A Morphine - Monografia

Morphine - Monografia

La storia dei Morphine sembra provenire direttamente dagli anni ’60-’70: un gruppo che parte dal blues per esplorare il jazz, il rock e i territori “protetti” dalla Musica del Diavolo; una storia esauritasi nel giro di soli sette anni scarsi, sufficienti però a far entrare nella leggenda questa band; una strumentazione atipica (batteria, sax, voce e basso – e vedremo che basso) come quelle che spesso capitava di vedere quando si osava un po’ di più in ambito rock… Sarebbero tanti altri gli elementi che potrebbero far pensare ai Morphine come ad un gruppo di rock classico. Ed invece la storia della band capitanata da Mark Sandman va dal 1992 al 1999. Roba nostra, si potrebbe dire; roba per chi non ha vissuto le leggendarie avventure sonore del fantastico ventennio cruciale per la storia del rock.

I Morphine nascono a Boston grazie all’intuito di un singolare bassista e cantante, Sandman appunto, che s’era guadagnato una certa fama nella scena musicale locale e che aveva suonato con i Treat Her Right, ensemble di blues-rock con cui aveva anche pubblicato dischi tutt’altro che trascurabili. All’inizio degli anni ‘90, però, Sandman perfeziona un’idea che gli circola in mente da un po’ e che ha mutuato dalla tradizione africana, e comincia a suonare un basso del quale mantiene soltanto le due corde col suono più… basso (il Mi e il La) e che, cosa più importante, si presenta come un basso fretless, cioè senza i tasti che danno il temperamento allo strumento.

Questo significa che, col suo strumento, Sandman può suonare l’intero range delle note e non solo quelle scandite dai rapporti regolari individuati dai tasti: se si aggiunge il fatto che spesso Sandman suona con il bottleneck, si ottiene un suono molto simile ad un lamento. Si tratta, però, non di un lamento etereo, bensì di una specie di borbottio sotterraneo, come un vulcano in attesa di eruzione.

Il suono dei Morphine, fondati da Sandman proprio negli anni in cui questo stile particolare si sviluppa, è completato dall’elegante batteria di Jerome Deupree e dal sax baritono di Dana Colley. Tuttavia, sarebbe sbagliato trascurare la voce di Mark Sandman, una delle più intense della storia del rock: baritonale, calda, raffinata, profonda e sensuale, è più di un semplice riempitivo. Anzi: la “baritone experience” dei Morphine, espressione usata dallo stesso Sandman, nasce proprio dalla commistione fra i tre strumenti principali (basso, sax e voce), cullati dalla batteria di Deupree. Il basso di Sandman risulta quindi particolare, all’interno del sound dei Morphine, per due ragioni: da un lato, perché non è necessariamente vincolato alla batteria a causa del particolare suono che Sandman gli conferisce; dall’altro, interagisce in maniera inedita e avvincente con il sax di Colley. Bisogna considerare, infatti, che senza una chitarra ritmica e senza una vero e proprio uso “ritmico” (in senso tradizionale) del basso da parte di Sandman l’equilibrio di questa musica è estremamente innovativo, pur dovendo sacrificare improvvisazione, virtuosismo e dinamismo (il che non è un male, ci mancherebbe). Il suono dei Morphine, per farla breve, è cupo, sognante ma perfetto nella sua semplicità.

Queste caratteristiche sbarcano in tutta la loro devastante purezza su “Good”, pubblicato con la Rykodisc nel 1992: un disco epocale, la cui portata storica non viene però sempre riconosciuta quando si parla degli anni ’90. Forse perché l’unicità dei Morphine all’interno della storia del rock non ha potuto determinare una sorta di “filone” come quelli aperti da Radiohead, Massive Attack e altri gruppi dello scorso decennio. Fatto sta che “Good” è un capolavoro dall’inizio alla fine. Il primo brano del disco, la title-track, è un blues dai toni oscuri, come un rito voodoo, circolare e cadenzato, scandito dal ribollire del basso e dai call and response tra la voce e il sax. Una voce da cerimonia notturna, che potrebbe fare da colonna sonora ad un moderno incontro fra Robert Johnson e il diavolo. “The Saddest Song” è il capolavoro del disco: all’elegante inquietudine della voce e alla linea di basso (ancora più lamentosa del solito grazie allo slide) si aggiunge un triangolo quanto mai azzeccato. Il risultato è un brano di estrema raffinatezza, inquieto ma composto senza bisogno di urlare.

