A Poptimismo: il sale della vita?

Poptimismo: il sale della vita?

La storia dell'arte è fatta di spedizioni alla ricerca di ciò che non sembra avere valore finchè un commando di truppe speciali non si mette in viaggio al preciso scopo di tornare con la preda e imporla a chi non ne vuol sapere.” (Alessandro Carrera, “Musica e Pubblico Giovanile”, Introduzione alla ristampa 2014)

A rockist isn't just someone who loves rock 'n' roll, who goes on and on about Bruce Springsteen, who champions ragged-voiced singer-songwriters no one has ever heard of. A rockist is someone who reduces rock 'n' roll to a caricature, then uses that caricature as a weapon. Rockism means idolizing the authentic old legend (or underground hero) while mocking the latest pop star; lionizing punk while barely tolerating disco; loving the live show and hating the music video; extolling the growling performer while hating the lip-syncher.” (Kelefa Sanneh, “The Rap Against Rockism” su The New York Times, 31/10/2004)

Art is not truth, is not value, it is nothing but a construct because it is nothing but signs, and signs can only be constructs” (Morse Peckham, "Man's Rage for Chaos", 1965)

So di avervi messo a dura prova nel corso di questi anni, ma vi prego di concedermi, ancora per una volta, il beneficio del dubbio. Io, essenzialmente, vivo di dubbi. Ho imparato a conviverci e, anzi, ad apprezzare la mia “condizione”, dimostratasi tanto nefasta in alcuni campi fondamentali dell'agire quotidiano quanto utile, per non dire salvifica, in altri contesti o attività. Musica ed estetica sono due di queste attività. Come mi sono accorto di questa natura problematica? Man mano che proseguiva la mia esplorazione del mondo delle sette note, mi rendevo conto di come l'apparato di (pre)concetti e simulacri estetici, affettazioni e identità precostituite, ossia quell'inestricabile ragnatela meglio nota come capacità critica, vacillava ogniqualvolta mi ritrovavo a confrontarmi con enti sconosciuti, nuovi stimoli, esperienze umane o “artistiche” capaci d'incrinare la superficie fino a un attimo prima (illusoriamente) solidissima delle mie certezze.

E' accaduto di recente, diciamo attorno al 2010, quando ho cominciato ad interessarmi - con evidente ritardo - alle novità r&b e dance-pop, forse inconsciamente spinto (non posso escluderlo) dal perdurante fenomeno di erosione dell'integralismo rock di certa parte della critica, propulso dall'articolo “The Rap Against Rockism” di Kelefa Sanneh; corollario benefico di questo “sblocco” è stato il riappropriarmi di posizioni e amori vissuti in un'età, diciamo a cavallo tra i diciotto e i ventiquattro anni, per me dominata da schemi mentali/comportamentali che non mi consentivano alcun coming out su questi temi (quale “credibilità” avrei potuto conservare nei confronti dei miei coetanei universitari, loro che mi consideravano “esperto”, se avessi elogiato in pubblico Say My Name delle Destiny's Child o avessi confessato loro il mio passato - ora nuovamente presente - di eurodancer?).

Ma non è certo stata l'unica volta in cui mi sono, per così dire, ricreduto. E' accaduto pure in tempi un po' meno recenti, ed è un processo tutt'ora in atto, con l'abbandono dell'anglocentrismo e le aperture a territori musicali (Brasile, Giappone e Argentina in primis) prima nemmeno localizzabili sulla mappa dei miei ascolti. In tempi persino più “antichi” (parliamo del 2005-2006) ho dovuto “lottare”, appoggiato da impagabili friend conosciuti in rete, per affrancarmi dal sistema di valori al quale mi ero adattato, con disagio, durante una breve ma estenuante frequentazione del Conservatorio, condita da insalubri e ossessive visite su scaruffi.com.

Ora, tutto questo borioso amarcord non vuole essere il pretesto o, peggio, la giustificazione di supposti “sdganamenti”, dal momento che non c'è nulla da sdoganare se alla base manca un sistema di valori condivisi e univoci, e quello difetta più o meno da quando sono andate a farsi benedire le distinzioni tra cultura “alta” e “bassa” - per non parlare dell'altrettanto aristocratico, deleterio concetto secondo cui l'Arte maiuscola dovrebbe elevare l'ascoltatore e separarlo dalla massa “incompetente”, in una sorta di epifania narcisistica che ha luogo nel sistema nervoso centrale di chi “sente la chiamata”.

Eppure, dopo un decennio di più o meno sfrenato poptimism (del quale questo scritto, checché ne pensiate, non vuole essere un'apologia) sono maturati i frutti di una reazione, di un nuovo irrigidimento/risentimento, di una riaffermazione delle categorie estetiche pre-anti-rockism. Nel famigerato “The Pernicious Rise of Poptimism” (NYT, 04/04/2014) Saul Austerlitz notava come “The issue is not attention — any critic who ignored mass taste entirely would be doing his or her readers a disservice — so much as it is proportion”, quasi che la scelta di spostare il baricentro del dibattito musicale verso il pop mainstream sia ontologicamente più riprovevole di un quarantennio di dominio “rockista”, nel clima di segregazione culturale in cui hanno dovuto vivere artisti che non parlavano la stessa lingua del “ceppo dominante”; un'epoca nella quale, a titolo esemplificativo, persino il più infimo complessino garage-rock veniva elogiato da Lester Bangs con superlativi boombastic e, all'opposto, i Carpenters venivano reclusi nell'easy listening più conformista, addirittura eletti ad epitome dell'artefatto disimpegno “nixoniano” dei '70s.

Non comprendo poi per quale ragione, secondo Austerlitz, sarebbe più challenging indirizzare i proprio ascolti verso l'indie-rock: se la motivazione è che in quegli anfratti s'annida musica più “originale” o “creativa” (termini a cui diamo significati diversi quando non opposti, ma che mi sento ancora di utilizzare), allora nove volte su dieci temo si prenda un granchio. In realtà l'autore sceglie consapevolmente di ignorare tutta una fetta di musica non-mainstream, dall'alternative r&b alla scena elettronica britannica che orbita attorno allo UK-Bass, quasi sempre oggetto di analisi dettagliate e sulla quale si generano grossi consensi, soltanto per il motivo che non è fatta da guitar-band. Ancora una volta, si sceglie di oscurare quella parte di realtà che non si armonizza con le proprie tesi, e ciò in base al proprio gusto.

Interessarsi all'r&b/dance-pop e compagnia bella non comporta necessariamente un “restringimento dei propri orizzonti”, a differenza di quanto accadrebbe esiliandosi volontariamente in determinati settori (il metal, l'hip-hop, la house, l'hard-rock, etc.) o addirittura in determinate epoche dell'espressione musicale. Posto ciò (e premesso che ciascuno degli atteggiamenti sopra elencati è assolutamente valido), ogni ulteriore blatericcio sul pluralismo di ascolti oggi mai così minacciato, sul critico che ha il compito di proporre musica con la quale “sfidare” l'ascoltatore (come se suggerire a un punk di accostarsi a Umbrella di Rihanna con cognizione di causa non costituisca una sfida abbastanza sfacciata), si sfalda nelle acque torbide del relativismo più “hardcore”.

Oltretutto, consentitemelo, argomenti piuttosto ipocriti se si considera che la tanto osannata critica rock pre-poptimism, vista come ricettacolo di virtù, è la stessa che ha gettato fango sul brit-pop, recepito techno e house con anni di ritardo, frainteso la portata del synth-pop, ridicolizzato (anzi, demonizzato) la disco music, sbeffeggiato il progressive rock non appena si fece largo il punk, relegato il country a zotico passatempo per redneck, distorto in chiave di contrapposizione “romantica” le dinamiche del rapporto tra musicisti e discografia, alterato profondamente la genesi del blues (e, di conseguenza, della dialettica tra bianchi e neri nel pop statunitense), nonché estromesso dal campo uditivo pressoché tutto ciò che non parlasse inglese, tanto nei suoni quanto nella lingua. E questo me lo venite a spacciare come un sano e disinteressato utilizzo dello strumento critico?

E' tanto scomodo affermare che entrambi gli orientamenti (poptimismo e rockismo), se esasperati o ridotti ai loro aspetti caricaturali, possono risultare nocivi? Non ritengo che il valutare con serietà e consapevolezza il pop, anche e soprattutto quello “da classifica”, si riduca per forza di cose alla depenalizzazione del proprio piacere colpevole, né che si traduca automaticamente in un'accettazione generalizzata, nell'apprezzamento indistinto. Allo stesso modo, il rock (specie nelle sue declinazioni indie) non verrà mai del tutto scalzato dai gusti dei recensori: tutt'al più il difficile sarà - ed è, vista l'ipertrofia dell'offerta - decidere quale promuovere, come comportarsi in relazione alla possibilità di individuare scene o un “sentire” comune. In tutti questi casi, il vero problema non è la definizione di un criterio in base al quale effettuare le selezioni, bensì lo scrollarsi di dosso quell'inerzia derivante da anni di scetticismo endemico (e autoimposto) che da anni affligge proprio il giornalismo rock: quella sensazione che tutto sia già stato fatto, che il linguaggio sia arrivato a un punto morto, che il rock si alimenti ormai solo rimasticando e sputando se stesso e i suoi abiti di scena, sino a divorarsi completamente. Del resto, come può procedersi alla promozione di “scene” che nemmeno sono riconosciute come tali?

D'altro canto, se è vero che nelle classifiche di fine anno la percentuale di nomi r&b/dance-pop/hip-hop mainstream è molto alta, bisogna altresì considerare che non tutti i critici delle singole riviste/webzine hanno valutato positivamente i medesimi nomi; allo stesso modo, il fatto che Pitchfork promuova, che so, l'ennesimo “capolavoro” di Beyoncé non equivale ad affermare unanimità di consensi all'interno della redazione. E' qui che rientrano in gioco, come in un tuffo nel passato, le tanto vituperate linee editoriali, ed è a questo proposito che Austerlitz svolge una (l'unica) riflessione interessante. “In this way, poptimism embraces the familiar as a means of keeping music criticism relevant" egli afferma. "(It) can be seen as an attempt to resuscitate the unified cultural experience of the past, when we were all, at least in theory, listening together to “Sgt. Pepper’s” or “Thriller.”” Ossia come il tentativo di rivivere un'era in cui la condivisione musicale avveniva su vasta scala, non nel ristretto circolo dei frequentatori di un forum. Un'era in cui la mitologia rock - anch'essa largamente screditabile, anch'essa artificiosa e creata ad hoc per sostenere il ribellismo e le istanze liberal degli anni '60 - catturava l'attenzione di un pubblico così vasto che oggigiorno i gruppi ancora ascrivibili al suddetto genere possono giusto sognarselo (bagnandosi nel sonno).

Mantenere vivo il sogno (nel bene e nel male), il desiderio di condivisione (stavolta virtuale, attraverso i “like” ad un articolo postato su fb): due tra gli aspetti per certi versi più artefatti, perversamente affascinanti del poptimism. Il paradosso è che, a ben guardare, essi s'appellano al principio di autoconservazione che ha guidato anche l'intellighenzia critica rockista. Dove si differenzierebbero dalle tante manovre pubblicitarie che la carta stampata, col tacito accordo del pubblico e il beneplacito delle case discografiche, ha messo in atto per decenni allo scopo di preservare i simboli libertari del rock'n'roll nell'immaginario collettivo? O dai piani per ridefinire/foraggiare nuove fasce di acquirenti in relazione a nuovi generi, soprattutto di orientamento alternative?

Niente di scandaloso: quelle stesse riviste/webzine devono sopravvivere, e Pitchfork ha colto nel segno alla grande vista la sua recente acquisizione da parte del colosso Condé Nast. Di fronte alla parcellizzazione, alla frammentazione estrema, al venir meno del rock come collante generazionale, è d'uopo tentare di compattare il proprio pubblico intorno a un'offerta di artisti/generi più in vista, tenendo altresì presente (ma qui, come in quasi ogni altro aspetto della critica, si entra nel campo del soggettivo) che proprio alcuni di quegli artisti sono i diretti responsabili di musica tra la più interessante ascoltata negli ultimi tempi. Il poptimism, anche in quest'ottica, si muove su coordinate molto simili a quelle utilizzate dalla critica pre-anti-rockism: sono cambiate le strategie e l'oggetto del marketing (prima potevano essere Kurt Cobain o i fratelli Gallagher o Bono o i Limp Bizkit), ma sempre di marketing si tratta.

L'aspetto pregiudizievole (ma sarebbe meglio parlare di “occasione persa”) è stato piuttosto l'aver coscientemente trascurato la compresenza di “multiple, overlapping, and sometimes rival, mainstreams” (Eric Waisbard), azionando una scrematura preventiva che ne ha escluso quelle manifestazioni, come ad esempio il country contemporaneo, che pur generando fatturati esorbitanti esulano dai contesti sonori passati in rassegna. Ciò conferma gli (inevitabili) presupposti secondo cui pure la critica post-rockism abbia i suoi “wow!” e i suoi “bleah!” settati non solo in ragione di preferenze stilistiche, ma sulla base di fattori culturali, sociali, finanche razziali (vedasi la sospetta combutta col white guilt, pure se quest'ultimo concetto è oggigiorno tirato in ballo con troppa superficialità, quasi rappresentasse l'appiglio-principe per condannare un'intera categoria di ascoltatori). L'aspetto positivo, all'opposto, è stato il ribaltamento di prospettiva rispetto ai dogmi rockisti (ricordando che, sempre secondo Sanneh, l'erosione di questi cominciò con la new wave, “when British bands questioned whether the search for raw, guitar-driven authenticity wasn't part of rock 'n' roll's problem, instead of its solution”), la presa di coscienza del “limite del canone” e il conseguente aprirsi a realtà che il critico musicale o ignorava per principio o, tutt'al più, osservava da lontano con un atteggiamento per metà compassionevole, per metà rinfrancato da quel senso di superiorità che si prova sapendosi dalla parte della ragione, sapendosi parte della soluzione e non del problema (chi tra di noi non si è mai sentito così, almeno per una volta?).

