A Live Report - Pixies a Ferrara sotto le stelle

Live Report - Pixies a Ferrara sotto le stelle

Onore ai Pixies. Pixies in paradiso. Onore ai Pixies, anche a quelli di oggi, oltre che – ovvio – a quelli di ieri. La band che a inizio anni Novanta è stata (s)consacrata come musa ispiratrice di tutto il movimento “alternative”, da Cobain ai Pavement e giù giù fino ai gruppetti più misconosciuti, arriva alla sua seconda (?) reunion. Il tempo – tralasciando l’estetica – non sembra essere stato poi così inclemente. Avranno pure  i loro acciacchi questi nonnetti, ma ce ne fossero (oggi) di gruppi a questo livello. E con un tale repertorio. 

Salgono sul palco di Ferrara con goffaggine dopolavorista. Frank Black evidentemente appesantito (anche se meno degli ultimi tempi ad essere sinceri), Kim Deal agghindata da casalinga disperata (non come quelle della serie però), David Lovering (il batterista) pare appena smontato dal turno in fabbrica e Joey Santiago (il chitarrista) da quello di un ring dove ha fatto a cazzotti. Gli ultimi due rimangono, comunque, sempre nel cono d’ombra delle due voci, dei due leader di questo mostro (che è sempre stato) bicefalo. Kim Deal e Frank Black: divisi da una parte all’altra del palco. Separati in casa ancora una volta, anche se durante tutto il concerto cercheranno di dimostrare il contrario.

Intanto il pubblico – per l’unica data italiana ovviamente sold out in Piazza Castello – è già in adorazione. Attaccano senza fronzoli e sono subito good vibrations, empatia, feeling completo. Più con il pubblico che tra loro. A parte qualche correzione d’assetto il tiro è comunque quello giusto. Il motore ritmico regge nonostante l’età e la polvere depositatasi negli anni. Anzi, forse, il tempo riesce a dare ancora più fascino a questo suono tra wave, art-rock e proto-grunge. Anche se ri-acceso a oltre un lustro di distanza dall’ultima tournee il groove gira bene e il pingue Francis non sembra ancora pronto per la pensione. La sua voce – vero marchio di fabbrica della casa – è sempre la stessa: aggressiva, graffiante, sardonica, terribilmente pop. Con tutto il corollario di urla stridule e risate da psicopatico comprese nel pacchetto.

Uno dietro l’altro con nonchalance scorrono i grandi classici. “Wave of mutilation”, “Bone machine”, “Caribou”, “Here comes your man”, “Velouria”, “Debaser” (non proprio perfetta ad essere pignoli del tutto), “Monkey gone to heaven”. E avanti così. Pensare che con un paio di canzoni come queste certi gruppetti camperebbero per anni. Il pubblico risponde, intonando parola per parola (più o meno) gli ormai classici refrain dei bostoniani. Risponde anche troppo a dir la verità, visto che a metà concerto la band è costretta a fermarsi per non trovarsi le prime file direttamente sul palco. Lo stop forzato di qualche minuto non abbassa, però, la temperatura. I quattro continuano a macinare e chiudono in bellezza con un’epica “Gigantic”. Dopo un paio di bis (la leggendaria “Where is my mind?) cala il sipario. Chissà quando per la prossima rimpatriata. Intanto giù il cappello. Le scimmie continuano ad andare in paradiso.

C Commenti

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bart alle 18:08 del 2 agosto 2010 ha scritto:

Grandiosi!

E' stato uno dei migliori concerti a cui abbia mai assistito. Hanno interpretato i loro grandi classici con un'intensità da fare invidia a dei ventenni. Coinvolgenti, avvincenti ed emozionanti! Se non ci fosse stata quell'interruzione dovuta ad alcuni spettatori un pò esagitati, sarebbe stato perfetto.