Il blues cantato da Sandman non è quello disperato degli shouter, ma quello depresso e senza uscita dei bluesman solitari. Impossibile trovare un solo momento morto nel resto del disco: “Claire”, l’incubo di “You Look Like Rain” e “The Other Side”, lo slow-blues di “I Know You II” sono piccole istantanee da imprimere per sempre nella memoria. C’è tanto blues nel disco, ma le influenze jazz, swing e anche new-wave rendono il suono dei Morphine un’esperienza unica.

Appena un anno dopo il miracolo si ripete in “Cure for Pain”: disco riconosciuto da più parti come più accessibile di “Good”, forse semplicemente per la ormai collaudata formula, si presenta come un’opera compatta e leggermente meno tormentata della prima. Il suono dei Morphine non è stravolto, ma viaggia semplicemente verso nuove direzioni. Si nota innanzitutto un maggior vigore negli arrangiamenti, a volte arricchiti da qualche chitarra, da un organo e da altri strumenti che, però, non alterano le fondamenta del sound, ancora affidate al basso e al sax. Vengono fuori brani quasi canticchiabili come “Buena”, “All Wrong”, “I’m Free Now”, ma anche nuovi esperimenti come in “Thursday”. Se il suono, rispetto a “Good”, perde qualcosa (ma giusto un millimetro di questo qualcosa, sia chiaro), la musica dei Morphine, intesa nel senso più ampio possibile, fa enormi passi in avanti grazie alla voce di Sandman, mattatore del disco, sempre più in volo verso atmosfere insolite.

Grazie a “Cure for Pain”, il gruppo ottiene un buon riconoscimento nei circuiti underground e le riviste specializzate cominciano a capire la portata della baritone experience.

Così nel 1995 la band pubblica “Yes”, col quale i Morphine enfatizzano maggiormente la ritmica e abbandonano la cupa depressione degli esordi per creare, nel complesso, un blues più energico: fatte le dovute proporzioni, è il disco rock dei Morphine. Il gruppo di Mark Sandman si allontana, dunque, dal mood degli inizi, ma riconquista quel millimetro di “qualcosa” grazie al coraggio di cambiare rotta, senza però cambiare lo spirito del viaggio.

Sandman e Colley reggono saldamente il timone, mentre alla batteria entra Billy Conway (ex Treat Her Right). Così “Honey White”, che apre il disco, è una vera è propria mazzata: ammesso che si possa fare hard-rock senza chitarra elettrica, questo è hard-rock. Quasi a voler depistare l’ascoltatore, invece, “Scratch” (il secondo brano) pesca direttamente dal (torbido) blues di inizio carriera: si tratta però di un episodio, dato che “Radar”, “Whisper” e quasi tutti i brani successivi sono immersi fino al collo nel nuovo sound. Si segnala, tra l’altro, un ruolo diverso per Dana Colley, che anziché “limitarsi” (le virgolette sono d’obbligo) a intrecciare il suono del proprio sax con il basso di Sandman viene spesso lasciato libero di improvvisare. I nuovi capolavori del gruppo si chiamano “Super Sex” (che rimanda al noto “Peter Gunn Theme” di Henry Mancini), “I Had My Chance” (un blues di gran classe) e, soprattutto, “Sharks”. Quest’ultimo è un incredibile hard-rock che pare lanciato in una scopata con il free-jazz. “Yes” è un disco che coinvolge ancora una volta dall’inizio alla fine: in soli tre anni, i Moprhine sono diventati un punto di riferimento per il rock moderno.

Tuttavia, il successivo “Like Swimming” (1997) è privo di mordente. Certo, la bravura del trio e l’oggettiva bellezza di gran parte delle canzoni (su tutte, “Early to Bed”, l’esplosiva “Murder for the Money”, con tanto di distorsioni, e l’elegante “French Fries With Pepper”) tengono ancora in piedi la baracca, e con dignità che pochi gruppi avrebbero dopo la trilogia incredibile degli anni precedenti. Il problema, semmai, è che il sound del gruppo è statico: mentre si potrebbe riascoltare all’infinito ciascuno dei primi tre album, “Like Swimming” è privo di un’identità. Le canzoni di questo disco avrebbero potuto ben figurare negli album precedenti, ma complessivamente non danno vita ad un’opera capace di fare storia a sé.