In barba alla mia fiducia, l'ondata di reazione alle posizioni esposte da Sanneh - a loro tempo recepite da più parti, forse con eccessiva leggerezza - sembra trarre linfa vitale proprio dalla nostalgia per un simile scenario, e quindi dallo sconforto per la perduta centralità del rock nel contesto socio-culturale, dimostrando di aver tratto ben pochi insegnamenti dalla messa in crisi dei valori tradizionali(sti). Più che lo sviluppo di un “anti-anti-rockism” dai connotati progressisti, capace di mediare tra il relativismo assoluto e il riduttivismo (questo l'auspicio del critico Jason King nel breve saggio "Compared To What?", incluso nella riedizione di "Let's Talk About Love" di Carl Wilson), a delinearsi è un fronte piuttosto iroso, volto a ripristinare i rapporti di forza originari.

Certo, come abbiamo visto il poptimism non è immune da vizi, e già si è detto dei danni che possono derivare da una sua interpretazione in senso esclusivistico (a differenza di altri osservatori non credo si sia arrivati al monopolio culturale, nonostante l'ascesa di Taylor Swift deponga in senso contrario). Il punto è che molte delle obiezioni lette finora, tipo quella di aver inaridito il dibattito sui nomi meno conosciuti, lasciano in bocca il sapore della congettura. In primis perchè trascurano il ruolo sempre più autonomo del fruitore, che da anni ha il potere di autodefinirsi - e definire parte del contenuto della popular culture - in base ad altri criteri e beneficiando di nuovi strumenti (vedi l'e-commerce, Spotify, etc.); secondariamente, perchè fingono di ignorare l'impatto via via più smorzato della critica musicale tutta, la cui funzione oggi è più che mai da ridefinire.

Chris Richards sul Washington Post specifica che “For a good critic, listening to a recording should be like a skeptical stroll around the new-car lot, not an unwrapping frenzy on Christmas morning”, e perciò il non essere perennemente guardingo, sospettoso, lievemente schifato, è esso stesso indice della poca professionalità del critico “poptimista”. Il tutto, almeno, stando alla concezione di critico musicale fatta propria dal signor Richards, la quale, ricordiamolo, non ha ancora acquisito valore universale, pur rispecchiando una forma mentis piuttosto diffusa. (Nota a margine: non solo dal contenuto ma persino dal titolo dell'articolo, “Do you want poptimism? Or do you want the truth?”, riecheggiante i Minutemen, non riesco a non avvertire tutto il peso del fondamentalismo che l'autore si porta appresso.)

Perchè, invece, non ribaltare questo atteggiamento? Perchè non approcciare un'opera con predisposizione mentale benevola, tendenzialmente propensi ad accettare ciò che essa ha di “buono” da offrirci? Forse non si riuscirà comunque a entrare in sintonia con essa, ma almeno sarà stato uno simolante diversivo dal preimpostare un'analisi sul sospetto, sull'assunto che “nah, qui stanno cercando di abbindolarmi, meglio tenere gli occhi aperti e non dare troppa confidenza”. E' stata la cultura del sospetto, portata ai suoi estremi parossistici, la principale responsabile della fase di stallo in cui vegeta la critica di matrice prettamente rock, non l'emergere di un presunto “Nuovo Ordine” che, in quanto tale, non esclude affatto la compresenza del rock né mira a delegittimarne l'esistenza. Sono stati in primis il proliferare di “pensieri retromaniaci” e le minuziose analisi imparentate con la vivisezione, volte a scovare la natura derivativa di tutto ciò che passava il convento, a generalizzare un atteggiamento pessimista, timoroso di prendere posizione se non nel senso di sminuire (a fare gli scettici si rischia meno), incapace di fantasia e coraggio.

Non è "colpa" del poptimismo se, nella migliore delle ipotesi, servirà ancora un decennio per rendersi conto che la nu-new wave non fu revival new wave (proprio come il revival psichedelico degli '80s non fu vero revival e, in generale, ciò che intendiamo come revival non è mai interamente revivalistico); semmai la responsabilità è da ripartirsi tra critici passé i quali, ragionevolmente, intendevano fornire un substrato “oggettivo” alla loro impossibilità di leggere il presente, e una nuova generazione, confusa dal proliferare di voci e schiacciata dal peso della Storia, che pendeva dalle loro labbra.

Ma la cultura del sospetto si riflette troppo spesso anche nel modo in cui si discute di musica: non occasione di confronto, di scambio di esperienze, modalità principe per uscire dal proprio sé cercando di immedesimarsi, anche solo per pochi minuti, nel modo di pensare di altre persone, abitando altri mondi; piuttosto campo libero per batti e ribatti a oltranza, sfoggio di ars oratoria da bignamino, ansia di prevalere, esasperazione delle differenze. Quell'empatia che già il filosofo Theodor Lipps (“Empatia e Godimento Estetico”, 1906) individuò come chiave di volta per l'indagine estetica e la fondazione dell'oggetto in senso psicologico, in un simile contesto appare rinnegata per partito preso.

“L’empatia” scriverà poi Edith Stein ("Il Problema dell'Empatia", 1917) “è l'atto paradossale attraverso cui la realtà di altro, di ciò che non siamo, non abbiamo ancora vissuto o che non vivremo mai e che ci sposta altrove, nell’ignoto, diventa elemento dell’esperienza più intima cioè quella del sentire insieme che produce ampliamento ed espansione verso ciò che è oltre, imprevisto.” In questo quadro, il rifiuto aprioristico di confrontarsi col mainstream “poptimistico” (o il tentativo fatto apposta per screditarne le fondamenta, senza abbandonare i propri preconcetti, senza il gusto di perdersi) e la sufficienza/indifferenza con cui si guarda a realtà musicali non anglofone sono due facce della stessa medaglia: pur essendo comportamenti assolutamente legittimi, entrambi mascherano la non volontà di aprirsi, di confrontarsi con l'imprevisto, di superare l'idea di un rapporto con l'arte scandito da codici e simbologie “confortevoli”, entro i quali ci si sente solipsisticamente al sicuro.

Il caos, insomma, è salutare. L'esigenza di fare ordine, di catalogare e classificare, deve per forza di cose scontrarsi con una realtà sempre più multisfaccettata. Secondo il Prof. Morse Peckham, l'arte inietta il virus del caos in un mondo altrimenti dominato dalla ricerca della certezza, della stabilità: essa non è strumento grazie al quale unificare l'esperienza, bensì il promemoria che ci ricorda di quanto radicati siano i nostri dubbi e di quanto stimolante (di più: biologicamente necessario) sia provare diversi gradi di incertezza cognitiva. Nonostante gli scenari non proprio idilliaci a cui ci sta portando la cultura del click, credo ancora che l'esimersi dal “predicare”, tentando invece la via di un'indagine estetica per quanto possibile epurata da assolutismi (e, di conseguenza, conscia della propria natura incerta/frammentaria), impostata sulla condivisione di osservazioni e di esperienze, con tutti i rischi che essa comporta (primo fra tutti il riconoscersi nei difetti degli altri), sia una soluzione non troppo folle per affrontare in modo più consapevole questi tempi di transizione. Anche in campo musicale, i nostri dubbi potrebbero diventare la nostra unica salvezza. Basta solo abbandonarsi, tenendo magari un occhio sulla strada. Il resto verrà da sé. E per l'amor del cielo, via quei musi lunghi.

C Commenti

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zefis alle 20:09 del 2 dicembre 2015 ha scritto:

Difficile aggiungere molto di più ad un simile articolo, che solleva e approfondisce questioni sulle quali ho riflettuto spesso in questi ultimi mesi e che mi trovano praticamente concorde su tutta la linea. Mi preme però copincollare il seguente paragrafo, perché ritengo sia veramente quanto di più significativo in uno scritto comunque densissimo di temi possibilmente da sviscerare con ancora maggiore incisività (quanto ci sarebbe da scrivere sulla totale mancanza di curiosità nei confronti delle scene musicali non anglosassoni, per dire....): "Perchè, invece, non ribaltare questo atteggiamento? Perchè non approcciare un'opera con predisposizione mentale benevola, tendenzialmente propensi ad accettare ciò che essa ha di “buono” da offrirci? Forse non si riuscirà comunque a entrare in sintonia con essa, ma almeno sarà stato uno simolante diversivo dal preimpostare un'analisi sul sospetto, sull'assunto che “nah, qui stanno cercando di abbindolarmi, meglio tenere gli occhi aperti e non dare troppa confidenza”. E' stata la cultura del sospetto, portata ai suoi estremi parossistici, la principale responsabile della fase di stallo in cui vegeta la critica di matrice prettamente rock, non l'emergere di un presunto “Nuovo Ordine” che, in quanto tale, non esclude affatto la compresenza del rock né mira a delegittimarne l'esistenza. Sono stati in primis il proliferare di “pensieri retromaniaci” e le minuziose analisi imparentate con la vivisezione, volte a scovare la natura derivativa di tutto ciò che passava il convento, a generalizzare un atteggiamento pessimista, timoroso di prendere posizione se non nel senso di sminuire (a fare gli scettici si rischia meno), incapace di fantasia e coraggio." Ecco, applausi a scena aperta. E occorrerà armarsi rapidamente contro questa deriva pessimista, se non si vuole che il ruolo della critica rivesta un'importanza sempre minore in futuro....

loson, autore, alle 11:27 del 5 dicembre 2015 ha scritto:

Grazie Vas :*

FrancescoB alle 9:59 del 5 dicembre 2015 ha scritto:

Concordo pienamente con l'esigenza di abbattere gli steccati, e pure con l'esigenza di prendere finalmente le distanze da un certo rockismo "duro e puro", che non concede spazio a un approccio differente, a finalità diverse. Che bolla come censurabile qualunque cosa suoni vagamente orecchiabile o appetibile al pubblico generalista.

Diciamo che da appassionato di musica mi piacerebbe poter assistere, un giorno, anche al percorso inverso. Perché, checché se ne dica, questo approccio ortodosso alla musica è da sempre appannaggio di una ristretta minoranza. Cioè mi piacerebbe anche vedere coloro che considerano la nostra passione preferita alla stregua di una bibita gasata o di una gomma da masticare provare qualcosa di diverso, comprendere che esiste qualcosa di diverso.

Perché in caso contrario mi pare un attacco a senso unico, e io per indole sto sempre dalla parte della minoranza: che gli ascoltatori di Britney, Rihanna, Menegoni & tutto il corredo provino qualcosa d'altro, questo è il mio sogno segreto.

In sostanza: non c'è nulla di male nel provare piacere ascoltando questi musicisti, io adoro Luca Carboni e RAF e passo pomeriggi interi con la eurodance anni '90 nelle orecchie, ma ecco - a fortiori - credo non ci sia nulla di male nel dedicarsi ad altro. Visto che a provare questo "altro" è sempre e comunque una ristretta minoranza: per quasi tutti la musica si indentificherà sempre e comunque con i suddetti nomi, è sufficiente muovere due passi nel mondo reale per rendersene conto.

