A Live – Smashing Pumpkins (Berlino, 06 Giugno 2007, Columbiahalle)

Live – Smashing Pumpkins (Berlino, 06 Giugno 2007, Columbiahalle)

Cosa porta un celebre nome del rock alternativo anni ’90 fino all’altro ieri sulla via della decadenza a riportare alla luce un nome così carico di ricordi, speranze, emozioni come quello degli Smashing Pumpkins? La prima cosa che viene da pensare, viste le fallimentari esperienze artistiche ed economiche degli Zwan e del progetto solista, è “dollars”, al massimo “far leva su un nome famoso per attirare pubblico”. Che poi si riduce alla stessa cosa. Nel 2005, dopo un primo momento di esaltazione alla notizia del ritorno dei Pumpkins, in molti si sono lasciati andare alla più pessimistiche previsioni per questa idea di Billy Corgan, che sono aumentate alla notizia dell’assenza di Melissa, D’Arcy e James e ad altre funeste voci circolanti nel web.

Felici di essere smentiti. Se prima ne avevamo solo il presentimento, adesso abbiamo la certezza che gli Smashing Pumpkins sono Corgan e Chamberlin, e che per ora solo con questo nome il leader riesce a tornare ai fasti del passato sia come scrittura che come proposta live.

In attesa del disco “Zeitgeist”, in uscita in Europa il 6 luglio 2007, la band comincia il suo rodaggio su strada con uno show incentrato su una vera e propria invasione di suono e luce. Coadiuvati dal vivo da Jeff Schroeder alla chitarra, Ginger Reyes al basso e Lisa Harriton alle tastiere, Corgan e Chamberlin propongono un epico spettacolo di ben tre ore incentrato sui grandi classici della loro carriera, su svariati nuovi brani e su alcune chicche tratte da alcuni momenti topici della precedente line-up.

Alle 8.00 la Columbiahalle di Berlino è già gremita dell’ordinatissimo pubblico tedesco, alle 8.30 si spengono le luci, si insinua nella sala la musica di Suspiria scelta come introduzione per questo tour, e dopo due minuti entra il batterista che introduce con la sua tipica potenza e qualità del tocco, cifra stilistica dei Pumpkins, il primo brano, United States, uno dei momenti più riusciti di questo live e sicuramente chiave di volta del nuovo album. La bandiera alle spalle della band è colpita da fasci di luce che poco a poco investono il pubblico e il palco su cui prendono posto Corgan e i nuovi giovanissimi membri.

Un’efficace riff di chitarra sfonda la sala, il resto della band fa il suo mestiere e non fa rimpiangere James e D’Arcy, Billy prende a cantare con rinnovata potenza vocale il magnificente brano hard-rock: “revolution blues, what have they done to me?”; il gruppo è carico, Corgan accenna anche qualche goffo balletto, si dimena scoordinato come sempre sotto i chili di vestiti (tunica-kimono, tuta da elettrauto, maglia a righe…); è nella parte strumentale che meglio si fa notare la sintonia perfetta creata con la nuova line-up, mentre nella intensa coda rivediamo un Billy urlante come non lo era da molti anni.

Nel primo set si alternano nuovi brani, la coinvolgente “Bleeding The Orchid” e la straniante “Neverlost”, vecchie glorie lasciate intatte come “Stand inside your love”, “Today”, “Bullett with butterfly wings” (inutile descrivere il delirio del pubblico), nonché alcune perle quali “Home”, dolcissimo capolavoro dimenticato tratto da “Machina II”, “Silverfuck” in versione aggiornata, ancora più energica ed originale in medley con “The End” dei Doors, e la maestosa grazia progressive di “Glass and the ghost children”, riveduta e corretta insieme a Uli Jon Roth degli Scorpions, ospite dei Pumpkins per tutte le serate tedesche.

Si calmano le acque (e le luci), il cantante imbraccia la chitarra acustica, congeda momentaneamente la band e introduce il set acustico con “For God and Country”, nuovo brano, piacevole ma non memorabile, dopodichè prosegue con “Thirty-three”, una versione di “Rocket” leggera e commovente con il suo falsetto finale e “Winterlong”, b-side dell’era “Adore”. Durante “To Sheila”, che dopo tanti anni torna in versione originale, dalla platea si alza uno striscione: “Spaceboy, we’ve missed you”. Sì, è anche questo il Billy che ci è mancato, quello più intimo, che inaspettatamente apre il suo cuore al pubblico.

Una soffice introduzione pianistica ci prepara a “Tonight tonight”, il brano più atteso. Non ha bisogno di descrizioni: torniamo tutti negli anni ’90. Ma non c’è tempo per rimpianti e ricordi: il terzo set procede con il nuovo singolo “Tarantula”, che suona già come un classico, e la controversa “Starz” (secondo alcuni plagio di “Bullett”, per altri scarto di “The Future Embrace”). Il gruppo non da segni di cedimento, si prosegue con “Zero” in un tripudio di intensità chitarristica ultraveloce e nichilista, e con la pacata “Annie-Dog” in cui osserviamo perplessi un Billy che ancheggia battendo il tamburello sui fianchi.