Sandman sembra capire dove sta il problema e i Morphine si rimettono al lavoro per comporre e registrare nuovo materiale, ma durante un concerto del 1999 a Palestrina Mark Sandman muore a causa di un infarto. “Mark viveva per la musica ed è morto con la musica”, commenta Dana Colley. I Morphine, naturalmente, si spengono con la morte del loro creatore, ma nel 2000 esce “The Night”, che il trio aveva registrato prima della tragica morte del bassista. E “The Night” non fa altro che rendere insostenibile il peso del rimpianto per una storia interrotta dal destino in un modo così doloroso: musicalmente, infatti, il disco fotografa una band in piena ripresa, e pronta ad entrare nel nuovo decennio con una forza espressiva pulsante e vitale.

Sandman imposta il disco su un mood incredibilmente depresso e in un certo senso torna all’umore di “Good”, ma il sound si impreziosisce grazie ad un utilizzo più penetrante di altri strumenti: il piano della title-track, ad esempio, è fondamentale e non solo di contorno, così come lo è il violoncello. Colley può dunque dedicarsi a fraseggi e assoli ancora più personali e sganciati dall’intreccio con lo strumento di Sandman. Il brano, posto all’inizio del disco, è già una meraviglia. La forza dei nuovi arrangiamenti si sente più palesemente in “Rope On Fire”, in cui la band si dimostra pronta ad affrontare a testa altra un futuro che, purtroppo, non ha mai potuto vedere. Le nuove fonti del sound dei Morphine provengono da luoghi diversi e si arricchiscono ulteriormente: non solo blues, jazz e derivati, protagonisti delle prime tre opere e sintetizzati poi in “Like Swimming”, ma anche il gospel, la musica orientale, la ballata pianistica (“Souvenir”) e altri generi entrano nel calderone della band. Si sente, insomma, che il disco sarebbe stato destinato ad aprire una nuova era per i Morphine, come Sandman stesso avrebbe voluto: simboleggiato bene dalla canzone che gli dà il titolo, “The Night” è un lavoro ispirato, nebbioso e forse ancor più intimo degli altri.

Molti l’hanno considerato un epitaffio, magari inconsapevole. Ma un epitaffio è soltanto un trucco per concedere ad una storia finita l’illusione dell’eternità: nella musica di Mark Sandman e dei Morphine, invece, l’eternità è tutt’altro che un’illusione. Pescando dal passato per puntare al futuro, i Morphine hanno creato un linguaggio musicale che, ovunque vogliamo collocarlo, suona allo stesso tempo ancestrale, contemporaneo e futurista: un classico, insomma. Non è poco per una band che ha chiuso bottega nemmeno dieci anni fa: abituati come siamo a consumare tutto in fretta, anche nella musica, ci farebbe bene ascoltare e riascoltare ciò che i Morphine ci hanno lasciato. Così, tanto per capire cos’è la Musica.

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Marco_Biasio alle 19:49 del 18 marzo 2008 ha scritto:

I miei più vivi, sinceri e sentiti complimenti.

Biografie sui Morphine in giro ce ne sono veramente poche (a discapito dell'enorme influenza musicale di questo gruppo, e della sua relativa, vertiginosa qualità), e biografie così accurate e giornalistiche ancora meno. Perciò, Carlo, non posso che farti i miei complimenti più vivi. Loro mi piacciono sinceramente da morire: ho ascoltato "Cure For Pain" e "Yes", trovo che i due principali punti di forza stiano nell'essere spirituale del maestro Sandman e, a livello più teorico, quell'intrecciarsi sublime di groove di basso e linee di sax. Dannatamente coinvolgenti. Ma i migliori, è risaputo, se ne vanno sempre per primi.

carlo nalli, autore, alle 11:14 del 19 marzo 2008 ha scritto:

Grazie!

Sono molto contento per i complimenti, ti ringrazio. La voglia di scrivere qualcosa sull'intera carriera dei Morphine mi è venuta proprio per quello che hai detto tu (un certo disinteresse, anche della Rete, verso l'argomento). Ho cercato di limitare le questioni puramente biografiche per enfatizzare il lato musicale... visto che si parla di "storia della musica", ho tentato di far capire i punti di forza di ogni disco a livello musicale, compositivo e di "piacere" per l'orecchio. Per farti capire quanto io li apprezzi, ti dico soltanto che da quando bazzico in Rete uso come nick Sandman...

Lux alle 19:06 del 9 aprile 2008 ha scritto:

Morphinaci!

Dove ci sono i Morphine, c'è gente che ha la mia stima. Ottima biografia! Quale band dei 90 ha un trittico d'album alla Good, Yes, Cure for Pain?