Indi, sono pienamente d'accordo nel mettere al bando ogni forma di snobismo e di chiusura aprioristica, ma in primis punterei sullo snobismo inverso del fruitore generico (visto appunto che si parla della quasi totalità delle persone), che ti bolla come strano o peggio altezzoso solo perché negli anni '80 preferisci gli Husker Du a Madonna o ai Queen

Insomma sono anche io come te, Matteo, per la massima libertà, in primis per la mia

loson, autore, alle 11:26 del 5 dicembre 2015 ha scritto:

Però vedi, Francesco, l'oggetto di questo articolo, forse ancor prima della musica in sè, è la critica. La critica rock, nello specifico (posto che col tempo il ventaglio di "suoni" cool si è esteso a frange dell'elettronica, alla black music, etc.). L'atteggiamento di cui parli, ossia il coinvolgere l'ascoltatore generalista nel mondo musicale di cui noi ci facciamo rappresentanti, è da sempre un leitmotiv della critica rock; atteggiamento il quale ha spesso sottinteso il duplice corollario di ogni elitarismo: da un lato il percepire il proprio gusto (che sfuma in evidenza oggettiva) come infallibile e depositario di verità, dall'altro il sentirsi in dovere morale di educare le masse (e quindi il mito del buon selvaggio che dev'essere preso per mano e guidato verso il "giusto"). La contraddizione - secondo il mio punto di vista - è che se tutti ascoltassero quello che ascolti tu, ti sentiresti perso, perchè il tuo/nostro gusto si è definito anche e soprattutto in opposizione a quello di altri. La "minoranza" di cui parli in fondo gode nell'essere minoranza, e nonostante i tentativi di proselitismo essa in realtà non desidera che troppi ascoltatori s'impossessino del suo patrimonio culturale, per il semplice motivo che cesserebbe di essere esclusivo, e quindi segno di differenziazione. Certamente esiste anche l'atteggiamento opposto di cui parli tu: l'utenza generalista che rifiuta a priori un certo tipo di musica perchè "snob", "difficile", etc. Il punto è interrogarsi quanto esso sia un comportamento innato e quanto invece sia indirettamente legata all'aura di misticismo di cui gli ascoltatori "giusti" si sono ammantati per legittimare il proprio circolo di adepti. L'idea stessa di concepire diverse gradazioni di valore nell'arte ha ne sue origini in contesti alto-borghesi e aristocratici. Sono gli intellettuali che hanno promosso questa "scissione", separando nettamente l'arte che vale da quella che non vale. Il mio non è un attacco a senso unico, anzi nemmeno è un attacco. E' una riflessione non particolarmente originale, ma che ho provato a condurre con tutti i miei limiti. E se mi sono soffermato su un solo "lato" della questione è per evidenziare i paradossi di un'elite che gongola nel definirsi oggettiva e senza condizionamenti, che per decenni - secoli, se si esula dall'epoca della musica registrata - pretende di incarnare il "giusto" e lo "sbagliato" in musica dall'alto di una fantomatica competenza che, quasi miracolosamente, ha permesso ogni esclusione/stroncatura/sbeffeggiamento. Io dico: "tu (critico) non sei nè meglio nè peggio di chiunque altro. Avrai anche costruito un sistema di valutazioni estetiche molto complesso e coerente, ma lo hai fatto basandoti sui tuoi piaceri/dispiaceri o su fattori che con la musica c'entrano pressapoco zero". Tutto qui. Una critica che si ostina a trovare gustificazioni di ordine morale al proprio gusto per me è assai più riprovevole della povera casalinga di Voghera che al 99% non pretende di convincere nessuno, non stabilisce gerarchie, ma si gode "di pancia" la sua musica senza rompere le palle o denigrare chi la pensa diversamente.

FrancescoB alle 15:03 del 5 dicembre 2015 ha scritto:

Matteo appoggio in pieno il discorso sulla critica e sulle presunte categorie. Però questa cosa riguarda ogni forma di produzione artistica, e a mio modo di vedere - purtroppo - un po' tutti ragioniamo così, diciamo che ci dà fastidio quando si tocca ciò che piace a noi (a me per primo): sul cinema ad esempio vedo menti molto meno aperte e malleabili rispetto al mondo della musica, cioè se io ritengo Boldi & De Sica superiore a Hitchcock si tratta sempre di opinione legittima (come credo), oppure in quel caso le categorie esistono e quindi si tratta di stronzata?

In generale credo sia sempre questione di ciò che uno cerca nella musica, questo consente di attribuirle una sorta di valore "intrinseco" che invece non esiste: cioè, può sembrare una barzelletta, ma non è scritto e innegabile il fatto che Mingus o Mozart siano meglio di Gigi D'Alessio, indi è legittima anche l'opinione contraria (sono serio). Dipende tutto da ciò che uno cerca nella musica.

Poi guarda penso nello specifico che io e te siamo fra i più aperti e "sinceri" in assoluto, nelle valutazioni, con tutti i nostri (miei soprattutto) limiti

Cioè Lucio Battisti che è l'idolo principe della casalinga di Voghera è anche il mio numero uno assoluto credo, poi apprezzo anche Anthony Braxton, ma certo non per darmi un tono: mi piace davvero, e tantissimo, tant'è che ne scrivo a pacchi, anche se appartiene ad un Universo distante da quello di Lucio.

Anche tu Matteo hai un approccio simile, mi pare, e aggiungi in più una conoscenza veramente enciclopedica, perciò davvero nulla da obiettare sulla tua posizione: diciamo che io mi sento abbastanza distante tanto da coloro per cui "Ascolti il POP? Bleah musica inferiore, commerciale venduta etc...", quanto da coloro che per "Ascolti Coltrane? Lo fai per darti un tono, a nessuno piace davvero quella roba ingarbugliata".

Ah, e mi sento poco affine anche a coloro che trasformano la musica in una gara di abilità tecnica. Insomma, ogni forma di barriera aprioristica o concettuale è sbagliata: questo mi pare il succo del tuo discorso, ed è questione su cui ti appoggio pienamente.

FrancescoB alle 15:08 del 5 dicembre 2015 ha scritto:

La vedo in modo leggermente diverso solo sul ruolo della critica, anche se si tratta di critica molto amatoriale come quella del sottoscritto: per me è importante portare a condividere, ad ampliare gli orizzonti, e non solo menarsela con acrobazie linguistiche pirotecniche (io non sono abbastanza bravo per farlo, peraltro). Mi viene naturale provare a "diffondere" e a convincere, ma senza bollare come "minori" i gusti diversi.

Di solito gli assolutismi comunque mi arrivano dal pubblico generalista, è quello con cui è più difficile interagire, perché spesso è circondato da barriere e non se ne rende conto: molto più facile confrontarsi con chi ha una prospettiva più ampia, anche se magari i gusti sono distantissimi. Naturalmente, anche qui sto generalizzando e quindi sto sbagliando, diciamo che parlo solo per esperienza personale.

loson, autore, alle 15:43 del 5 dicembre 2015 ha scritto:

Avevo scritto tipo venti righe ma mi si sono cancellate e non ho la forza di ricominciare Cmq condivido quello che dici, sono anch'io sulla stessa lunghezza d'onda.

Krautrick alle 16:46 del 8 dicembre 2015 ha scritto:

Ho letto l'articolo diverse volte nelle ultime settimane, cercando di trovare appigli per ampliare la conversazione, ma più lo leggo e più penso che nulla di competente, nessuna riflessione ulteriore si possa aggiungere, almeno da parte mia. C'è solo da fare i complimenti a Matteo. Mi limito a tre minipunti:

1) Da bravi micioni music-nerd, sulla loro pagina Facebook gli Horrors condividono regolarmente video musicali. Un mesetto e mezzo fa capitò una cosa molto interessante: pubblicarono un link Youtube di un brano di Nick Drake (non ricordo quale e la timeline di FB non permette di vedere tutti i post vecchi) e i fan della pagina lo accolsero con entusiasmo, superando i 1000 like. Non certo un numero incredibile, ma la cosa mi restò impresso perché il giorno dopo gli Horrors pubblicarono il nuovo singolo di Vanessa Carlton, con l'aggravante che ricordarono, in caso qualcuno se ne fosse dimenticato, che si trattava della cantante della hit di qualche annetto fa A thousand miles. Se non è stato il video meno "likeato" della storia della pagina FB degli Horrors, poco ci manca: 48 mipiace e commenti che spaziarono tra un "na, è orribile" e un "piantala di fare l'ambiguo, Faris. E pubblica nuova musica" (i commenti cattivi furono una minoranza, per fortuna)

2) A chi volesse iniettarsi in vena del sano poptimismo, umilmente consiglio un altro saggio pubblicato da Isbn Edizioni, oltre al già citato Musica di merda di Carl Wilson (bellissimo).

Parlo di Parole e musica: Una storia del pop dal Big Bang a oggi, del giornalista Paul Marley (grande firma NME negli anni post punk). Libro di una decina di anni fa in cui Morley inizia il suo viaggio dai suoi due grandi amori del momento, la mega hit di Kylie Minogue Can't get you out of my head e la sperimentazione culto di Alvin Lucier, I am sitting in a room. Due estremi che più estremi non si può che s'incontrano e abbracciano di continuo, a ricordare come alto e basso in cultura siano solo illusioni gerarchiche. Un libro eccessivo, frenetico, slabbrato, forse esasperante, ma dannatamente divertente e stimolante.

3) I critici rock assomigliano sempre più ai mis-shapes dei Pulp, nei versi:

We want your homes, we want your lives,

We want the things you won't allow us.

We won't use guns, we won't use bombs

We'll use the one thing we've got more of - that's our minds.

Questo stupendo articolo di "coming out" è una boccata di ossigeno contro l'aria stagna di una certa forma mentis (che parte dai critici per radicare nei cosiddetti appassionati seri), tuttora imperante ma solo ormai per autoproclamazione. Chiusi nel loro odio del diverso. Imperatori sul loro trono-zattera, re di un pugno di deliri e scimmiette (ogni riferimento ad Aguirre...).

loson, autore, alle 21:46 del 8 dicembre 2015 ha scritto:

Rick, sono commosso. Grazie per il tempo che hai dedicato a questo articolo (addirittura "diverse volte nelle ultime settimane"? Tu e Zefis siete i miei n.1 fans! ;D), così come un "grazie" generale va a tutti coloro che si sono presi la briga di leggere questa "cosa", anche a chi ha inframmezzato la lettura a imprecazioni varie. Sono ovviamente d'accordo con tutto quello che scrivi. L'episodio Horrors è gustoso e non mi sorprende (meraviglioso il commento "non fare l'ambiguo, Faris" ). "Musica di Merda" (titolo tradotto mooolto liberamente: in originale come sai era "Let's Talk About Love", ma comprendo le esigenze della ISBN di shockare il pubblico e vendere qualche copia in più) è un testo fondamentale che consiglierei a tutti, una di quelle esperienze che ti fa' tornare coi piedi per terra e riflettere su te stesso in un modo mai capitatomi in precedenza. Altrettanto essenziale il libro di Morley, anche se la mia copia è andata persa nell'ultimo trasloco e non credo sia più disponibile in italiano. O sì? Chissà se almeno di questo si trova l'ebook per il kobo... Altra lettura che mi sento di consigliare e che ho consigliato già in passato: "Musica di Plastica" di Hugh Barker e Yuval Taylor. Peace.

Krautrick alle 22:42 del 8 dicembre 2015 ha scritto:

L'ho letto diverse volte nella speranza di trovare qualche appiglio per scrivere qualcosa di non troglodita. Invano ;D

ma sai invece che a me una volta tanto il titolo liberamente tradotto piace un sacco? Musica di merda rende perfettamente lo spirito del libro di Wilson: quell'espressione che chiunque ha usato un sacco di volte nella propria esperienza di appassionato, quel rifiuto, quella porta così sonoramente sbattuta che spesso rivela una non accettazione, la paura di quel peccaminoso piacere che nessun rappacificante pensiero critico riesce a debellare. Quel ronzio inquisitorio che non ci lascia in pace, a meno che non si ceda all'accettazione dell'inaccettabile guilty pleasure. Morley per fortuna si trova ancora, a prezzo ottimo!

loson, autore, alle 22:58 del 8 dicembre 2015 ha scritto:

"Morley per fortuna si trova ancora, a prezzo ottimo!" ---> Wow, l'ebook c'è! L'avevo cercato dopo l'estate ma per un sacco di tempo era stato introvabile... Il saggio di Christopher R. Smit di cui parlavamo tempo fa invece non si trova: ibs mi ha comunicato la settimana scorsa che ogni ricerca è stata vana. Proverò su amazon ma i costi sono scoraggianti, uffa! Sul libro di Wilson: sì, tutto sommato il nuovo titolo è indicativo di un certo atteggiamento, è pittoresco, inquadra una forma mentis ricollegandola alla repulsione per il "materiale di scarto", attira l'attenzione. Di certo non aveva senso una traduzione letterale, sono passati troppi anni dall'uscita del disco della Dion e, perso il riferimento extratestuale, "Parliamo d'amore" non può comunicare alcunchè al lettore non informato. E poi per un certo periodo la materia fecale ha occupato un posto di tutto rispetto nei titoli delle rivite musicali, con la brevissimissima stagione "shitgaze" del 2008-2009 (anche la prospettiva era opposta: musica "brutta" perchè ultra.noise, ultra-esclusiva, etc.).

loson, autore, alle 23:00 del 8 dicembre 2015 ha scritto:

Nell'ultima parentesi, dopo "anche", manca un "se".

FrancescoB alle 18:58 del 8 dicembre 2015 ha scritto:

Kraut io ho già evidenziato di condividere pienamente l'approccio, ma rimango basito davanti a questa sorta di vendetta postuma: cioè, a benissimo liberarsi dei talebanismi del rockismo, ma adottiamo lo stesso atteggiamento nei confronti dei talebanismi del pop (che riguardano la stragrande maggioranza degli ascoltatori), o in quel caso si tratta di legittime preferenze? E' questo che non accetto, lo snobismo inverto: se mi piace Rihanna sono sincero, se ti piace Beefheart sei un hipster che si atteggia. Si applica una sorta di presunzione di appiattimento che fa ancora più paura del rockismo duro e puro, lo dico con sincerità. In sostanza, per fortuna la musica può anche essere divertimento, leggerezza, può non avere pretese se non quella di far passare tre minuti piacevoli (e per fortuna: lo dico seriamente). Ma si può anche attribuirle un significato diverso, o in quel caso si merita di essere bollati come snob estremisti?

loson, autore, alle 22:06 del 8 dicembre 2015 ha scritto:

Non voglio sostituirmi a Rick, ma ci terrei a puntualizzare una cosa: cosa sia passatempo o meno sei tu a deciderlo, Francesco. Ho conosciuto di persona puristi della classica per i quali “passatempo” (ossia l'equivalente della musica da sottofondo mentre si fanno le pulizie) erano Verdi e l'opera italiana in generale. Quando chiesi loro cosa pensassero del rock meno “allineato” (credo di avergli nominato Zappa, adesso non ricordo bene) mi guardarono strano, dicendo che loro certa roba la tenevano a distanza perchè non la consideravano nemmeno musica, alla stregua di una Miley Cyrus per l'appassionato di hard-rock. Sembra paradossale, ma è un atteggiamento assai diffuso nella “vecchia guardia” con cui mi sono trovato a interagire per un periodo della mia vita. Atteggiamento che gli elitaristi del rock hanno replicato - in modo assai meno coerente - nell'individuare per forza qualcosa di infimo a cui reagire, bersaglio mobile che nel corso delle decadi ha assunto forme diverse. Posto che siamo d'accordo sul fatto che non ci sia nulla di male nei “passatempi”, e quindi anche nell'ascoltare musica per soddisfare un impulso temporaneo o “effimero”, trovo che sia limitante escludere la possibilità di valutare il pop mainstream secondo i parametri che utilizziamo per il rock, e quindi la possibilità che esso (o parte di esso) sia letto come "qualcosa di diverso". Qualsiasi genere musicale è intellettualizzabile. Personalmente, poche cose mi fanno più paura del rockismo duro e puro (), ma come ho scritto prima, ogni tipo di integralismo - nell'intervento di Rick non ne ho trovato traccia - è estraneo alla mia idea di critica.

