A Nick Drake, il Sisifo di Camus

Nick Drake, il Sisifo di Camus

And you're ready now

For the harvest breed

(Harvest Breed)

Quando Molly Drake entra nella stanza del figlio, in un normale mezzogiorno d'autunno, forse pensa ancora che Nick stia dormendo: i Concerti brandeburghesi di Bach vagolano nell'aria, Il mito di Sisifo di Camus è nella penombra, sul comodino. Spegne la musica, guarda le lunghe gambe della sagoma nel letto, distesa di traverso. Il sonno è così simile alla morte...

Nick Drake lascia la vita quel 25 novembre del 1974, a soli ventisei anni, per overdose di Tryptizol: il centesimo antidepressivo, la centesima cura, il centesimo tentativo di risalire l'abisso, respirare, rinascere, scacciando quella luna rosa da egli stesso cantata e presagita, secondo le credenze cinesi simbolo negativo e di sventura. Nessun biglietto, nessuna spiegazione. Eppure Nick dissemina segnali del commiato nelle liriche dei suoi brani, profetico: è da lì, forse, che saluta, mano in aria, capelli al vento, sorriso in bianco e nero.

Non è un suicidio premeditato, dicono: in famiglia aveva sempre biasimato il gesto estremo, in passato, etichettandolo come inutile; il semplice errore di calcolo nell'assunzione delle pillole è allo stesso modo inverosimile. Ciò che davvero accadde quella notte nei pressi di Birmingham è rimasto e rimarrà per sempre mistero indissolubile, ma l'ipotesi più probabile vuole che Nick abbia ingoiato (troppo) Tryptizol senza fare troppi ragionamenti, quasi curioso di vedere cosa sarebbe successo. E' stanco, scoraggiato, incompreso ("Sapranno che eri qui solo quando te ne sarai andato", canta in Fruit tree).

Che il talento di Drake avesse compreso il non-senso della vita, sbattendo contro una realtà impenetrabile, senza riuscire ad abbracciarne l'intimo significato, era ormai un dato di fatto. Nick capiva, sapeva, sentiva. Aveva percepito ciò che Camus appellava "l'assurdo", il sentirsi estranei al mondo. "Quand'ero giovane, più giovane che mai, non ho mai visto la verità pendere dalla mia porta. Ora sono vecchio, e la vedo faccia a faccia", dice Nick, ciondolando tra gli accordi aperti di Place to be. E' sintomo che egli ha cominciato a pensare, e "cominciare a pensare è cominciare ad essere minati", dice Camus.

E' prassi, per queste anime sensibili, descrivere la malinconia che scaturisce dalla consapevolezza, e parlare - mediante l'arte - del dolore, o dell'effimera bellezza che si cela nella natura, nei sentimenti. Dunque creare, fissare in un'opera il mondo, la vita, l'assurdo, senza tentare di spiegare o risolverlo, semplicemente narrarlo, in quella che Camus chiama "indifferenza perspicace". L'opera stessa è sintomo dell'assurdo: non una via d'uscita, non un senso, non una consolazione, ma "la prova della sola dignità dell'uomo", la palese emancipazione dall'animale.

Ne "Il mito di Sisifo", che era accanto a Nick il giorno della morte e che fa parte certamente delle sue ultime letture, il suicidio è un tema fondamentale dell'opera. Suicidio non come rimedio o ribellione a questo assurdo, ma mera confessione: "confessare che si è superati dalla vita o che non la si è compresa", guardando con occhi lucidi "il carattere incontaminato dell'abitudine, la mancanza di ogni profonda ragione di vivere, l'indole insensata di questa quotidiana agitazione e l'inutilità della sofferenza". Il suicidio è l'accettazione del proprio limite, della propria piccolezza, della propria relatività. In quel novembre del '74, pertanto, Nick Drake, forse, ha fatto semplicemente la sua titubante confessione: senza cori, senza incensi, senza dio.

"Gli dei avevano condannato Sisifo a far rotolare senza posa un macigno sino alla cima di una montagna, dalla quale la pietra ricadeva per azione del suo stesso peso. Essi avevano pensato, con una certa ragione, che non esisteva punizione più terribile del lavoro inutile e senza speranza", dice Camus nel finale del suo saggio. Sisifo è un eroe, Drake è Sisifo: Drake, dunque, è un eroe - uno dei tanti - che continuamente porta il masso sulla cima, suda, si affanna, compie il suo calvario, raggiunge il Golgota, per ricominciare dall'inizio, caricarsi un'altra croce sulle spalle.

Nick, come Sisifo, conosce la sua miserevole condizione, conosce dunque la condizione dell'Uomo: lo sa bene quando vede rotolare a terra il masso, e scende per recuperarlo, per ripetere il supplizio; lo sa bene quando crea, quando compone ogni parola, ogni nota, ogni brano, quando "tutto l'essere si adopra per nulla condurre a termine". Camus pensa a Sisifo felice, pur nel tormento, proprio in quanto sa, conosce la sua sorte, percepisce: anche la ripetitiva e faticosa "lotta verso la cima basta a riempire il cuore di un uomo", anche questo è qualcosa, è respiro, è vita.

Nonostante tutto mi piace immaginarti sereno, Nick, steso di traverso su quel letto, la notte di quel millenovecentosettantaquattro. Ti vedo con gli occhi aperti, correre chissà per quale prateria della mente, mentre Bach ti accompagna altrove, lontano. Mi piace immaginarti Sisifo, che a passo lento scende dai pendii della montagna, per riafferrare il suo macigno, e sorride. Sorride come te, quando chitarra in mano, solo, calcavi i sentieri dei boschi inglesi. Alla ricerca di un suono, un verbo, un senso. Alla ricerca di te. Della vita.

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