A Massimo Volume - Report Live

Massimo Volume - Report Live

19-12-2008 - New Age Club - Roncade (TV)

Che i Massimo Volume non siano più dei ragazzini lo si intuisce dai diffusi riferimenti cronologici che escono dalla voce di Emidio Clementi (il 26 dicembre 1986, Seychelles ’81, e così via, in una vera discesa agli inferi nell’adolescenza di vent’anni fa); che la loro inattesa reunion interessi a tutti lo si arguisce da una carrellata al (folto) pubblico di stasera: dai venti ai quarant’anni, senza esclusione. L’eterogeneità impera su età, stili, umori, meno sul sesso degli astanti: brache tremendamente in maggioranza.

Aprono la serata i Bachi Da Pietra: Dorella picchia una batteria ridotta a tre pezzi, Succi violenta una chitarra mai così pezzo di legno e parla con voce acida. Ma non sempre si capiscono le parole che gli escono: e per uno spoken word è, a tratti, drammatico.

Mimì Clementi è in forma: veste in nero, le maniche della camicia risvoltate a metà braccio. Egle Sommacal è in formissima: le sue tre chitarre e i suoi quattro pedali dimostrano quanto il bellunese abbia bisogno di poco per sfoderare suoni straordinari e uno stile inconfondibile (uno dei maestri in  ombra della chitarra italiana dell’ultimo quindicennio). Vittoria Burattini è in super-forma: la sua attenta discrezione nelle rullate e nelle vibrazioni dei timpani è fantastica. Ne esce un sottofondo fisico e lunare assieme. Il nuovo chitarrista, Stefano Pilia, si inserisce a meraviglia: a lui toccano le distorsioni, i rumorismi, le archettate striscianti sulle sei corde (e, ogni tanto, quando Mimì posa lo strumento, le picchiate sul basso). Stupefacente come Sommacal e Pilia non si guardino mai, pur suonando in una sincronia già di per sé spettacolare. Prevalgono gli occhi chiusi.

L’effetto è ineccepibile: i Massimo Volume oggi suonano con maggiore scienza di ieri, ed emozionano di più. Si parte con un’accoppiata da brividi, “Atto Definitivo” e “Il Primo Dio”, con quest’ultima a lanciare fin da subito la serata verso le vette, da cui non si scenderà. Meno spazio è concesso a “Club Privé”, quello (tutto sommato) necessario: lo sfrigolamento sanguinoso di “Seychelles ‘81”, una “Altri Nomi” rivisitata, e l’intimissima elegia di “Dopo Che” (con quel privato reso universale che fa stare la sala a bocca aperta, a occhi chiusi, come caspita le pare, ma con i battiti che pulsano).

Mimì dice due grazie, niente di più tra un pezzo e l’altro. Uno cade dopo “Per Farcela”, e cade per emozione empaticamente sentita. Nessuna parola dopo i ripetuti «Leo, è questo che siamo?» che sigillano come pugni “Fuoco Fatuo”. Non c’è neanche mezza sbavatura nella resa di pezzi che metà del pubblico considera cose sacre. Ed è quantomeno commovente.

La Notte dell’11 Ottobre”, “La Città Morta”, il respiro meno affannoso di “Qualcosa Sulla Vita” (altra perla), e il finale deforme di “Sul Viking Express” e “Vedute Dallo Spazio - Ororo” completano il quadro. Bis da pelle d’oca con “Alessandro” (il mio zenit personale), “Ronald, Tomas e Io”, il minimalismo scheletrico di “Manhattan Di Notte” che rilancia ciascuno nelle proprie notti.

Che questo spirito ritrovato, dopo le stanchezze del Club, si riversi anche su disco è, oltre che un augurio, a quanto si dice (un nuovo lavoro in primavera?), un fondato presagio. Welcome back.

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Mr. Wave alle 14:44 del 22 dicembre 2008 ha scritto:

aspetto con impazienza una recensione del capolavoro; ''Lungo I Bordi''