Krautrick alle 22:25 del 8 dicembre 2015 ha scritto:

Francesco, penso che il mio nickname sia eloquente nel far capire il mio background musicale sono un malato di psichedelia, l'unica (bruttissima) monografia scritta su Ondarock la dedicai a Diamanda Galas e ho passato gli ultimi giorni a scaricarmi i VENTIDUE GIGA dei 18 cd flac della Collector's Edition dell'ultimo Bootleg Series di Dylan, azione che solo i necrofili più irrecuperabili possono anche solo concepire ;D qui non si sta tentando di passare il messaggio che la storia della musica vada sovvertita a suon di rivoluzioni metrosexual da puntata di South Park. Gran parte del rock "di regime", "ufficiale", sarà sempre nei nostri cuori, nessuno osa metterlo in dubbio. Si sta cercando piuttosto di introdurre il concetto di convivenza tra due mondi che...in realtà non sono mondi a sé stanti, ma continuamente in comunicazione con loro. Il rock è sempre stato contaminato dal mainstream e viceversa; anzi, checché se ne dica, il rock è sempre stato mainstream e probabilmente anche il contrario è molto più vero di quanto non si voglia far credere.

Non c'è nessun snobismo al contrario perché l'approccio musicale è sempre ricerca, analisi, approfondimento, ma non si capisce perché questo debba essere limitato a ciò che la critica "classica" reputa degno di tale approccio. E' vero che molti appassionati di cosiddetta musica commerciale sono chiusi al mondo della musica ricercata tanto quanto il contrario, ma la differenza sta che i primi lo sono per indifferenza, i secondi per sospetto. I primi, nel loro edonismo disinteressato, non giudicano, i secondi sono costantemente impegnati a credersi portavoce di un nuovo credo culturale, reprimendo ossessivamente tutti i piaceri che non riescono ad esprimere in termini critici. Gli appassionati di musica commerciale non rifiutano "l'altro mondo" (tengo a sottolineare che sto usando questi termini manichei per evidenziarne il ridicolo) per snobismo, ma perché totalmente appagati dal loro status. Atteggiamento senza dubbio con fortissimi limiti, ma senza dubbio più genuino. E che sia meno intellettuale è tutto da dimostrare. Di certo è molto meno retorico.

loson, autore, alle 22:37 del 8 dicembre 2015 ha scritto:

"E' vero che molti appassionati di cosiddetta musica commerciale sono chiusi al mondo della musica ricercata tanto quanto il contrario, ma la differenza sta che i primi lo sono per indifferenza, i secondi per sospetto. I primi, nel loro edonismo disinteressato, non giudicano, i secondi sono costantemente impegnati a credersi portavoce di un nuovo credo culturale, reprimendo ossessivamente tutti i piaceri che non riescono ad esprimere in termini critici." ---> Questo passaggio dice tutto. Impagabile.

zagor alle 20:20 del 8 dicembre 2015 ha scritto:

"Di fronte alla parcellizzazione, alla frammentazione estrema, al venir meno del rock come collante generazionale, è d'uopo tentare di compattare il proprio pubblico intorno a un'offerta di artisti/generi più in vista"... per me basta questa mirabile sintesi a spiegare in soldoni cosa sia il "poptimism"

loson, autore, alle 21:28 del 8 dicembre 2015 ha scritto:

Ti ringrazio, ma poco più in là scrivo anche di come gran parte di queste dinamiche siano un retaggio dalla critica pre-poptimism. Gli integralismi sono deleteri a prescindere, a mio giudizio.

zagor alle 13:30 del 9 dicembre 2015 ha scritto:

beh, è indubbio che in questa de-ideologizzazione e perdita della centralità del rock abbia influito anche l'atteggiamento talebano dei custodi della sacralità del rock in passato...comunque hai perfettamente centrato il punto, un certo tipo di rock è morto e sepolto e dunque si cercano nuovi collanti, anche nel mainstream, oltre all'hip hop che va per la maggiore . Mi sembra che il succo del discorso di Francesco, se ho capito bene, pero' sia, "fino a dove si puo' spingere lo sdoganamento?". Kylie Minoigue ad esempio ormai è stata sdoganata re viene considerata una grande artista...Adele va bene? a Emma Marrone ci arriviamo o no? ...tu stesso dici che in questo ambito si entra in una sfera troppo soggettiva, quindi inevitabilmente non si troverà mai un accordo...ci sarà chi esalta le dive mainstream e chi come Francesco si mantiene scettico e dubbioso....ma il bello è questo, ci saranno tante cose di cui parlare in futuro ( e l'articolo è veramente splendido, complimenti!)

loson, autore, alle 14:01 del 9 dicembre 2015 ha scritto:

Rinnovo i miei ringraziamenti, Zagor. "Sdoganamento" è un termine che non gradisco, ha troppe connotazioni negative. Per me non si tratta di "riabilitare" ogni singola manifestazione musicale guardata con sospetto dalla critica rock integralista, piuttosto di riconoscere il pop mainstream come valido campo d'indagine estetica. Fare singoli nomi è irrilevante: personalmente detesto Adele, amo la Minogue e di Emma Marrone non so cosa pensare (se non che qualche suo pezzo ascoltato in radio non mi è piaciuto), ma appunto questo sono io. Non esiste un limite se non quello che ci diamo noi stessi e la nostra capacità di creare la bellezza in quello che ci circonda. Chiedersi fino a dove può spingersi questa presunta "riabilitazione" significa ragionare per categorie generali/omnicomprensive che io non riesco più a utilizzare. Non è necessario trovare un accordo sui singoli nomi, davvero. E' mia speranza, semmai, che ci si riesca ad accordare sulla necessità di considerare ogni genere/scena musicale come degno/a di un'indagine approfondita. Il che non significa che adesso ci dobbiamo tutti mettere ad ascoltare Emma Marrone o Justin Bieber e buttare alle ortiche Gun Club e Prefab Sprout, ma semplicemente non precluderci la possibilità di confrontarci, in modo serio e relativamente "libero", ANCHE con Emma Marrone e Justin Bieber. Uno degli aspetti più liberatori di "Musica di Merda" è l'aver ribadito che esistono tanti tipi di bellezza: possiamo apprezzare musiche diverse in modo diverso, per motivi diversi e in contesti diversi, senza che queste entrino per forza in contrasto tra loro. Giudizi diversificati ed eterogenei esattamente come la gamma delle esperienze umane.

FrancescoB alle 20:49 del 8 dicembre 2015 ha scritto:

Responsabili di questa parcellizzazione siamo anche noi "appassionati", in ogni caso. Proprio per questo avevo abbozzato una discussione intitolata "la morte del discorso sulla musica". Cioè, anziché liberarsi delle catene pesanti e ingombranti indossate da una certa critica rock militante, in troppi hanno deciso di liberarsi proprio del ruolo della critica: oramai ogni analisi si concentra su quel disco, quel singolo artista, quel concerto. Ampliare la prospettiva, azzardare, parlare di ciò che circonda la musica e del suo "ruolo", in sostanza, oggi sembra proprio una cosa da reduci.

Dr.Paul alle 23:52 del 8 dicembre 2015 ha scritto:

cmq francesco aveva fatto una domanda concreta alla quale nessuno ha risposto: se io ritengo Boldi & De Sica superiore a Hitchcock si tratta sempre di opinione legittima (come credo), oppure in quel caso le categorie esistono e quindi si tratta di stronzata?

loson, autore, alle 0:36 del 9 dicembre 2015 ha scritto:

"Superiore" in base a quali parametri? In generale, per me qualsiasi opinione che riguarda qualcosa di così indefinibile come il gusto è legittima. Al massimo posso commentare che il tizio ha dei gusti parecchio distanti dai miei, alla luce dei quali potrei persino definire i suoi come "pessimi", ma non è questo il punto. Poi sarebbe interessante capire se e quali motivazioni stanno alla base di questo giudizio, che tipo di argomentazione lo supporta. Se nel termine "superiore" sono racchiuse valutazioni su concetti quali "influente" o su dati empirici, allora si possono muovere tutte le obiezioni del caso.

Cas alle 9:03 del 9 dicembre 2015 ha scritto:

due parole sul "ogni opinione è legittima". vero, ma non ogni argomentazione, questo è il punto. se uno mi dice che i Pornoriviste sono dei grandi perché il cantante è qualcosa di superiore in termini di range vocale allora mi sento legittimato a stabilire che quella persona non capisce un accidenti. lo stesso discorso vale per concetti più sottili e sfumati. il fatto è che l'arte è un oggetto "relazionale", che presuppone un confronto tra opinioni. e quindi ciò che si discute sono le opinioni sull'opera d'arte, non l'opera d'arte in sé (a meno che non si stia discutendo di tecnica, e allora ecco che l'oggettività esiste). il (bravo) critico fa questo, cerca di dimostrare con argomentazioni verosimili la validità di un'espressione artistica. se si prende sul serio ciò che si fa, allora le argomentazioni non saranno masse di assunti casuali, ma avranno una loro forza, una loro autorevolezza, che cadrà solo se le argomentazioni opposte riusciranno ad essere altrettanto o più autorevoli. al centro della critica, però, ci sta il discorso: il gusto è un processo sociale.

loson, autore, alle 11:08 del 9 dicembre 2015 ha scritto:

Guarda, fondamentalmente - e detto molto alla buona - esistono tre tipologie di valutazioni possibili nel momento in cui si parla di arte (che poi equivale a parlare, come ben dici, delle nostre idee sull'arte: l'opera è "solo" il tramite): le valutazioni puramente empiriche, quelle puramente soggettive e quelle "spurie", che cioè hanno un nucleo fattuale ma il cui sviluppo necessita dell'interpretazione (e quindi dell'intrusione della componente soggettiva). Le prime in gran parte combaciano con caratteristiche tecniche che si autoimpongono, per cui ci si limita a rilevarle: la circostanza che quel dato quadro sia dominato da colori freddi, che una composizione sia tonale o atonale, la presenza o meno di un determinato strumento, etc. Sono dati importanti, ma sui quali non si può intavolare una discussione. Le seconde sono di gran lunga quelle più interessanti proprio perchè lasciano libero spazio alla dimensione propria del soggetto, il quale può decidere di sottolineare alcuni aspetti a scapito di altri, parlare di se stesso, condividere esperienze. Le ultime rilevano da punto di vista squisitamente critico: nel momento in cui, ad esempio, cerchi di determinare "l'influenza" di un artista su altri o la sua posizione all'interno di un contesto, fai anche affidamento su dati "oggettivi" che però non puoi accettare passivamente, proprio perchè questi ultimi acquistano senso soltanto se interpretati (e lo stesso fatto può essere letto in modi diametralmente opposti), se passati al vaglio della nostra soggettività. E' in quest'ultimo caso che l'argomentazione riveste un ruolo centrale, secondo me.

Dr.Paul alle 1:14 del 9 dicembre 2015 ha scritto:

boh se è legittima non è criticabile. a me piace il risotto alla pescatora, a te le penne all'arrabbiata...che fai mi critichi per il mio risotto? non puoi dire nulla, abbiamo gusti distanti come dici tu, ma questo poco male e conta poco. bollare i suoi gusti come "pessimi" ancora peggio, in base a quale scala di giudizio si bollano come "pessimi" quei gusti? allora esiste una presunta categorizzazione! le argomentazioni a supporto non c'entrano molto poi imho, uno ha facoltà di non esprimersi per i più svariati motivi ma questo non dovrebbe far "contare" di meno il suo boldi/de sica e il risotto!

loson, autore, alle 1:45 del 9 dicembre 2015 ha scritto:

"boh se è legittima non è criticabile. a me piace il risotto alla pescatora, a te le penne all'arrabbiata..." ---> Assolutamente, ma la tua domanda non era "se mi piace più Boldi & De Sica di Hitchcock" bensì "se io ritengo Boldi & De Sica SUPERIORI a Hitchcock". Il termine "superiore" potrebbe implicare valutazioni di ordine storicistico magari contestabili, entro certi limiti. Ecco dove entrano in gioco le argomentazioni. Se ci si limita a "preferisco Tizio a Caio" nulla da dire, goditi la tu musica. Definire qualcosa "legittimo" poi non significa azzerare il dibattito, proprio perchè avrei interesse di capire cosa ti porta a certe conclusioni. Non per screditarle, per cercare di capirle. E non è che il riconoscere la parità di valore dei gusti comporti in automatico il precludersi un'opinione sui gusti altrui (o su ciò che ha portato al formarsi del loro e del mio gusto). Io rispetto il fatto che Tizio straveda per il death metal, ciò non toglie che il death metal (finora, sai mai che...) non sia riuscito a fare breccia nelle mie preferenze: questa valutazione non intacca la legittimità del comportamento di Tizio, semplicemente è il prendere atto che anch'io, come tutti, ho un gusto. L'importante è non considerarlo statico, essere disposti a mettersi in discussione. E soprattutto non giudicare per partito preso.

