A Notwist Live @ Hiroshima Mon Amour

Notwist Live @ Hiroshima Mon Amour

The Notwist @ Hiroshima Mon Amour 23/03/2010

Dopo averci passato la gioventù, all’Hiroshima Mon Amour capito sempre più di rado, e principalmente perché è ancora uno dei pochi posti in città in grado di offrire ottima musica dal vivo. Nel frattempo, gli anni passano e le cose cambiano. Io – ad esempio - ingrasso un chilo al mese, manco fossi un pollo da allevamento, e al contempo (e forse anche a causa di questo) mi viene sonno poco dopo il tramonto, talmente presto che ho quasi deciso di sincronizzare i miei orari con quelli del reparto geriatrico dell'ospedale.

Anche l’Hiroshima è cambiato parecchio: all’entrata hanno messo un bancone che distribuisce birra in bottiglia “sbottigliata”, ovvero birra di marca che dovrebbe essere migliore di quella che normalmente viene servita alla spina, ma che – vai a capire perché – una volta versata nel bicchiere di plastica diventa persino peggiore. Che poi sta cosa delle bottiglie ai concerti mica l’ho capita: mi obblighi ad entrare nel locale col bicchiere di carta, però non sai se sotto la giacca ho un pugno di ferro, un machete, una molotov o un bazooka. Anche il buttafuori che strappa i biglietti è cambiato: il simpatico stempiato di qualche anno fa (che se non ricordo male vinse anche una bella somma alla “Ruota della Fortuna” di Mike Bongiorno) ha lasciato il posto – chissà da quanto – ad una cosa inquietante che ricorda molto da vicino un incrocio tra un bue muschiato e un Hummer. Resisto all’ istinto di mollargli portafoglio e telefonino e scappare come una zebra del Serengeti, gli porgo il biglietto d’ingresso e lui inaspettatamente mi sorride, buono e affabile come l’orso Baloo.  

Ecco una cosa che invece non è cambiata affatto: i Notwist. Li avevamo lasciati nel 2002 all’apice del successo di “Neon Golden”, summa e manifesto di un suono (indietronico o quello che volete) che ha caratterizzato gran parte del decennio appena terminato. Li abbiamo ritrovati – praticamente immutati – due anni fa con un disco (“The Devil, You + Me”) che nulla aggiungeva alle coordinate sonore della band teutonica.  

Inutile dire che la platea (cambiata anch’essa, e vittima della mania degli autoscatti da “pubblicare sul profilo”) accoglie con entusiasmo gli episodi tratti dal capolavoro del 2002, che mantengono intatto tutto il loro fascino. Si inizia (beh, non proprio, ma fuori dall’Hiroshima c’è una pizzeria che fa il calzone fritto più buono di Torino…) con l’elettronica sporca di “Pick up the Phone” per proseguire con “Trashing Days” e con i ritmi serrati di “This Room”. Marcus Acher guida con mestiere la band e riesce - pur dimostrando limiti evidenti dal punto di vista vocale (non solo una generica inconsistenza ma anche qualche “stecca” micidiale!) – a tenere vivo il lato melodico della musica ondeggiando chioma e chitarra fino a diventare una specie di clone post-dieta di Robert Smith.  

Il vero fulcro di tutta lo show è però il signor Martin Gretschmann, meglio noto come Console. Aiutato da arrangiamenti che – almeno nella dimensione dal vivo – privilegiano l’aspetto ritmico più di quello melodico – e spalleggiato da un batterista fenomenale (Andi Haberl), questo spilungone che sarebbe stato perfetto per interpretare “il nerd” in certi film di fine anni ’80 armeggia tutto il tempo con curiosi macchinari e con un software chiamato (credo) Ableton Live, che di fatto consente di elaborare suoni precedentemente programmati. Solo che il tipo (che deve essere un genio fuori di testa) non si accontenta di smanettare sulla tastiera di un p.c. come un normale musicista tecnologico, e allora che fa? Prende due controller Nintendo Wii e li collega in wireless, così può ammaestrare il suo Ableton come fosse un direttore d’orchestra.  

E così, senza riuscire a staccare gli occhi da quell’ipnotizzatore di suoni in versione cibernetica, mi dimentico del calzone fritto, del sonno devastante e della pochezza vocale di Acher e mi godo una versione dilatata di “Neon Golden”, una suite creata ad hoc sulle note di “Pilot” (che parte in versione remix, continua in versione pop e chiude in una densa coda dub), uno splendido crescendo post-rock sul finale di “Gravity” e – tra i bis – due ballate dolci e sognanti (“Consequence” e “Chemicals”). E tutti a nanna felici e coccolati.  

Meglio cambiare, no? Ecco, a volte no.   

Per approfondire: http://www.hiroshimamonamour.org

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target alle 14:47 del 2 aprile 2010 ha scritto:

Eheh, grande Fabio, i cui report live diventano sempre qualcosa di più della solita cronaca. Guarda che a giugno vengono a torino i Lali Puna: voglio un altro report (senza il calzone, però: spazio 211), e magari con la voce della Trebeljahr ti va anche meglio.

fabfabfab, autore, alle 15:21 del 2 aprile 2010 ha scritto:

Già visti qualche anno fa. Lei è carinissima, sembra un cartone animato.