, la quale avviene più trionfale che mai con il suo notorio abito interamente bianco (che tra l’altro fa pensare un po’ agli Hives) tra applausi e strepiti. Le leggende che circolano attorno agli spettacolari show dei Liars sono subito confermate: Angus balla, si denuda, lancia sguardi allucinati al pubblico e si eleva al di sopra della platea e del palco stesso con pose teatrali a metà tra il cigno e il buffone di corte. Non si capisce bene se il frutto della sua esibizione sia dovuta all’uso di droghe e di chissà quali sostanze o se si tratti di una pura e semplice recitazione ad hoc.

Probabilmente entrambe le cose. Resta il fatto che a vederlo Angus ricorda tantissimo un incrocio tra il Nick Cave più lugubre e scenico e l’Iggy Pop volutamente cazzone pronto a farsi ridere in faccia con esibizioni volutamente poco serie. Di fatto Angus Andrew è l’anima più schietta dei Liars: schizofrenico e scherzoso ma allo stesso tempo geniale e raffinatissimo nel cambiare tonalità di canto e modalità di comportamento. Subito dietro al folletto leader del gruppo troneggia il batterista Julian Gross, vero protagonista soprattutto nei pezzi tratti dall’album Drum’s not dead (Drum and the uncomfortable can, A visit from drum, Let’s not wrestle mt.heart), pur spesso accompagnato alle percussioni dal poliedrico Aaron Hemphill, capace di passare indifferentemente anche dal basso alla chitarra. Sono pezzi che inchiodano questi; ritmi tribali in cui si rimane affascinati dal richiamo di un suono orgiastico, quasi primordiale, un suono che sembra uscire direttamente dall’Africa più nera filtrata attraverso la psichedelia kraut dei Can e il calderone post-punk di inizio 80s. Ma davvero si fa fatica a delimitare i confini del suono Liars, che svariano tra punte di raffinatissimo shoegaze (Freakout, Pure unevil) a brani più lenti ma di intensa passione (Houseclouds, The other side of mt.heart attack) e dalla forte carica lisergica (Be quiet mt. heart attack). Ma alla fine i momenti più devastanti della serata sono la giungla sonora di We fenced other houses with the bones of our own e soprattutto due vere e proprie mine antiuomo: parte Plaster casts e la massa arrembante non resiste più e scoppia in un pogo esasperato che coinvolge anche il sottoscritto. Sarà poco professionale ma sembra impossibile resistere alla febbre Liars, un virus che entra nelle orecchie, colpisce il cervello e obbliga il corpo a muoversi come in preda a crisi epilettica e la bocca a lanciare urli a squarciagola verso lo scatenato Angus. A chiudere il concerto una formidabile versione di Broken witch. Tutti la cantano e sembra il finimondo e ci si chiede come faccia Gross alla batteria a tenere quei cambi di ritmo impressionanti. E ci si chiede quanto sia fumato Angus e quanto siamo impossessati noi cui riesce impossibile non cantare a squarciagola uno dei testi più ridicoli e no-sense che si ricordino (“I, I am the girl. She, she is the girl. He, he is the bear.” E poi quel “blood” ripetuto ossessivamente fino allo sfinimento) in quella che non è più nemmeno una giungla né un’orgia sonora ma un vero e proprio samba sensoriale in cui ritmo, sudore e genio si mescolano in un trip allucinante.

No, è inutile. Troppo difficile da descrivere.

Rimane comunque la sensazione di aver assistito a qualcosa di cui ci si ricorderà per parecchio tempo.

E soprattutto rimane il foglio della scaletta stilata dal gruppo e regalatami da un Aaron Hemphill tanto squisito quanto affabile finchè il buttafuori di turno non è venuto a buttarci fuori. Vi lascio con questa scaletta, a testimonianza che probabilmente i chilometrici nomi dei pezzi non li conoscono nemmeno loro che li hanno composto. È tutta una buffonata in fondo. E l’importante è divertirsi.

Setlist usata dai Liars (tra parentesi i nomi dei brani corretti giustamente)

7 (Hold and it will happen anyway)

snail (Drum and the uncomfortable can)

freakout

broom (A visit for drum)

houseclouds

kingdom (We fenced other houses..)

pure unevil

movie (Let's not wrestle mt. heart attack)

bys (The other side of mt. heart attack)

plaster casts

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beach (Be quiet mt. heart attack)

broken witch

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