Dr.Paul alle 15:24 del 9 dicembre 2015 ha scritto:

matteo, è la famosa questione dei parrucconi & riccardoni! qui da noi io ho visto tutti molto pronti ad aprirsi al mainstream, tranne un paio di persone, forse tre...ma non ne sono sicuro! questo per dire che hai ragionissima e aggiungo che stai parlando con uno che vive di mainstream! queste discussioni-fiume sono sempre un casino da seguire, forse ho capito male io ma ad un certo punto mi è sembrato che la questione vertesse sull'abbattimento delle categorie precostituite. cioè la vecchia storia di musica alta e figa, contro musica bassa per gente di bocca buona. a quel punto ho trovato lampante la domanda secca e decisa di francesco: "io amo boldi & de sica, tu ami hitchcock, siamo tutti e due rispettabili o io sono un coglione senza pretese e tu no? come ha detto anche zagor esiste secondo te, un limite oltre cui non andare o possiamo ravanare anche più in basso di boldi e di emma marrone senza perdere in credibilità e gusto estetico?

loson, autore, alle 15:42 del 9 dicembre 2015 ha scritto:

Beh, l'abbattimento delle categorie precostituite è la premessa del discorso. Arte bassa e arte alta sono concetti arcaici, eddai. E ti confesso che mi fa' sorridere il modo in cui il rock definito "alto" viene difeso dai suoi sostenitori e contrapposto alla bassezza plebea (che spesso è tale soltanto perchè la si vuole vedere in quest'ottica), quando quello stesso rock "artistico" viene definito spazzatura dai puristi della classica. Alla domanda di zagor ho già risposto, quindi ti rimando al mio intervento qualche riga più su. Quelli che definisci gente alla buona o senza pretese, hanno tutta la mia approvazione. Nella mia prima risposta a Francesco ho persino preso le difese della casalinga di Voghera, figurati...

Dr.Paul alle 16:33 del 9 dicembre 2015 ha scritto:

difatti non hai risposto nè a quella di francesco (ora anche mia) nè a zagor, ma fa niente, sono solo io troppo curioso e forse troppo concreto....saluti!

loson, autore, alle 17:26 del 9 dicembre 2015 ha scritto:

Più che curioso direi ostile, e sinceramente non ne comprendo il motivo... Ho risposto come ho ritenuto più giusto a due domande mal poste. Perchè mal poste? L'ho scritto nella risposta a Zagor: "chiedersi fino a dove può spingersi questa presunta "riabilitazione" significa ragionare per categorie generali/omnicomprensive che io non riesco più a utilizzare". Se proprio ci tieni sto al gioco, taglio i giudizi con l'accetta come piace a te (semplificare non sempre vuol dire fare un buon servizio alla critica), così che possiate distorcerli come più vi aggrada... "io amo boldi & de sica, tu ami hitchcock, siamo tutti e due rispettabili o io sono un coglione senza pretese e tu no?" ---> Siamo tutti e due rspettabili. "Esiste secondo te, un limite oltre cui non andare o possiamo ravanare anche più in basso di boldi e di emma marrone senza perdere in credibilità e gusto estetico?" ---> "Non esiste un limite se non quello che ci diamo noi stessi e la nostra capacità di creare la bellezza in quello che ci circonda" (copiaincollato dalla risposta a Zagor). Che in italiano significa no, non c'è un limite.

Dr.Paul alle 18:26 del 9 dicembre 2015 ha scritto:

no perchè "domande mal poste", anche qui dipende dai punti di vista, per me erano perfettamente centrate, per questo ti chiedevo, e sono stato la terza persona a farlo, evidentemente non ero mosso da sentimenti d'avversione....non c'è ostilità in tutto ciò, perchè mai dovrebbe? riguardo le "categorie generali/omnicomprensive" credo siano insite nel sistema proprio degli uomini, quindi non solo in musica....

FrancescoB alle 20:04 del 9 dicembre 2015 ha scritto:

Los forse mi sono spiegato male, ma la mia polemica era più rivolta a Krautrick che a te

In realtà io sottoscrivo in pieno il tuo punto di vista, voglio ribadirlo con forza: ogni opinione è legittima, non esistono paletti o barriere oggettivi, dati "in natura", mi verrebbe da dire. Non esistono arte di serie A e arte di serie B in senso assoluto, ti appoggio in pieno su tutta la linea.

Dipende sempre dai parametri di giudizio: ad esempio, mio padre ammira la canzone d'autore impegnata e trova "minore" tutta la musica in cui i testi non sia colti, altamente personali, "impegnati" etc. ma non sta scritto da nessuna parte che le cose siano "oggettivamente così"; un altro può cercare una certa raffinatezza tecnica, armonica o esecutiva e allora può trovare il primo disco dei Clash banale perché costruito con tre accordi. Ma non sta scritto "in natura" che una musica di questo tipo sia intrinsecamente minore: lo è nell'ottica del parametro adottato. Indi se sostengo che "The Clash" vale intrinsecamente meno di un'opera di Coltrane dico una vaccata, dal mio punto di vista. Se sostengo che dal punto di vista armonico, esecutivo etc.. è un disco meno articolato e creativo etc... dico qualcosa di riscontrabile, perché utilizzo un parametro abbastanza chiaro per misurare la musica.

Indi, io in realtà quoto Matteo su tutta la linea, anche per cinema e letteratura.

Dr.Paul alle 20:29 del 9 dicembre 2015 ha scritto:

eh certo! quindi chi dice che Adele vale intrinsecamente meno di Coltrane, dice una vaccata! and I hate bullshit!!

FrancescoB alle 7:59 del 10 dicembre 2015 ha scritto:

Pe me ogni paragone fra i due è una bestemmia, da numerosi punti di vista - tecnico, creativo, storico - altrettanto. Ma se mi dici dove si trova la regola "oggettiva" che spiega per tutti e indiscutibilmente come si misura il valore, te ne sono grato

Dr.Paul alle 9:10 del 10 dicembre 2015 ha scritto:

eheh no, semplicemente anche io applico l'adagio per cui "non sta scritto "in natura" che una musica di questo tipo sia intrinsecamente minore".

FrancescoB alle 20:08 del 9 dicembre 2015 ha scritto:

Indi io posso non riconoscermi in certo pop mainstream perché incarna valori cui non riesco più di tanto ad aderire: musica di impatto puramente fisico che non stimola (in me) altro, musica escapista che vuole regalarti qualche minuto piacevole. Ma non sta scritto da nessuna parte che il mio approccio sia corretto, migliore o intrinsecamente più valido: la questione è tutta lì. Che poi io possa sostenere con vigore la mia tesi è un altro discorso, che dipende da un punto di vista strettamente personale.

Peraltro, Matteo, proprio tu stai smentendo anche la mia teoria della "morte del discorso sulla musica", perché questo articolo è uno splendido discorso sulla musica, che si può condividere o meno naturalmente, ma che azzarda un'analisi e una prospettiva personale: per me critica significa soprattutto questo, oltre che analisi

woodjack alle 15:33 del 10 dicembre 2015 ha scritto:

ciao a tutti, mi infiltro sottovoce in questa interessante discussione più che altro per portare la mia esperienza di ascoltatore onnivoro (e quindi purtroppo, per ragioni di tempo, condannato ad un approfondimento mai adeguato). Fin da quando ero ragazzino mi sono dovuto "vergognare" dei miei gusti... di quali gusti? di tutti! a turno, a seconda dei contesti. Nei contesti dove si parla di classica potevo far bella figura sfoggiando il mio amore per Milhaud, Ives o Ligeti (già Mozart è troppo "intrattenimento"), ma dovevo tacere dei miei gusti "pop-rock", fossero i This Heat, i Beatles, Fennesz o Kylie Minogue. Per loro è tutto un fenomeno "basso", quindi cassabile. Se parli coi fan dei Beatles (che, almeno in Italia, hanno tendenzialmente gusti conservatori che non vanno oltre il 1975), noti che i Television (senza arrivare ai Pere Ubu) hanno avviato la rovina del mondo e David Bowie avrebbe fatto meglio a morire coi capelli ancora rossi. Con i fan di Tom Waits mi sono dovuto difendere dall'accusa che Elvis Presley non scriveva le sue canzoni, con quelli di Elvis che Tom non era un cantante perchè "non si può cantare con quella voce". Se dicessi, in qualsiasi contesto che ho frequentato o frequento, che Kylie dal '94 non ha (quasi) mai sbagliato un disco farei la figura del coglione ma, chissà che, in altri contesti, io non possa passare a turno per "passatista" (Kylie ha pur sempre più di 40 anni), o per "raffinato" (ha sempre più stile di Lady Gaga). Insomma la "qualità" va contestualizzata, solo in un sistema di riferimento si può giudicare un prodotto "buono" o "cattivo" perchè, in un altro sistema, esso potrà essere valutato esattamente in maniera opposta. Ma poi, ha senso stabilire chi è più bravo tra Bartok, Byrne e Blur? e a senso privarsi di una delle tre opzioni?

loson, autore, alle 15:45 del 10 dicembre 2015 ha scritto:

Che bell'intervento... Applausi. Approfondisci in modo gustoso e assai pertinente un tema, quello dell'importanza del contesto, a cui avevo accennato vagamente rispondendo a Zagor. Sulle conclusioni non posso che concordare. Complimenti ancora.

woodjack alle 18:31 del 10 dicembre 2015 ha scritto:

grazie los! complimenti a te per quello che scrivi (ovunque lo scrivi nel web ), per le tue analisi e le questioni che sollevi. Leggere te (e altre penne di razza di questo sito) è stato negli anni sempre stimolante, anche quando poi l'ascolto, per il mio giudizio, poteva esserlo meno. Come ho detto, ho sintetizzato solo la mia esperienza di ascoltatore che si interfaccia con altri ascoltatori. Dirò di più, nell'ambito "classico" ti scontri con chi sostiene che Cage "non è musica" o che Mozart è, come dicevo, un entertainer neanche tanto di lusso, insomma anche lì c'è un problema di scontro di linguaggi, di classifiche, di discorsi sulla liceità ecc.

Qualcuno ha tirato fuori Emma Marrone... il mio discorso, ovviamente, non esclude la possibilità di avere dei parametri di riferimento su cui stabilire la qualità di un prodotto (di che staremmo a parlare), solo di stabilire questi parametri chiaramente a priori, per evitare di confrontare l'inconfrontabile. La bella (?) Emma, all'interno delle coordinate in cui si muove, non mi pare che dica nulla di nuovo, originale, ma neanche di tradizionalmente ben fatto (per sbaglio ho sentito un singolo in auto e l'avevo scambiata per una canzone poco felice dell'ultima Nannini), insomma a meno che qualcuno non tiri fuori argomenti convincenti, per quel che ne so, Emma è un prodotto mainstream trascurabile già nel suo ambito. Che senso ha paragonare Boldi e Hitchcock? bisognerebbe capire se è più o meno bravo di Pozzetto, semmai. Eberl era un compositore contemporaneo di Beethoven, direi mediocre nella sua proposta. Essì che Eberl era musicista più abile e preparato di Bob Dylan, che non sarebbe mai stato capace di scrivere una sinfonia, questo ci porterebbe alla seguente disequazione Eberl > Dylan, chiaramente assurda. Non so, a me sembra un ragionamento banale, come il mio intervento del resto.

Quanto al discorso "sdoganamento della stampa", anche a me questa parola non piace, perchè presuppone già il confronto di più "sistemi" e una gerarchia tra essi. Esempio: nel 2007 esce "Trip di Light Fantastic" di Sophie Ellis-Bextor, una sagace mistura di elementi disco-pop di matrice euro, colorata al punto giusto. Niente di miracoloso, ma un buon prodotto. Nessuno se la fila. L'anno scorso esce Wanderlust (ancora lo spettro del Macca? ), una sagace mistura di elementi chamber-pop, colorata al punto giusto. OR parla di "maturità" dell'artista, SA si sbilancia parlando di produttori che la "stappano finalmente dalla disco-music". Insomma l'artista acquista credibilità perchè si dà ad un genere più credibile (così l'ho letta io). Per quel che ho ascoltato la Bextor è sempre lei, ha solo cambiato vestito, ma a quanto pare l'abito (checchè si sia fatta parecchia strada) un po' il monaco lo fa ancora.

loson, autore, alle 23:29 del 10 dicembre 2015 ha scritto:

Woodjack, dove sei stato in tutti questi anni? Sei l'utente/recensore che SdM stava aspettando da troppo tempo. Condivido praticamente ogni tua sillaba. Trovo azzeccata la ricostruzione della vicenda Sophie Ellis-Bextor (artista che resterà sempre nel mio cuore per i primi singoli e per la sempiterna "Groovejet" con Spiller): nel momento in cui un musicista adotta i segni distintivi di una determinata élite culturale, ecco che miracolosamente emerge dalla sua condizione negletta e acquista valore intrinseco, pur non avendo cambiato modalità compositive od operato chissà quali stravolgimenti sintattici/visual. In parte è questa consapevolezza che mi aveva illuso, ad esempio, circa una probabile accoglienza positiva di Dead Petz. Non avevo considerato però che la Cyrus non ha solo cambiato "abito sonoro" (posto che il disco non è affatto omogeneo quanto vorrebbero farci credere alcuni osservatori), ma ha modificato morfologicamente la sua proposta (almeno a questo giro, e io spero che non resti un episodio isolato), accogliendo istanze che persino la critica rock guarda con sospetto, a partire proprio dal formato del doppio-album zibaldone.