A questo punto arriva la vera sorpresa del concerto, un brano mai suonato finora durante questo tour, vera e propria rarità live da molti anni a questa parte: è “Drown”, tratto dalla colonna sonora di “Singles” un indescrivibile regalo donato esclusivamente al pubblico berlinese. È facile sentirsi onorati di questo dono quando Billy canta “Is it something someone said?”, è facile sentire il cuore esplodere mentre il nostro sussurra “I wish i wish i could fly”. Stiamo volando anche noi, sopra la Columbiahalle, sopra Berlino, sopra Chicago, sopra i leggendari anni ‘90.

Con “Hummer” la band dimostra di avere ancora energia da vendere, e senza un momento di tregua il gruppo macina una dietro l’altra “Lucky 13”, “That’s the way”, una delle canzoni più trascinanti di “Zeitgeist”, “1979” e “Disarm”, queste ultime a mio parere eseguite molto freddamente (sarà la differenza tra l’età di Billy e le liriche “giovanilistiche”?).

Il terzo set si conclude con “Untitled”, ultimo brano inciso nel 2000 e altra novità di questo tour. La band esce di scena, dopo un minuto rientra per “Cherub rock” e “Muzzle”. Sono passate due ore e mezza di concerto, eppure il gruppo non da segni di stanchezza. Il secondo encore sarà costituito da un solo brano… della durata di ventotto minuti!

E’ “Gossamer”, b-side di “Zeitgeist”, devastante e cangiante prog-rock che si evolve tra colori blues, sfumature arabe, efficaci riff in puro stile Pumpkins e giochi chitarristici tra Corgan e Uli Jon Roth, tornato per l’occasione sul palco. Il leader non sembra voler finire mai. A questo punto la bassista, Ginger Reyes, è visibilmente sfiancata, e anche Jeff Schroeder dà i primi segni di cedimento, ma Corgan non ci fa caso, lui è felice con il suo nuovo compagno di virtuosismi e va avanti all’infinito, nonostante continui ad annunciare“This is the end of the show”. “This is the end of the show” diventa un urlo spiegato al cielo sopra Berlino, ogni volta sembra smettere, e ogni volta riprende con più forza di prima. “This is the end of the show” , questa volta forse è finito sul serio. No… aspetta. Sì, è finito. Billy saluta e abbandona il palco seguito dal resto della band, lasciando il pubblico ammutolito, folgorato, frastornato, annichilito.

Tre ore di concerto. Magia della musica, delle luci, del carisma. Ne valeva la pena ritornare con il nome Smashing Pumpkins? Se è l’unico modo per regalarci il potere di un “fucking rock’n’roll show” grandioso, epico e insieme sincero come quelli delle migliori annate, allora non solo ne vale la pena, ma diventa una necessità assoluta. Con questo nome Billy ha ritrovato se stesso, a quarant’anni, fresco come un tempo, eppure maturo e consapevole di ciò di cui ha bisogno lui come autore e noi come pubblico. E a tutti quelli che pensano che si tratti solo di una trovata commerciale suggerisco di tapparsi la bocca e regalarsi l’emozione di una data di questo tour. Si esce, e non si è più gli stessi. Si può essere ragazzini anche dopo l’adolescenza, ragazzini con la stessa voglia di vivere, di suonare, ragazzini con una marcia in più data dall’esperienza. Ragazzini che sanno cosa vuol dire esplodere nel suono di puro e unico rock.

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DonJunio alle 12:52 del 29 giugno 2007 ha scritto:

Who wants honey as long as there's some money?

Certo che il buon Billy le prova tutte per rimanere al centro della ribalta: dopo aver provato nuovi gruppi, la carriera solista, e la deriva letteraria gli rimaneva in carta l'unica carta possibile: la reunione delle zucche...peraltro delle zucche un po' spelacchiate, visto che mancano iha e d'arcy. Comunque li ho amati tanto (almeno fino al 1995), e presterò un ascolto attento al loro album. La recensione è veramente ben fatta e denota una conoscenza e una passione verso le zucche davvero encomiabili: evidenzi bene come in fondo Corgan sia sempre stato, e sempre sarà uno straordinario entertainer.

feelglass alle 15:55 del 29 giugno 2007 ha scritto:

RE: Who wants honey as long as there's some money?

ciao donjunio, sono feelglass (filippo), ero dune buggy di debaser. ti ringrazio molto per la critica, è sempre utile ricevere punti di vista differenti. se ti va passa anche dal mio blog http://www.ifthereisasong.splinder.com ... per zeitgeist, come ci mettiamo d'accordo?

DonJunio alle 8:23 del primo luglio 2007 ha scritto:

zeitgeist!

falla pure tu, la tua competenza è indiscussa e si vede che tieni parecchio alle zucche, quindi farai certamente un lavoro migliore...ho visto adesso il tuo blog, è molto ben fatto, complimenti!

feelglass alle 10:22 del primo luglio 2007 ha scritto:

RE: zeitgeist!

ok grazie x tutto! se ti interessa è uscito già il leak su internet, se vuoi sapere dov'è mandami un messaggio privato oppure vieni sul forum di www.billycorgan.it

ciao!!!