Okkervil River - Report Live
20-11-2008 - Circolo degli Artisti - Roma
Lo scenario che si presenta ai nostri occhi alle ore 22,00, nel momento in cui entriamo al Circolo degli Artisti, è quello di un locale popolato da appena poche decine di persone.
Sarà colpa della data infrasettimanale o del fatto che gli Okkervil River fanno poco “rumore”, ma temiamo un clamoroso flop che avrebbe come unica ricaduta positiva il fatto di permettere ai presenti di godere dello show senza lo stress da calca.
Ma il popolo indie conosce bene i propri orari di riferimento e per le 22,45 il locale è quasi pieno.
Con puntualità svizzera Will Sheff e compagnia salgono sul palco ed infilano una prima cinquina senza soste, consumata a nostro avviso con troppa velocità, quasi a volersi liberare velocemente dell’impegno contrattuale.
La prima impressione è di trovarsi al cospetto di una band che, nel contesto di uno schiarimento del proprio approccio musicale dai toni più cupi degli esordi a quelli più solari dell’ultimo album, ha acquistato maggiore hype e voglia di far festa, ma ha perso gran parte dell’elevato impatto emozionale che sapeva trasmettere in passato.
In realtà suonare a Roma può imbarazzare chiunque, e presto questa prima sensazione sarà spazzata via da uno show che scorrerà inappuntabile e trascinante, con tutti i membri del gruppo protagonisti di una prova senza alcuna sbavatura.
Dopo l’esecuzione della briosa “The Latest Toughs” Will si toglie la giacca, stappa una coca e decide che è il momento di fare sul serio.
Gli Okkervil sembra vogliano far di tutto per togliersi di dosso quell’aura di gruppo triste e sfigatello che si portano dietro, e dimostrare con forza come su di loro si sia creato un enorme malinteso e come tutto sommato non fossero così depressi neppure nei primi dischi, ed a tal proposito basta la sola esecuzione di “Black” per dimostrarlo ampiamente.
La scaletta è quasi completamente imperniata sugli ultimi due dischi del sestetto, il recentissimo “The Stand Ins”, che sta raccogliendo ovunque recensioni lusinghiere, e “The Stage Names”, una delle migliori produzioni del 2007.
Ovviamente non manca qualche ripescaggio dal monumentale “Black Sheep Boy”, dal quale proviene l’esecuzione più emozionante dell’intera serata, una “A Stone” eseguita in quasi totale solitudine da Sheff con la propria chitarra acustica, con momenti di silenzio assoluto nei quali la platea dimostra tutto l’enorme rispetto nei confronti dell’artista americano.
La successiva “Blue Tulip” è il ponte ideale per approdare all’ultima esplosiva parte dello spettacolo che si apre con un duetto fra l’acustica del cantante ed un banjo imbracciato dalla misurata ma efficacissima chitarrista: è l’intro perfetto per “Lost Coastlines” sulla quale divampano i cori ed i battimano di un pubblico finalmente entusiasta e coinvolto.
Ma la vera deflagrazione avviene sull’attesissima “Our Life Is Not A Movie Or Maybe”, la traccia che apriva “The Stage Names”, ben sporcata sul finale da qualche riverbero, ma senza mai cadere in un inutile onanismo figlio di un autocompiacimento fine soltanto a sé stesso.
“For Real” è un altro must applauditissimo di elevato impatto che non poteva mancare nella set list, e per chiudere i giochi non poteva esserci scelta migliore di “Unless It’s Kicks”, una delle più riuscite canzoni alt - pop di tutti i tempi.
Quattro canzoni queste ultime sulle quali si alza potente il grido del popolo indie, che oggi rappresenta lo spaccato di una generazione senza più sicurezze, una generazione che cerca nella musica i propri miti ed i propri portavoce, ragazzi che da una parte esulterebbero qualora gli Okkervil River raggiungessero un successo (strameritato) di più ampia portata, ma dall’altra egoisticamente amano il fatto di sentirli come proprio patrimonio intimo, una luce visibile soltanto a pochi eletti.
Nei bis spazio per la soporifera “A Girl In Port” e per l’unica concessione al passato remoto della band, quella “Westfall” che chiude quasi tutti i loro spettacoli.
Il tutto anticipato dalla cover di un vecchio pezzo del 1972 firmato dalla coppia Rod Stewart / Ron Wood (“Italian Girls”) che vuole essere l’omaggio alla platea nostrana, e che rientra nella scelta di dedicare un brano al paese ospitante; ad esempio in tutte le date svedesi è stata eseguita una cover degli Abba.
A fine concerto l’intera band, iper sudata ma strafelice, si intrattiene piacevolmente con i fan più incalliti, dispensando autografi, strette di mano e qualche sana bevuta nel giardino del locale, con Sheff che ovviamente funge da inevitabile polo d’attrazione.
E noi approfittiamo della loro dimensione ancora non da star per chiudere in bellezza la serata in compagnia di questi signori texani.
Tweet