E' poi interessante notare come l'approdo a lidi post-psych, generalmente accolti con favore, in questo caso non abbia attecchito presso la critica americana anche in virtù di considerazioni che vanno aldilà dell'idioma musicale. Prendi la stroncatura di Pitchfork: in sé nulla di male, ennesima conferma di quanto il mio gusto sia distante, nonostante alcune inevitabili convergenze, da quello di alcune delle loro penne più in vista. Poi però leggo il paragrafo finale, dove per forza di cose si deve contrapporre all'artista che “sbaglia” il modello comportamentale “corretto”: Nicki Minaj, stranamente (?) coinvolta in un feud internettaro proprio con la Cyrus poi riapertosi con la provocazione in diretta agli MVA. La Minaj è il freak “giusto” perchè fumettistica esaltazione delle prosperose donne afroamericane, epitome di una sessualità gioiosa - ancorché stereotipata - dove il maschio è divenuto accessorio e si sfoderano i culoni con orgoglio; la Cyrus rappresenta il freak "sbagliato" perchè gracile, per nulla formosa, vagamente androgina, pansessuale (così si definisce lei stessa), rappresentante di quella white trash a misura di “Spring Breakers” a cui non appartiene solo per il fatto di essere milionaria. Ragion per cui "Anaconda" (che adoro, sia chiaro) è sublime inno (post?)femminista, e lo si capisce fin dal ribaltamento prospettico/semantico nel quale viene utilizzato il sample da "Baby Got Back" (tra i capisaldi del rap sessista) di Sir Mix-a-Lot, mentre ad esempio "We Can't Stop" delittuoso furto ai danni della comunità nera messo in atto da una gang di ragazzotti bianchi dediti all'ingestione di molly e sandwich alle banconote. Pochi hanno colto la sua natura surreale, e, per una volta, sottilmente “provocatoria”: Miley Cyrus è (stata) la ragazza bianca redneck che vive sulla sua pelle l'ascesa definitiva della black culture come nuovo paradigma dell'elite pop-culturale, e ne replica, distorcendone gli effetti, l'estetica di base. Questo è inaccettabile per l'elite critica bianca statunitense, mentre il resto del mondo, assolutamente indifferente alla questione, motiva il suo disprezzo faceno leva su cliché più a misura di indie-fan (e forse non è un caso che NME abbia invece accolto Dead Petz positivamente).

Vabbè ho divagato... Il senso era cmq il rapportare il cambiamento estetico ai dettami non solo stilistici ma anche etici/morali che regolano il contesto che deve recepire/interpretare suddetta "svolta". La precedente mancanza di credibilità della Cyrus - per aver violato un codice che regola i rapporti di forza tra gruppi sociali/razziali - ha influito negativamente su una mossa che aveva tutte (o almeno molte) carte in regola per incontrare il beneplacito della critica.

woodjack alle 23:58 del 12 dicembre 2015 ha scritto:

Dov'ero? a cercare di capirci qualcosa, e ho raccolto più dubbi che certezze no los, davvero non farti illusioni! la squadra di SdM è solida, competente e vanta lo stile più lussuoso e accattivante del web, io ho tanto ancora da imparare, ma tanto tanto. Tornando al discorso, mi interessa molto l'aspetto sociologico che metti in campo, perchè è un aspetto che è impossibile trascurare. L'estetica "black" è radicata stabilmente in una tradizione diciamo "popolare" (direi da cultura dei bassifondi) dove gli archetipi sono estremizzati e decisamente separati (la donna è una troia e l'uomo - nella migliore delle ipotesi - è un puttaniere, semplificando), in questo c'è un'adesione alle etichette della società che di trasgressivo ha ben poco, dal mio punto di vista, si muove più sul piano fisico animalesco o, paradossalmente (ma mica tanto), cattolico. L'estetica sessuale "white" è sempre stata più elusiva, sfuggente alle classificazioni, allusiva (le icone gay, non a caso, sono tutte bianche), si muove su un piano più cerebrale, rispolvera un'iconografia che, se fossimo nei '70, definiremmo glam, con tutto il suo armamentario revivalistico (mi viene in testa sempre Kylie che passa dallo short dorato alle pose da Brigitte Bardot, dalla tuta retrofuturista alla rivisitazione di Marilyn in chiave post-moderna fino al recupero di un posticcio fanta-canone neoclassico). Si dirà che l'australiana è europeissima, ma anche quella piccola battona - americanissima - di Britney deve passare attraverso le fantasie da Lolita (Baby one more time), le suggestioni di una sensualità orientaleggiante (In the Zone) o addirittura decadente-masochista (Blackout) per essere "accettabile", insomma con strumenti diversi deve agire su un livello psicologico in cui si deve insinuare pian piano, livello che, ad esempio, il culone di Beyoncé può eludere tranquillamente. Questa penso sia un'eredità culturale che nel tempo si è fatta vero e proprio dna da difendere. Passino le epigone di terza categoria (Aguilera) tutto sommato utili al sistema per rafforzare l'idea che black (quello naturale) is better, ma quando si comincia con gli esperimenti di ingegneria genetica più seria la natura si ribella. Finchè le nere si sbiancano un pochetto (Rihanna, Janelle) l'equilibrio regge (il sistema "bianco" - senza le etichette - è più flessibile, diciamo tollerante, anche perchè si è sempre sentito superiore), ma procedere al contrario è assai più pericoloso, perchè il sistema "nero" (quello con le etichette) non perdona e deve ancora (ancora?) vendicare cicatrici vecchie quanto il mondo. Quella vecchiaccia di Madonna lo sa, se vuole ricominciare dopo anni a flirtare con la musica nera, deve avere sua maestà Pharrell accanto che faccia da "garante", che le dia una patente di credibilità, una guardia del corpo và. La Cyrus, bianchissima, androgina (come giustamente osservavi), fa un disco psichedelico con un gruppo psichedelico (una cosa super-revival-anglofona, orrore già questo) saccheggiando a suo uso e consumo clichè black che mastica schifosamente come un cewing-gum glitterato con cui si sbava goduriosamente in copertina (a me ricorda anche un po' un gesto bowiano). Un po' come pisciare in un'acquasantiera, per rimanere nella metafora. Ed i neri che si incazzano, come dici tu e direbbe Paolo Conte, e la condannano alla forca comprensibile. La reazione del fronte bianco però è ancora più ridicola, è qui che tornano le menate solite: la Cyrus non è autrice, la Cyrus è la Cyrus (quindi Disney, le pubblicità, la palla demolitrice ecc), il disco è dei F. Lips, che si sono sputtanati in un prodotto mainstream (con la Cyrus!), il balletto prevede tanti passi ma tutti già visti. Per cosa? per la difesa dei sistemi, dei dogmi, delle certezze conquistate faticosamente negli anni, dello status culturale che è in fondo tranquillità psicologica, e integrazione sociale nel sistema stesso. Ecco, il sistema black si baserà anche sulle leggi darwiniane primordiali, ma il meccanismo di difesa conservativa piccolo-borghese (da borghesia decaduta, aggiungo io) del sistema white ha un non so che di tristemente ottocentensco. E' un Gattopardo 2.0 .

fabfabfab alle 10:34 del 13 dicembre 2015 ha scritto:

Quoto in blocco. E' più o meno il concetto che tentavo di esprimere nel putiferio post-Madonna di qualche mese fa. Solo che tu tiri fuori Beethoven e Eberl, io parlavo di galline e pollai. L'hai detta meglio tu, sicuro. Tanta stima per wood.

FrancescoB alle 10:55 del 13 dicembre 2015 ha scritto:

Fab mi riassumi, che la domenica mattina connetto anche meno del solito ?

fabfabfab alle 11:22 del 13 dicembre 2015 ha scritto:

Cosa ti riassumo? Scusa, ma è domenica anche qui

Dr.Paul alle 11:27 del 13 dicembre 2015 ha scritto:

francesco, hai partecipato anche tu alla sassaiola ghghgh interscope-2015).html" target="_blank">http://www.storiadellamusica.it/pop-music/pop/madonna-rebel_heart(interscope-2015).html

Dr.Paul alle 11:29 del 13 dicembre 2015 ha scritto:

vabbè i link non sono agibili, cmq la rece è madonna - rebel heart

FrancescoB alle 11:33 del 13 dicembre 2015 ha scritto:

Ah ah no intendevo l'intervento di Woodjack che hai sottoscritto, oggi fatico troppo a interpretarlo, anzi anche solo a leggerlo ghghghg

fabfabfab alle 11:53 del 13 dicembre 2015 ha scritto:

"Emma è un prodotto mainstream trascurabile già nel suo ambito. Che senso ha paragonare Boldi e Hitchcock? bisognerebbe capire se è più o meno bravo di Pozzetto, semmai. Eberl era un compositore contemporaneo di Beethoven, direi mediocre nella sua proposta. Essì che Eberl era musicista più abile e preparato di Bob Dylan, che non sarebbe mai stato capace di scrivere una sinfonia, questo ci porterebbe alla seguente disequazione Eberl > Dylan, chiaramente assurda. Non so, a me sembra un ragionamento banale" (woodjack)

loson, autore, alle 16:21 del 10 dicembre 2015 ha scritto:

"Peraltro, Matteo, proprio tu stai smentendo anche la mia teoria della "morte del discorso sulla musica", perché questo articolo è uno splendido discorso sulla musica, che si può condividere o meno naturalmente, ma che azzarda un'analisi e una prospettiva personale: per me critica significa soprattutto questo, oltre che analisi" ---> Tenere vivo il dibattito sulla musica è importante, anche tra amici, sono contento di poter dare il mio piccolo contributo.

FrancescoB alle 16:29 del 10 dicembre 2015 ha scritto:

Quoto anche io Woodjack in tutto e per tutto: schiantarsi contro certe pareti è sempre deleterio e dannoso, in primis proprio per il "discorso sulla musica". Qualunque sia il tipo di parete.

FrancescoB alle 11:50 del 11 dicembre 2015 ha scritto:

Ragazzi, vista l'enorme competenza leggo sempre volentieri, e condivido anche le osservazioni circa gli assunti "morali" di una parte della critica. Ma mi chiedo anche: è così determinante ottenere il consenso di questa parte della critica? Non è che così facendo si esibisce una sorta di complesso di inferiorità?

Cioè io so che per moltissimi musicisti classici il jazz è musica di serie B, il rock di serie C, l'elettronica non è manco qualificabile come musica. Indi? Non credo sia obbligatorio il loro apprezzamento, più che altro perché utilizzano parametri che mal si sposano con l'estetica e le finalità di queste altre forme di musica

loson, autore, alle 15:46 del 11 dicembre 2015 ha scritto:

"è così determinante ottenere il consenso di questa parte della critica?" ---> No no, figuriamoci. Trovo solo interessante provare a indagare su certi suoi meccanismi, anche vista l'influenza non trascurabile di Pitchfork nel panorama mondiale. Il suo peso nell'aver consolidato, ad esempio, quel movimento "new black" di cui hai parlato nel forum, mi pare innegabile. (Se riesco più tardi provo a intervenire a proposito del disco di Kamasi Washington, devo chiedervi dei chiarimenti. )

FrancescoB alle 10:26 del 12 dicembre 2015 ha scritto:

Ah ecco non sapevo, non ho mai letto Pitchfork né credo di iniziare ora: avevano già capito tutto loro, e dire che pensavo di aver proposta qualcosa di originale ghghghgh

loson, autore, alle 14:39 del 12 dicembre 2015 ha scritto:

Ahahah... No beh di preciso non so se l'abbiano battezzato loro, e sinceramente non so nemmeno se qualcuno a parte te l'abbia inquadrato come "movimento" a tutti gli effetti (e secondo me hai fatto bene a farlo ). P4K però ha spinto un sacco diversi suoi protagonisti, questo mi pare evidente.

Filippo Maradei alle 15:15 del 13 dicembre 2015 ha scritto:

Ancora una volta sei riuscito a stregarmi, Matteo. E tiri fuori Peckham nel momento migliore. Il mio sogno del cassetto è vedere l'arte - in qualsiasi forma espressa - liberata finalmente dai legacci della critica, da quella morsa didascalica e accademica che da sempre la opprimono e ne limitano gli spazi. C'è un motivo se non mi piace per niente entrare in un museo o vedermi una mostra artistica allestita da questo o quell'altro ente culturale: mi disgusta il fatto che qualsiasi opera d'arte, quadrofotografiasculturamerdad'artista, debba essere ricondotta alla cognizione, al pratico, alla sintesi, al 'capibile'. Un po' come quando a scuola si faceva la prosa della poesia, e per esercizio stilistico o esercizio e basta il "Sempre caro mi fu quest'ermo colle" si svuotava dell'anima per diventare l'amato e semplice "Mi è sempre piaciuta questa collina solitaria".

