A Live Report - Miami Festival (Milano 07.06.09)

Live Report - Miami Festival (Milano 07.06.09)

Premessa: questo report live non era in programma nelle attività del sottoscritto, ma si è reso necessario, oserei dire quasi come un obbligo morale, per poter cantare le gesta dei Julie’s Haircut, che ad oggi si avvicinano ad essere quanto di meglio prodotto dall’Italia in fatto di musica psichedelica. Mi scusino quindi se il formato dell’articolo sarà totalmente caciarone, approssimativo e sputa-sentenze, ma si doveva pur riempire le righe in qualche maniera…  

Detto ciò spieghiamo perché l’articolo non era previsto: fondamentalmente il motivo è che non sembrava il caso di effettuare un report live di un festival avendo assistito a neanche un terzo del suddetto. Delle tre giornate che hanno composto il Miami infatti ho potuto andare solo a metà dell’ultima, arrivando quindi verso le otto di domenica sera, con quattro ore di ritardo dall’inizio dei concerti.  

Il motivo primario di questa scarsa presenza è dovuto a una bella dose libri da studiare più che a un programma così indecente, anche se a scorrere le scalette di venerdì e sabato non è che si rimanga certo abbagliati dalla lista degli ospiti: spuntano i nomi invitanti di Dente, Mariposa, Hot Gossip, Samuel Katarro e Beatrice Antolini oltre a una buona fetta di giovani sconosciuti (forse emergenti, forse chiaviche, chi può dirlo? Io ovviamente no) oltre che a gruppi usurati e discutibili come Linea 77, Statuto, Ministri…  

Ad ogni modo si sapeva che il culmine era stato appositamente pensato (con sapienza c’è da dire) per domenica, evitando dispersioni tra i due palchi ma concentrandosi bensì sul “Sandro Pertini” (probabilmente l’unica presenza socialista degna di nome su un palco nell’ennesima domenica buia della democrazia italiana). I nomi in programma erano grossi: Giorgio Canali, Valentina Dorme, Marta sui Tubi, Julie’s Haircut e Super Elastic Bubble Plastic.  

Oltre naturalmente a tutti gli altri a me sconosciuti (tra cui gruppi dai nomi strepitosi come “I Ganzi”) che purtroppo non ho avuto modo di ascoltare essendo arrivato appena in tempi per gli ultimi scampoli dei Valentina Dorme, gruppo alt-rock d’autore di semi-culto di cui conservo quel Capelli rame (2002) che consiglio di recuperare. Dal vivo però non mi hanno esaltato particolarmente, bloccati forse proprio da un’intellettualità spinta o da una freschezza ormai sul viale del tramonto.  

Dopo di loro sale sul palco Giorgio Canali con i suoi fedeli Rossofuoco. Canali lo conosciamo tutti, è il solito pirla a cui siamo affezionati. Quel nonnetto un po’ anarchico un po’ svitato che tutti noi avremmo voluto avere quando eravamo piccoli per fare cose svitate come scendere le scale con lo slittino o pigliare per il culo la gente che passa dalla finestra. Dal punto di vista caratteriale Canali non si smentisce: prende in giro buona fetta del pubblico dopo aver bestemmiato e ironizzato sul Papa e sugli anticlericali, poi dà due o tre testate al microfono con grande rincorsa facendo credere di avere ancora una certa linfa giovanile in corpo.  

Peccato che l’ugola bistrattata da fumo e alcool (compresa la bottiglia di rosso che si è portato sul palco) faccia intendere molto chiaramente di non aver più tanta voglia di seguire il suo capo sregolato. Di conseguenza le canzoni risentono delle prestazioni vocali non eccelse; in particolare vecchi inni come Precipito paiono davvero sciupati nella nuova versione rispetto a quella classica. L’esibizione resta comunque più che dignitosa con l’innesto di alcuni ottimi pezzi tratti dal nuovo album Nostra signora della dinamite (non tutti convincenti a dir la verità), ma soprattutto con la strepitosa prova di Luca Martelli che si conferma uno dei batteristi-picchiatori italiani più interessanti in circolazione.  

Il capitolo successivo è dato dall’esibizione dei Super Elastic Bubble Plastic al cui arrivo urlo un pessimo “andate a lavorare sul secondo album disgraziati!” venendo a sapere da un amico di aver detto una cagatona per il fatto che han fatto uscire un disco giusto l’anno scorso. Rimango allibito per essere rimasto all’oscuro di una simile notizia. Rammento infatti il piccolo caso che aveva creato il disco d’esordio della band padovana e mi sorprende essermi perso per strada un’uscita così importante.  

