A Live Report - The National @ Alcatraz, Milano, 16/11/2010

Live Report - The National @ Alcatraz, Milano, 16/11/2010

Live Report: The National (16/11/2010; Alcatraz, Milano)

I The National sbarcano nella nostra penisola dopo tre anni di assenza. 2007, anno in cui vide la luce quel The Boxer che, quasi ad unanimità, viene considerato da pubblico e critica una delle pietre miliari, in ambito musicale, degli ultimi anni. Nei giorni scorsi, i concerti dei cinque hanno fatto registrare il sold out in mezza Europa: un tour de force (letteralmente) per Berninger and co. che già domani saranno a Den Haag per promuovere il loro ultimo disco, High Violet.

Questa sera, invece, sono a Milano.

La spasmodica attesa per la loro esibizione live, dilatata lungo questi ultimi mesi, ora me la sento completamente addosso, traslata in un ibrido stato di eccitazione ed irrequietezza. Non credo di esser l'unico a provare ciò, in questo momento. Le vie del centro sono intasate: è una Milano umida e fredda quella si presenta, triste e incapace di comunicare qualcosa di positivo. Svolto con la macchina in via Valtellina e la lunga coda di macchine, il fatto che nelle vicinanze non si riesca a trovare un parcheggio che sia uno, il “vendo, compro” dei bagarini, non sono nient'altro che gli effetti collaterali di una delle serate più attese dell'anno. E tutto questo, in un certo senso, lo apprezzo.

Dentro l'Alcatraz la gente pare elettrizzata, mentre attende l'inizio dello show: i Phosphorescent, band alt-folk di Athens capitanata dal leader Matthew Houck, stanno già proponendo i nuovi pezzi del loro ultimo album, Here’s To Taking It Easy. Il tempo di prendere al volo una cosa da bere e via, subito ad accalcarsi assieme agli altri di fronte al palco: c'è chi estrae fin da subito la fotocamera digitale attendendo istruzioni; c'è chi spintona - in preda all'ansia - per passare nelle file davanti. E più trascorrono i minuti, meno riesco a distinguere le persone che mi stanno intorno. Ciò che resta sono voci. E teste. Mi volto: sì, è sold out.  Proprio mentre una ragazza, a qualche metro da me, urla “Uhh, Matt! “ si spengono le luci, e grida concitate, coprono il tutto.

I National salgono finalmente sul palco: un set scarno il loro, con i soli ottoni a “supporto” del gruppo, suonati da Benjamin Lanz (già presente nei credits in Conversation 16) e Kyle Resnick (Afraid of Everyone). Il tempo di un veloce saluto in italiano, ricambiato da un sentito applauso, e lo show ha immediatamente inizio. Runaway è il primo pezzo della scaletta: un brano intenso, dove il cantato baritonale di Berninger, enfatizzato dalla sobria gloria degli ottoni, comincia fin da subito a sciogliere il cuore dei presenti. La trascinante ritmica della claustrofobica Anyone's Ghost consegna il testimone ad uno dei brani più noti della discografia targata The National: Mistaken for Stranger. Benché non perfetta nell'esecuzione, viene cantata con tempra da tutti gli astanti.

Nel suo elegante vestito nero, Berninger si esibisce perennemente a capo chino, con gli occhi serrati, modulando con fare scenico il suo canto - attento al più minuzioso dettaglio - concedendo, saltuariamente, una fugace occhiata al pubblico. Osservo Scott Devendorf cercare insistentemente lo sguardo del fratello Bryan: ma niente, lui se ne sta lì, dedicando tutto se stesso alla sua arte. E quando Squalor Victoria attacca, gli applausi sono solo per lui. La batteria disegna un'incessante geometria articolata lungo tutto il pezzo, irresistibile nella ritmica. Davanti a migliaia di braccia levate al cielo, parole e suoni nell'etere e corpi scatenati in balia di spasmi muscolari, ecco che sullo sfondo gli slanci aggressivi di Berninger prendono realmente forma.

La sofferta Slow Show, maggiormente elettrica rispetto alla versione in studio, si conclude con una coda, insieme, magnifica e trionfale. Capace di emozionare sinceramente, a più riprese. Dopo la tetra angoscia di Afraid of Everyone, è la volta di Sorrow, brano che si schiude grazie al perfetto sincronismo ritmico tra Bryan Devendorf e noi. Il “lavoro sporco”, fatto di tessiture perforanti in sottofondo, viene eseguito, alla chitarra, da un magistrale Bryce Dessner. Una catarsi l'ascolto, dove si respira a pieni polmoni l'aria di una romantica tragedia personale. Berninger, barcollando, dà voce alla contemplazione di un dolore esistenziale che non intende cessare neanche di fronte all'avanzare degli anni.  

E se ora parte del pubblico continua a richiedere, incessantemente, Lit up, ecco invece che in pasto viene consegnata Abel: Berninger, qui, alterna grida ad un cantato profondo e grave, sbilanciandosi verso il pubblico delle prime file, consegnando la sua mano a chiunque gli capiti a tiro.