Ecco, la critica artistica - e quella rock sopra tutte - ha sempre fatto da prosa all'arte, avviando un riempimento cognitivo che zero ci azzecca col nonsenso liberatorio che alberga in ogni caos artistico. E quindi le descrizioni didascaliche dei quadri, le spiegazioni ontologiche sull'artista, le correnti artistiche di riferimento, le influenze, la storia, la geografia, la politica ecc. Proprio non riusciamo a lasciare in pace le opere d'arte, ci sentiamo in dovere di 'spiegare' nei dettagli un disco o trovare il senso intrinseco di un quadro d'antan. Quello che voglio dire è che per me l'arte è per definizione affrancamento dal senso e anarchia nella mente: in questo senso posso trovare Kubrick in un Malthus o ritrovare il gusto caldo e rassicurante di una lasagna nei Kings of Convenience. Quindi non so... mi sembra che un po' tutta la critica in generale sia sempre stata una critica del sospetto e delle paura, laddove la critica rock - dicono benissimo Matteo e Krautrick - si è rivelata senz'altro la peggiore tra le critiche, demonizzando l'oscuro e ghettizzando il diverso. Sembra quasi di parlare di una corrente religiosa familiare... chissà che in questo senso tu Matteo non possa essere il nostro salvifico (e più dolce) Carmelo Bene

Cas alle 16:01 del 13 dicembre 2015 ha scritto:

però mi pare che il senso dell'articolo di Matteo non sia quello di eliminare la discussione, il ragionamento, l'ordine, dal discorso musicale, bensì espanderlo ad altri ambiti e in altre direzioni, scevro da "assolutismi" e dogmi su cosa è autentico e cosa no... o sbaglio? anche perché l'arte -e così la musica, e più in generale il pensiero e l'espressione umana- è fatta per essere discussa, ragionata, socializzata. altrimenti rimane solipsismo individuale...

Filippo Maradei alle 16:12 del 13 dicembre 2015 ha scritto:

Boh Cas, non so dirti se si tratta di solipsismo individuale... so dirti soltanto che la musica la ascolto da solo, un quadro lo contemplo da solo, un piatto lo mangio da solo. Poi ovvio, c'è la condivisione, i consigli, gli entusiasmi ecc. Ma la critica in generale mi sembra si sia nascosta dietro queste finte pretese per creare poi dogmi e codici, gruppi e correnti, sofismi e accademia. Non è liberatoria, l'arte sì. Per questo mi sono ricollegato allo splendido scritto di Matteo (che è più una riflessione a mente aperta, credo), aggiungendo però pensieri e constatazioni mie. Ed è sempre per questo che ho deciso di smettere di scrivere recensioni e lasciare la critica ad altri. Non fa più per me.

PS: il rispetto e la stima per chi scrive qua dentro è ovviamente immenso, per questo considero SdM un'isola felice e ben diversa dalle altre

Cas alle 16:27 del 13 dicembre 2015 ha scritto:

capisco cosa vuoi dire, ma considero due cose ben distinte il "catalogare" e "l'ingabbiare", il "definire" e il "cristalizzare in dogmi"...

Filippo Maradei alle 16:37 del 13 dicembre 2015 ha scritto:

Io non vedo tutta questa differenza, anzi.. ma va bene

FrancescoB alle 16:45 del 13 dicembre 2015 ha scritto:

Ma, però questo appiattimento del ruolo della critica oggi mi pare trionfante, perciò direi che chi la vede in un certo modo ha vinto e stravinto: appunto, la morte del discorso sulla musica. E invece confrontarsi, riflettere, anche "catalogare", mettersi in gioco, è parte del discorso artistico a mio avviso

La critica è una forma d'arte, ne sono fermamente convinto. Una forma d'arte atecnica, che spesso ci rivela più cose sul critico che sull'opera in sé. Il rock, ma anche il jazz, la classica e ogni forma di espressione non sarebbero le stesse senza la critica, che ne rappresenta una parte fondamentale.

Anche solo per incuriosire: io aborro in larga misura l'approccio scaruffiano, ma senza di lui avrei conosciuto in altri tempi e modi (o forse mai) Tim Buckley, Beefheart etc..

Il problema, come ha illustrato bene Matteo, è quando la critica erige barriere o categoria di valore, parlando di serie A o serie B, o etichettando come ontologicamente inferiori o superiori certe cose. Questo secondo me è sbagliato, ma anche impedire in ogni modo ogni tipo di catalogazione diventa a sua volta una barriera, cioè non commettiamo anche noi l'errore di imporre a "loro" come devono rapportarsi con la musica. Io sono per la massima libertà, sempre e comunque.

loson, autore, alle 18:33 del 13 dicembre 2015 ha scritto:

In effetti, Filippo, io non chiudo affatto le porte alla discussione. Al contrario: vorrei ce ne fosse di più, e "migliiore". Rispetto e per certi versi condivido assai il tuo punto di vista, ma secondo me la questione non è liberarsi della critica, bensì farle prendere coscienza dei suoi limiti e del suo ancora immenso potenziale. Esattamente come io ho trovato ispirazione nei tuoi scritti, e magari tu nei miei: le opinioni altrui cambiano il nostro modo di recepire il complesso delle discipline raggruppate sotto il vetusto termine "arte" (parola che sono quasi arrivato a detestare). Il mio discorso, così come ho cercato di spiegare negli ultimi paragrafi dell'articolo, non può prescindere dal confronto e dal dibattito: dobbiamo venirci incontro, scambiarci opinioni, condividere appunto, non chiuderci a riccio nella fruizione individuale. Se questo per te non è "critica", benissimo, chiamiamola in modo diverso. Se "critica" significa plasmare un sistema di valutazione astratto ed immutabile con cui spiegare agli altri cosa "si deve" o "non si deve" ascoltare, o come dover interpretare ciò che si ascolta, allora non ha più senso nemmeno per me. Ha senso il comunicare riflessioni individuali, proporre chiavi di lettura e, perchè no, anche riallacciarsi alla storiografia se da essa si possono trarre informazioni utili a fortificare il nostro legame con le opere. Il che non rappresenta il modo "ideale" o "pieno" di fruire le stesse, al massimo uno dei tanti.

Io ascolto musica da solo e in compagnia, prestando estrema attenzione ma anche "dimenticandola" (la background music, fin troppo demonizzata). La posso cantare il coro durante un concerto, o canticchiarmela tra me e me, o suonarla, o sentirmi tranquillizzato per il solo fatto che ci sia qualcosa che copre il silenzio del nostro agire quotidiano. Sono assolutamente d'accordo - se ho bene inteso il tuo pensiero - che la musica possa essere apprezzata e vissuta in una puralità di situazioni che prescindono dall'ascolto volto a elaborare giudizi, ma da qui allo smettere di formularne ce ne passa. E poi bisogna vedere se il senso di liberazione di cui parli sia del tutto scevro da intellettualismi o perlomeno da valutazioni di ordine estetico. In ultimo, non credo sia possibile tornare indietro rispetto alla rivoluzione che la blogosfera ha messo in atto: la pluralità di voci non può più essere ricondotta a un unicum, ecco perchè ho perso fiducia nei confronti di chi non mette "se stesso" nei suoi scritti, lasciando intendere di porsi come mero tramite tra l'opera e il lettore, di "spiegare" una realtà già presente nell'opera. Anch'io più volte ho sentito vacillare il desiderio di divulgare, e di certo lo sentirò vacillare ancora. Ma ciò è accaduto e accadrà per la semplice - e tragica - impossibilità materiale, per la gerarchia delle necessità che ci impone il vivere, per sfiducia nei miei mezzi o per problemi personali, non di certo per sfiducia nella possibilità di raccontare quanto la musica continua a regalarmi, nonostante tutto.

Filippo Maradei alle 19:00 del 13 dicembre 2015 ha scritto:

Ma guarda che allora parliamo della stessa cosa mi infastidisce quel concetto di critica - che poi è quello naturale ed etimologico - che tu stesso disprezzi e hai ben spiegato qui su. Non voglio mica che non ci sia più discussione, scambio di opinioni, consigli ecc. Credo solo che abbiamo sbagliato a considerare i blog una deriva adolescenziale e non autoritaria dell'espressione personale, detestabile e dilettantesca, quando in realtà per me è la critica (che palle sta parola) ad essere di fatto una deriva 'istituzionale' tremenda. In tutta onestà trovo che siano molto meno ridicoli i blog della critica, che peraltro si prende tremendamente sul serio

loson, autore, alle 19:04 del 13 dicembre 2015 ha scritto:

Ok, allora siamo d'accordo su tutto, in pratica. Vorrei soltanto che certi blogger fossero più informati, perchè a volte citano dati sbagliati o si lanciano in valutazioni storicistiche piuttosto azzardate. A quel punto preferirei si astenessero dal farle, tanto più se non sono strettamente necessarie.

FrancescoB alle 16:52 del 13 dicembre 2015 ha scritto:

In generale, le poche divergenze fra noi riflettono una summa divisio di cui io sono convinto da tantissimi anni. Filippo e altri prediligono, del tutto legittimamente, un approccio del tutto "classico" alla musica e all'arte (parola che io cerco sempre di evitare, ma tant'è): la musica deve rappresentare qualcosa di piacevole, una forma (e lo dico con il massimo del rispetto) di "intrattenimento". Questo non significa naturalmente circoscriverne il ruolo: come giustamente ha osservato Matteo, ci sono fior di musicisti classici per cui la musica è soprattutto piacere e intrattenimento.

Io capisco di essere figlio e anche in parte schiavo di un approccio del tutto "romantico", per cui l'arte - più che ricerca della "bellezza", e infatti prendo sempre le distanze da questo concetto - è espressione. Anche di questioni centrali dell'esistenza, in ogni senso possibile.

La diversità dei parametri (ecco che si torna sempre sul luogo del delitto!) implica naturalmente che si possa giungere a conseguenze diverse. Le mie non sono intrinsecamente migliori né peggiori, sono solo - appunto - diverse.

In ogni caso, il discorso sulle forme di espressione e sul loro ruolo - anche storico, anche sociale, culturale e personale in senso lato - è parte centrale della mia passione della musica, non riuscirei a viverla in modo diverso, dal mio punto di vista significherebbe sminuirla (ma questo, ripeto ancora, vale per me: un altro può adottare un punto di vista radicalmente diverso, altrettanto valido e legittimo )

Dr.Paul alle 14:59 del 14 dicembre 2015 ha scritto:

cmq ragazzi, ora tutti d'accordo (giustamente il natale si avvicina), ma andate a rileggervi la rece/commenti di madonna - rebel heart, non c'è nessuna apertura al mainstream e nessun abbattimento di steccati ideologici precostuituiti. non faccio riferimento al disco in questione della ciccone ma alla sua carriera. io stesso in un'altra discussione sono stato redarguito per gli ascolti di adele e sono stato scherzosamente invitato a prestare ascolti ad un presunto mainstream di classe superiore. l'abbattimento delle categorie è solo teorico, nella pratica...eccoli gli steccati.

fabfabfab alle 16:06 del 14 dicembre 2015 ha scritto:

Bravo Paul ti ricordi? Me volevano pijà a schiaffi!

woodjack alle 16:17 del 14 dicembre 2015 ha scritto:

" ora tutti d'accordo (giustamente il natale si avvicina)" ihihihihi mitico Paul! visto che qui sono nuovo mi sono letto i commenti alla rece che indichi... però chi di là aveva da contestare di qua mi pare non abbia proprio partecipato alla discussione (o mi è sfuggito qualcosa?), da questo punto di vista c'è coerenza. Non so se alludi a quanto dirò, ma ci sarà sempre chi si arroccherà su posizioni di natura pseudo-culturale, forse solo per giustificare un'idiosincrasia o affermare una superiorità intellettuale, gli steccati non spariranno mai. Il fatto che Madonna sia stata la massima pop-star del suo genere, e abbia prodotto "ciccia" sui suoi dischi (giusto per non rimanere sul piano estetico, come dici giustamente altrove), che sia stata influente e dichiarato modello per le molte venute di seguito è scritto anche sui muri dei bagni pubblici da 20 anni ormai, oggi sono d'accordo anche io che è un po' all'inseguimento, ma è fisiologico (i giovani portano avanti la storia, me lo insegnavi tu). Secondo me la posizione "snob" è una scappatoia facile, lo è stato in passato anche per il sottoscritto. A me tutto ciò che è hip-hop/r&b o derivato tendenzialmente mi irrita, con poche eccezioni, e cerco come nelle allergie da contatto di tenermene lontano (neanche il feat. di Paul, quello vero col parruccone, nel brano Rihanna-West mi ha fatto cambiare idea, sorry), è stato veloce bollare tutto quanto un'americanata di serie c, ma poi ti vedi costretto ad ammettere che se ci sono fenomeni che si radicano e dilagano per più di un decennio qualcosa sotto c'è, che non ha bisogno di sdoganamenti perchè s'è già sdoganato facendo storia. Non bisogna confondere critica con gusto, analisi con preconcetto (anche questo l'ho imparato da te), benchè le cose non siano mai totalmente e vicendevolmente impermeabili (cervello e cuore sono pur sempre collegati) a me sembra che invece si faccia molta confusione in questo senso. E chiudo con quest'ennesimo omaggio alla tautologia. Ora sono curioso di capire la storia di Adele PS: a me, per inciso, piaceva molto di più Amy!

loson, autore, alle 16:35 del 14 dicembre 2015 ha scritto:

L'emergere, negli ultimi dieci anni, di una critica anglofona sempre più aperta verso il mainstream (e al tempo stesso "chiusa" nei confronti di altra musica), tanto nelle analisi quanto nei giudizi, è uno dei pochi dati incontestabili presenti nel mio articolo. Non è certo una recensione (e relativi commenti) di SdM o di Ondarock che può smentirlo. Madonna, nello specifico, è amatissima dal pubblico indie da ben prima che si consolidasse il poptimism. La realtà italiana è molto diversa, arroccata su posizioni di vecchio stampo, ed è giustappunto nel nostro contesto che il mio scritto ha un senso.

