A Mogwai - Report Live

Mogwai - Report Live

Stuart Braithwaite di secondo nome fa Leslie, come gli amplificatori rotanti. È un ciccione pelato con la maglietta di Star Wars e la faccia da fonico, però ha una moglie e due cani e una vita tutto sommato felice: non è facile essere felici, tutto sommato. Provateci voi. Stuart L. Braithwaite può permettersi di dire one two three four solo muovendo le labbra, e gli rispondono due chitarre un basso e una batteria con rombo di tuono. Rombo di tuono non nel senso di Gigi Riva, anche se il calcio in qualche modo c’entra. Il rombo di tuono è quello dei Mogwai, un gruppo scozzese che si chiama come il mostriciattolo di un film americano.

Il vecchio Leslie è felice perché è il chitarrista e fondatore e uomo-partita dei Mogwai, un gruppo scozzese che non ha bisogno del cantante. “Vorrei che la gente venisse a vedermi suonare con lo stesso spirito con cui andrebbe allo zoo a vedere una specie in via d’estinzione” (Federico Fiumani): è scritta sulla schiena del tipo davanti a me. Il tipo di fianco a me mi chiede cosa stanno facendo i Mogwai lì accovacciati, con le chitarre appoggiate per terra e i volumi sparati. Smanettano, dico io, girano le manovelle dei pedali finché il rumore non si mangia tutto. Zitto, ascolta.

I Mogwai sono scozzesi: visti dall’Islanda, gente del sud. È dall’Islanda che viene la musica strumentale più famosa d’Europa, ma i Mogwai sembrano totalmente estranei all’aggraziata fighetteria dei Sigur Ros giacché, per l’appunto, hanno le facce di chi tira volentieri quattro calci al pallone (e le magliette di Star Wars, e la calvizie, e le risate da pub). Niente folletti in sala prove, niente dolcezza, niente morbidezza: cinque musicisti, e tre sono chitarristi. Quando l’intensita è al massimo si sente quasi l’odore del napalm.

Stuart amplificatore-rotante suona anche il basso (e la batteria, e nei primi dischi dei Mogwai cantava, poi ha smesso). Fa una canzone con il basso, seduto a gambe incrociate di fianco all’amplificatore. E la canzone è tutta in quelle quattro note prese lassù in cima, verso il dodicesimo tasto, con il basso che se la canta: timido grasso e memorabile, come un secchione a una festa. La posa di Stuart è già pronta per la vecchiaia: mi viene da pensare al futuro anteriore, a come saranno i Mogwai tra trent’anni, a quanto sarebbe bello aprire un locale tipo Casa del Blues però con il post rock, la Casa del Post Rock, ma certo, con questi gruppi di onesti ragazzoni scozzesi che non hanno bisogno di un cantante perché hanno già Stuart Leslie Braithwaite, che quando si mette seduto a gambe incrociate di fianco all’amplificatore sembra immediatamente nostro zio, e seppellisce un riff memorabile tra tre chitarre tonanti.

Quanti saremmo stati, l’altra sera all’Estragon? Un migliaio? A un certo punto siamo stati tutti zitti. Tutti. È stato quando una canzone si è sfogliata come un carciofo, lasciando un nocciolo di chitarrina suonata piano piano, due note, una nota, una corda vuota, ssshhh, ssshhh, sssbem! Il Tuono. Belli i crescendo, eh: lenti, progressivi, persino vagamente erotici. Però la svettola di un gruppo rock che arriva da zero a cento in un nanosecondo, ecco, è un’esperienza che va provata con la faccia incollata alle casse. La gente urla, le teste ciondolanti spingono l’energia dinamica verso il basso, si muove qualche culo.

Poi arriva il mattino e arriva troppo presto, e le orecchie fischiano, e non ci sono frasi da ricordare, solo frasi sulle magliette, e l’infinita vastità che sanno avere le chitarre quando si spalancano per far girare un po’ di vento. “Non hanno suonato le canzoni più dolci – mi fa notare una ragazza carina, piccolina e con la frangetta – meglio così, se no mi commuovevo troppo”. Non andate mai a vedere i Mogwai con una ragazza carina, piccolina e con la frangetta: se la perdete non la trovate più, son tutte uguali. Però smarrirsi durante un concerto dei Mogwai significa una cosa sola: significa che ci sei tu e ci sono loro, e delle altre mille teste ciondolanti non te ne frega nulla, massì tanto ci vediamo dopo al guardaroba, ora c’è solo il tuono che romba, lasciatemi perdere.

I’m about to stop writing

You’re about stop reading

We’re going to listen instead

(myspace.com/mogwai)

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Marco_Biasio alle 22:44 del 10 febbraio 2009 ha scritto:

Sei un genio.

target alle 11:20 del 13 febbraio 2009 ha scritto:

Contro i loro muri almeno una volta nella vita vale la pena sbatterci la testa. Simò uno di noi. (E se marco riuscirà a portarli allo sherwood ci si vedrà tutti lì!).

StockholmSyndrome alle 17:11 del 13 febbraio 2009 ha scritto:

Bellissima ed originale recensione...e grandi Mogwai (purtroppo, cause lavorative, me li sono persi quest'anno a Milano).