La prima parte di Conversation 16 non convince, e sul finire del ritornello, Matt si incespica nei versi: divertito, cerca “conforto” nel volto dei gemelli Dessner; tempo pochi secondi, come se nulla sia accaduto, i cinque riattaccano a suonare. Alla grande, questa volta. La solenne England, melanconica poesia confessionale, è accompagnata da scenografiche proiezioni d'interni di cattedrali, sovrapposte ai volti, opachi, dei cinque protagonisti di stasera. Una canzone che, anche dal vivo, conquista totalmente per la sua amara remissione. La prima parte del concerto si chiude con un brano poco noto ai più, About Today, pezzo ripescato dal loro EP Cherry Tree del 2004. Giusto il tempo di rifiatare per i National, e per me, di scrutare i muscoli facciali ghiacciati e gli occhi giulivi del pubblico – che, durante il live, si è mostrato attento e appassionato - e i nostri fanno ritorno sul palco.

La ballata che non mi aspettavo, Lucky you e, in un certo senso, la canzone manifesto di Alligator, Mr. November, ci traghettano, in uno stato psicofisiologico inclassificabile, verso la fine. Ed è così che il concerto si conclude con la memorabile performance di Terrible Love, un momento incredibile, che non si scorderà facilmente: sul finale della canzone, Berninger lascia di scatto il palco e scende in mezzo alla folla. Mani a mezz'aria tengono elevato il filo del suo microfono, mentre lui sfila feroce tra il pubblico, sbraitando “it's a terrible love that i'm walked here, It takes an ocean not to break”, facendosi largo con il solo l'obiettivo di giungere in fondo alla sala. Ora una porta laterale si apre, e Matt salta fuori, in velocità, salpando di slancio nel bus della band. I fratelli Dessner e Devendorf portano a termine la canzone, sebbene i più paiono ignorarli, preferendo un lungo applauso in direzione della traccia mnestica del cantante sulla soglia della porta.

Le mille luci del locale si riaccendono: ora la tensione si scioglie un po', l'adrenalina si riduce. Un'ora e mezza circa - tempo sì scarso, ma intenso, concentrato -  in apnea: intorno a me, noto solo gratificazione per un concerto capace, da un lato, di coinvolgere intimamente l'ascoltatore nei momenti in cui, a vincere, sono le pieghe malinconiche e disilluse dei brani; così anche di trascinare - e di esaltare, sciogliendo ogni resistenza interna e di pudore - nei brani più aggressivi. Dirigendomi verso la macchina, sospeso in uno stato di quiete e assoluto benessere, ripercorro tra me e me l'esibizione di Bloodbuzz Ohio, contento di aver assistito a quello che, a mio parere, è stato uno migliori live dell'anno.

Scaletta del concerto:

Runaway; Anyone's Ghost; Mistaken For Strangers; Bloodbuzz Ohio; Slow Show; Squalor Victoria; Afraid Of Everyone; Available-Cardinal Song; Conversation 16; Sorrow; Apartment Story; Abel; Daughters Of The Soho Riots; England; Fake Empire; About Today; --- Lucky You; Mr. November; Terrible Love.

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bargeld alle 23:38 del 19 novembre 2010 ha scritto:

Bravo Mauro eh! A buon intenditor...

Hai reso vividamente l'atmosfera della serata. Aggiungerei, già ne avevamo discusso, che il pubblico presente era davvero trasversale in tutti i sensi, pericolosamente tendente al fighetto (specie quello femminile...). D'altronde i National sono una band dall'impeccabile aplomb. Il regalo più bello per il sottoscritto è stato l'apertura con Runaway. Gigantesca poi la Terrible Love finale... Ecco, un po' di sana anarchia non farebbe male a Berninger e soci.

synth_charmer alle 10:10 del 20 novembre 2010 ha scritto:

Ohi ma eravate all'Alcatraz entrambi? E' vicinissimo a casa mia, avrei potuto offrirvi un caffè se non fossi stato a Roma il report è davvero sentito, "emozionale", senza timore bravo così Mauro!

hiperwlt, autore, alle 11:08 del 20 novembre 2010 ha scritto:

vero Daniele, pubblico assolutamente trasversale: anche l'orsacchiotto blu lanciato sul palco è una prova indiscutibile a riguardo . sì, oltre a me e Daniele c'era anche Paolo Gaz! Carlo, ti avrei sicuramente mandato un pm (e obbligato a venire al concerto, se ci fossero stati ancora biglietti naturalmente), ma avevo letto del tuo trasferimento a Roma . grazie a tutti e due per le belle parole, apprezzo molto! ps: ho trovato in rete il video dell'esibizione di "terrible love" godetevelo!

paolo gazzola alle 10:43 del 22 novembre 2010 ha scritto:

Oh, leggo solo oggi. Bel report davvero, Mauro, emozionato ed emozionante (grazie!). Sì, troppa gente e un contesto (ma sono vecchio) che non rende giustizia alla dimensione sonora del gruppo: un piccolo teatro, per dire, l'avrei apprezzato molto di più. Meglio di quanto sperassi la voce di Berninger; non impeccabili le esecuzioni, anche se l'atmosfera rilassata all'interno della band lasciava superare ogni impasse con due semplici risate. Gruppo con più testa che pancia, ma gran gruppo.