La cosa più buffa è che mentre scrivo e navigo in rete per cercare notizie a conferma di ciò scopro che in realtà di album ne hanno fatti addirrittura tre (quattro se contiamo il primo demo del 2002), quindi capisco che urge fare davvero un serio esame di coscienza. Prima però recupererò entrambi i dischi perché il nuovo corso (nuovo ovviamente per il sottoscritto ignorante che lo scopre solo ora) della band pare più che convincente. L’impressione che emerge dal live è di un attenuamento dei toni, di un passaggio calcolato verso un suono più personale, melodico e maturo, ben innestato tra garage, nefandezze heavy e punk-rock duro. Se prima sembravano la curiosa versione italiana degli Shellac di Steve Albini ora la strada sembra più eclettica e “commerciale” in senso buono, con un tipo di sound accessibile a tutti (fatto confermato anche dalla mia ragazza non propriamente amante del post-core e del math-rock).  

Ma il vero fenomeno della serata, il vero motivo che ha spinto il presente scribacchino a prender penna, è senz’altro dato dalla strepitosa esibizione dei Julie’s Haircut. Lo ammetto: alla vigilia ero un po’ diffidente. O meglio, diciamo che riponevo maggiore interesse per Marta sui Tubi e Super Elastic Bubble Plastic. Il motivo era che i Julie’s se ne erano usciti fuori con un disco difficile come Our secret ceremony, un doppio che alternava momenti di grande spessore ad altre fughe che ad un ascolto compatto appesantivano un po’ l’insieme, rendendolo prolisso e difficile da reggere.  

E questo nonostante nutrissi grande stima del disco precedente After dark my sweet (2006), il quale era già un album maturo e talmente fico da diventare un punto di riferimento essenziale per chiunque volesse fare rock e psichedelia in Italia in questo decennio e nei tempi a venire. Ogni dubbio è stato spazzato via da una prestazione di così elevato spessore da far illuminare gli occhi del sottoscritto, che di colpo ha capito e riconosciuto l’essenza profonda della musica dei Julie’s. Un’essenza che va rintracciata nel filone più mistico e cosmico della grande stagione kraut-rock dei 70s, con quei punti di riferimento essenziali che sono Tangerine Dream, Can, Neu!, Klaus Schultze e Popol Vuh.  

Li ho risentiti tutti questi gruppi nella musica dei Julie’s; migliorati però, consci dell’avvento della musica da (s)ballo esaminata qualche anno fa da Reynolds. Loop e sintetizzatori tornano a sovrapporsi ad una batteria metronoma e anonima (eppur sublime). Elettronica, tastiere, basso fumante e chitarre frastagliate si mischiano creando turbini e selve inestricate di suoni. È psichedelia come si credeva in Italia non si potesse fare. È poesia sonora. All’estero non sono in molti a fare roba simile con tale piglio. Gli Oneida mi sembrano il paragone più azzeccato così su due piedi.  

In ogni caso dopo i Julie’s Haircut poteva salire sul palco anche Dio stesso che non sarebbe riuscito a fare meglio. Figuriamoci invece trovarsi davanti dei Marta sui Tubi che nonostante le attese mi sono sembrati decisamente loffi e monotoni. Non che non abbiano suonato bene, anzi. Ma la loro esibizione è stata tutta così perfettina, lucida, tutta così bene calcolata per ricreare perfettamente i suoni del disco, da diventare di fatto nient’altro che una resa noiosa e impalpabile. Musica popolare di plastica, a voler essere cattivi. Tanto valeva starsene a casa a sentirsi i primi due dischi, oltrettutto senz’altro superiori all’ultimo Sushi e Coca… Me ne vado addirittura prima della fine (cosa per me davvero insolita). Forse era la stanchezza eh. Magari la disgraziata voglia di vedere i dati politici nella comica speranza potessero esserci state piccole rivoluzioni elettorali. O forse è solo il fatto che dopo i Julie’s Haircut non si poteva davvero fare altro che andarsene via e non ascoltare più niente. Tanto di cappello dunque.

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bargeld alle 12:44 del 17 giugno 2009 ha scritto:

bel report peasy, nonostante non copra tutto il festival mi sembra molto sentito e mi son rotto di leggere sempre sfilze di scalette e dati sterili. i julie's dopo i primi 3 album li ho un po' abbandonati, non so forse il loro periodo psich è coinciso col mio search and destroy. canali... lui morirà così. non è salvabile!

Alessandro Pascale, autore, alle 13:45 del 17 giugno 2009 ha scritto:

ti ringrazio per i complimenti, e spero di contraccambiare consigliandoti caldamente di recuperare i due ultimi dischi dei julie's. Se sei arrivato a adult situations ti sei sicuramente perso il meglio

Canali hai ragione, non c'è niente da fare, morirà così, da anarchico strafottente e irriverente. Lode a lui.

bargeld alle 14:25 del 17 giugno 2009 ha scritto:

esatto proprio a adult situations, che mi ha subito stufato... vedrò di rimediare allora. anche perchè ora sono decisamente in periodo psich!