A NoSound, Live @ Crossroads, Osteria Nuova (RM), 12-02-2010

NoSound, Live @ Crossroads, Osteria Nuova (RM), 12-02-2010

E nel freddo giorno del ritorno della neve a Roma (gli imbiancati ricordi del 1986 hanno sempre un posto speciale nella memoria di chi li ha attraversati), i NoSound danno vita al loro concerto più caldo della loro carriera.

Un concerto sudato, intenso dalle prime note fino alle ultime. Sul palco il quintetto “classico” (Giancarlo Erra alla voce e, insieme a Paolo Vigliarolo, alle chitarre, Paolo Martellacci alle tastiere, Alessandro Luci al basso, Gigi Zito alla batteria) si fonde con il Wooden String Quartet (anch’esso nella “classica” configurazione due violini, viola, violoncello) si fondono per la realizzazione di quell’equilibrio che da origine all’intera esecuzione dell’ultimo album A Sense Of Loss (KScope/Audioglobe 2009): sia da parte degli musicisti, sia da parte del pubblico l’attenzione diventa elemento imprescindibile.

Rispetto alla versione in studio ovviamente la performance trasfigura i suoni e i timbri, restituendo differenti e nuovi NoSound, fedeli in tutto e per tutto alle linee melodiche, ma senza quell’ansia di riappropriarsi in modo (troppo) fedele di quanto inciso. Con questo approccio, comincio seriamente a credere sempre di più che, d’ora in avanti, (co)esisteranno queste due anime dei NoSound: quella dei perfezionisti del missaggio e quella, maggiormente improvvasitiva, pronta ad assecondare ogni fertile variazione, che, per ragione di cose, avrà vita solo sopra un palco. Quindi è inutile dire che tutti i membri dei NoSound stanno, anno dopo anno, concerto dopo concerto, prendendo sicurezza delle proprie possibilità espressive/strumentali, in grado di caratterizzarli come singoli e come parte di un gruppo.

Più avranno modo di concentrarsi sul lavoro della loro musica, più avranno modo di suonare-suonare-suonare, più questi frutti diventeranno sempre più maturi. Dall’arioso incedere di Some Warmth Into This Chill (caspita che titolo appropriato per la giornata!), alle floyidiane escursioni di Fading Silently (una chiusura da stringere il cuore: delicato assolo di chitarra con crescendo del quartetto d’archi), dalle armonie dolorose di Tender Claim, all’outing emozionale di My Apology, fino giù in fondo alla sospesa Constant Contrast e ancora di più, giù in fondo, fino al nero cuore pulsante di A Sense Of Loss, ossia la cavalcata (tra sofferenza cosmica e l’apertura alla siderale luce della speranza) di Winter Will Come, tutto scorre, incredibilmente veloce (e dire che sono passati 55 minuti...), sensa sosta, senza cedimento, senza interruzione del flusso sensibile della materia sonora.

Non è ancora finita la coda scandita, marzialmente, dalla marcia ritmica di Winter Will Come, che già si sente il rimpianto per l’approssimarsi della chiusura di un evento unico. Il secondo set (che fa a meno del Wooden String Quartet) si apre con un ripescaggio dal passato (sembra ieri e invece sono passati cinqe anni da quel Sol29, del quale costituiva l’opener), In The White Air: oggi è più suadente, più rock, più “interattiva” nell’interplay fra i musicisti. Places Remained a seguire, è il solito solidissimo pezzone di perfetto new psychedelic rock, capace di scuotere il pubblico, introducendo al sound dei NoSound (scusate il gioco di parole...), anche chi non aveva già trovato una “sua” porta di accesso. From Silence To Noise, è l’altro asse cardinale nell’immaginario e nella discografia del gruppo, costituendo la sintesi delle loro tante essenze (quella che si richiama ai Pink Floyd, quella che si dipana tra i rivoli dell’Ambient, quella eterea, quella concreta). Il secondo atto si chiude con quello standard “della prima ora” che è ormai diventato Idle End, tutto giocato sul canto reiterato e l’arpeggio in crescendo, fino al lungo assolo finale molto dreamy. I volti di queste canzoni sono cresciuti con quelli dei componenti dei NoSound: le rughe non hanno portato a escogitare trucchi per nasconderli, ma hanno invece fatto scaturire un nuovo modo di esistere

Per il bis, ancora l’approccio corale, con il ritorno del Wooden String Quartet, per l’esecuzione di quel brano capitale che è Kites (da Lightdark), in grado di rivelare l’intero universo musicale della formazione, e dello strumentale The Moment She Knew, ormai eletto a brano-formula di questa esperienza, a mio avviso rara e riuscita, di equilibrio fra post-rock, ambient e rock psichedelico, che coincide con il nome stesso dei NoSound.Come ultimo dono una opportuna riproposizione di Some Warmth Into This Chill, che ripetuta alla fine risente di un ulteriore miglioramento, condensando tutta la scioltezza e il calore ormai guadagnato.

Come altre volte, più di altre volte auspico, anzi noi di Invisible Bane auspichiamo, ai NoSound di poter realizzare il sogno di una meritata tournée. E’ veramente un peccato che solo poche centinaia di eletti abbiano modo di assistere ai loro concerti. Ad ogni modo, sono ben felice di essere fra questi...

Setlist:

Act 1:

A Sense Of Loss

Some Warmth Into This Chill

Fading Silently

Tender Claim

My Apology

Constant Contrast

Winter Will Come

Act 2:

In The White Air

Places Remained

From Silence To Noise

Idle End

Encores:

Kites

The Moment She Knew

- -

Some Warmth Into This Chill

Siti di riferimento:

http://www.nosound.net/ (Sito Ufficiale)

http://www.facebook.com/pages/Nosound/13785784199

http://www.myspace.com/nosoundnet

[Questa recensione è apparsa sul sito del fanclub italiano: http://invisiblebane.blogspot.com/]

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