FrancescoB alle 20:40 del 14 dicembre 2015 ha scritto:

Gli steccati sono orribili ma sono parte della libertà, del resto credo che la maggior parte di noi sia nei confronti di un filone gigantesco come quello del metal nordico ancora più diffidente e "snob" di tutti gli indie del mondo messi a confronto con il pop mainstream

Insomma ho visto che, al di là delle differenze di gusto, inevitabili, siamo tutti più o meno sulla stessa lunghezza d'onda: ma non possiamo pretendere che il mondo sposi questa visione, per me apprezzare Rihanna è legittimo quanto apprezzare i Velvet Underground o Duke Ellington, si tratta di forme di espressione diverse. Poi io posso avere la mia idea sul ruolo e sui valori che Rihanna incarna, ma questo dipende - ripeto ancora - dal mio approccio, dai miei schemi, da quello che io cerco nella musica. Per me stiamo un po' cadendo nello stesso identico errore che rimproveriamo a questa critica elitaria: pretendere che tutti la vedano come noi. E invece, se voglio, io posso anche reputare Madonna pattume, o è vietato?

Dr.Paul alle 17:28 del 14 dicembre 2015 ha scritto:

woodjack ma noi ci conosciamo? io ricordo un woodjack, ma sono passati anni e anni...vabè mi dirai in privato!

riguardo madonna: "che sia stata influente e dichiarato modello per le molte venute di seguito è scritto anche sui muri dei bagni pubblici da 20 anni", oppure "Madonna, nello specifico, è amatissima dal pubblico indie da ben prima che si consolidasse il poptimism", ragazzi mi state schiudendo le porte di un mondo a me sconosciuto, qui da noi.....c'è gente che la considera una "semplice zoccola incapace" (perdonate la parolaccia ma siamo fra noi ). io credo che lo spazio su Sdm sia indicativo della piazza, e di conferme in tal senso ne troviamo anche in altre webzine di critica o nei maledetti fanclub (oggi anche su facebook) di personaggi comunemente ritenuti star di primo piano. cmq se mi dite che la cosa è tipicamente italiana ne prendo atto e amen!

concordo ancora con woodjack riguardo il: "ti vedi costretto ad ammettere che se ci sono fenomeni che si radicano e dilagano per più di un decennio qualcosa sotto c'è, che non ha bisogno di sdoganamenti perchè s'è già sdoganato facendo storia.". più o meno è questo il succo di una mia recente conversazione con chi ancora si ostinava a ritenere Adele una brava cantante e basta, non riconoscendogli alcuna peculiarità e nondimeno continuando a recitare il vecchio adagio della "sopravvalutazione". La gente ha un ego smisurato, tende spesso a mettere il gusto (e la conoscenza?) personale al di sopra di tutto. Ma chi la fa la storia del mainstream se non chi vince 10 grammy (ragazzi 10 grammy, dieci, c'è gente che supplicherebbe tutti gli dei del mondo per vincerne uno o due, non è un fottuto premio di nme o di rolling stone), e 1 oscar, oh l'oscar...cioè l'oscar lo hanno vinto stevie wonder e prince in passato. Ancora discutiamo sul fatto "Adele nella storia o no"? La risposta è "sì, cazzo". La gente rifiuta i dati di fatto, non riesce ad accettarli, come possiamo pensare che un giorno si riesca ad abbattere quegli steccati di cui abbiamo parlato finora? Scusate eventuali divagazioni....

loson, autore, alle 17:51 del 14 dicembre 2015 ha scritto:

Personalmente non vedo contraddizione nel riconoscere ad Adele un posto (sacrosanto) nella storia del pop e al tempo stesso ritenerla sopravvalutata. Pure Mariah Carey per me ha diritto a un posto nella storia del pop, anche se della sua produzione gradisco pochissime cose. Non è che su "Titanic" si deve sospendere qualsiasi giudizio solo perchè ha fatto incetta di premi e innegabilmente influenzato la cultura popolare del suo tempo.

loson, autore, alle 17:58 del 14 dicembre 2015 ha scritto:

E cmq non è che si debba sempre rendere conto alla Storia, manco fosse un'entità sovrannaturale da adorare nel timore di essere giudicati. Esistono tante Storie, in fondo. Una di queste ha come fondamento i dati di vendita, i premi, l'infiltrazione nel dibattito e nel costume popolare del proprio tempo. E' giusto darle rilievo, senza fare preferenze. Al tempo stesso non ci si può sentire troppo vincolati, proprio perchè aldilà dei dati di fatto incontestabili (che non sono così tanti) ci si può muovere liberamente, senza contare quelle "oggettività" che cmq necessitano di interpretazione e che quindi possono essere lette tanto in un senso quanto in quello opposto.

Dr.Paul alle 18:00 del 14 dicembre 2015 ha scritto:

d'accordo matteo, sono solo dubbioso riguardo i "per me". per me non contano molto. cioè "per me" i blur sono tra le top 10 band di sempre, "per me" i radiohead sono stracciamarroni, "per me" neil young non merita il posto che occupa, "per me" i daft punk sono sono la migliore dance-act degli ultimi trent'anni, "per me" zorn è da sbadiglio, "per me" i beatles......

loson, autore, alle 18:14 del 14 dicembre 2015 ha scritto:

PER ME è interessante conoscere i gusti degli altri, proprio perchè l'universo musicale è piuttosto vario e impossibile da ricondurre alla bidimensionalità a cui tu sembri agognare. Anzi, probabilmente non c'è nulla di più interessante. Ho conosciuto musica splendida e scene fondamentali grazie ai "per me". Ho conosciuto più new wave (nello specifico: new wave continentale, molta della quale assai originale - non tutta - e che ha rivestito un ruolo di primaria importanza nelle rispettive classifiche nazionali e nella cultura di quei Paesi) grazie ai miei netfriend di quanta ne abbia conosciuta grazie a Reynolds. Lo stesso può dirsi di altre scene musicali sudamericane, asiatiche o africane (qui Fab è un interlocutore ben più ferrato del sottoscritto) che restano escluse dalla Storia ufficiale del pop solo per la miopia dei suoi compilatori. La Storia è fatta soprattutto di interpretazioni, e trovo sia molto più onesto riconoscerne la relatività con un "per me" piuttosto che spacciarle per dogma.

Dr.Paul alle 18:29 del 14 dicembre 2015 ha scritto:

ma certamente per conoscere nuova musica va benissimo il "per me", che discorsi, ben vengano suggerimenti! io ho fatto esempi di nomi conosciutissimi. per te la carey merita di entrare nella storia, per me no. su adele siamo d'accordo.....

loson, autore, alle 18:56 del 14 dicembre 2015 ha scritto:

E perchè Mariah Carey non si merita la storia?

FrancescoB alle 20:44 del 14 dicembre 2015 ha scritto:

Quoto in pieno, la "storia ufficiale" va benissimo al principio, quando devi infarinarti un po' e allora cerchi necessariamente appigli: io sono passato per Beatles-Stones-Who e poi Dylan-Velvet-Doors e poi Crimson-Genesis e poi ancora mille altre cose, e non rinnego nessun passaggio. Ma a un certo punto ho intrapreso percorsi miei, come tutti noi credo: e lì sono emerse molte fra le cose più interessanti

woodjack alle 18:34 del 14 dicembre 2015 ha scritto:

sì sono passatti anni e anni! ti ho scritto in pvt. Attento Doc a tirar fuori i Grammy però, perchè se quello è il metro Thriller di Jackson ne ha vinti una decina scarsa!

No comunque neanche io vedo contraddizione, faccio ancora un esempio classico perchè l'ascoltatore di classica è un classico (scusate il gioco di parole) esempio di "integralista culturale". Mi è capitato di definire altrove Schumann "sopravvalutato" (in virtù di una deriva accademica portata avanti con scarsa ispirazione e mezzi tecnici che interessa il suo stile dal '40 dell'800 in poi), ho sempre trovato pochissimi che hanno appoggiato la mia opinione (giudicata azzardata quand'anche blasfema), che non rinnega affatto l'importanza del musicista nella storia della musica (perlopiù conquistata con una manciata di raccolte pianistiche), ma ne ridimensiona solo la grandezza. Insomma, dal mio punto di vista tra "è fuffa inutile" ed "è un artista assolutamente geniale" c'è tutta una serie di posizioni in cui ci si può legittimamente collocare a seconda del tipo di analisi che si conduce. L'altro guaio, secondo me, è proprio la tendenza ad estremizzare i giudizi su certi autori quando non generi interi, nel caso della classica verso l'alto (tutti intoccabili e incriticabili perchè scritti nei libri di storia) nel caso del pop mainstream verso il basso.

Dr.Paul alle 12:33 del 15 dicembre 2015 ha scritto:

woodjack, i grammy li ho tirati fuori solo perchè parliamo di un prodotto mainstream, il mainstream deve obbligatoriamente vendere, se poi ha lo spessore necessario per fare incetta di premi e riconoscimenti (che non siano sciocchezze tipo il premio di mojo o di nme), il piatto è servito. jacko...non mi piace negli anni 80, ma tanto di cappello, Adele in cinque anni si è avvicinata paurosamente ai suoi numeri, teniamo presente che vendere dischi oggi è molto più difficile rispetto al 1985. quindi nessuna contraddizione, semplicemente i dati di fatto andrebbero accettati, c'è chi non ci riesce. una con il curriculum di adele non mi puoi venire a dire che è sopravvalutata, significa non accettare dei dati di fatto incontrovertibili, significa impuntarsi su una posizione sciocca, senza senso. prendi i beatles, c'è sempre chi arriva e ci dice che sono sopravvalutati, è l'ego smisurato del singolo che mette il gusto personale davanti a tutto il resto, scusate sono al tel devo chiudere...

woodjack alle 13:32 del 15 dicembre 2015 ha scritto:

era una provocazione quella di Thriller dato che sapevo che non lo sopportavi ihihihi. E' vero che il mainstream deve vendere, però anche qui occhio che anche i nostri amatissimi Queen facevano grandi numeri con le brutte copie delle copie del loro terzo disco. Il fenomeno Queen come te lo spieghi? A dire che i Beatles sono sopravvalutati mi pare che c'è rimasto solo Scaruffi (ma campa ancora?), quindi tranquillo, non prendiamolo proprio come esempio. Io piuttosto riabiliterei la Yoko Ono musicista (dato che lo spessore dell'artista non credo sia mai stato in discussione). Al solito stiamo divagando, e io sono al lavoro quindi ciao

FrancescoB alle 13:55 del 15 dicembre 2015 ha scritto:

Ahi ahi i Queen? Wood di questo passo rischi che Paul arrivi a darti un bel ceffone, uno di questi giorni ghghgh Io mi spiego il loro fenomeno con la qualità "accessibile" (che non è un insulto) della loro musica, che a me peraltro in diversi momenti garba assai. Il tutto unito a una certa maestosità/aria d'importanza, magari anche per tematiche non così imprescindibili ("We Are The Champions"?), a doti vocali veramente uniche e a discrete capacità esecutive. Per me, con tutto che sono distantissimi dal sottoscritto, meglio i Queen di tutte le Madonne del mondo - in ogni senso, anche quelle che lacrimano sangue ghghgh - ma appunto divaghiamo troppo. Ma non meglio perché "Madonna è troppo pop" o "troppo commerciale": meglio perché i loro pezzi mi garbano di più

woodjack alle 14:18 del 15 dicembre 2015 ha scritto:

Il Doc lo sa che li ho tirati fuori apposta! Io non li ritengo il demonio, però negli anni li ho ridimensionati tantissimo. Sheer Heart Attack è un buon disco, trovata la formuletta magica l'hanno riproposto tale e quale per un'altra dozzina di volte, è stato il loro limite artistico (tolte le canzoni riuscite che comunque in 20 anni di carriera ci sono). Solo The Game offre una sorta di parodia "roots" a misura mainstream che desta un certo interesse, mio punto di vista. Il problema non sono i Queen, volevo tirare in ballo un discorso più ampio: se è vero che la musica mainstream è costruita ad arte per vendere, le vendite sono un parametro sensibile nella valutazione della bontà di un prodotto del genere? perchè anche questo va stabilito...

FrancescoB alle 14:22 del 15 dicembre 2015 ha scritto:

Per me sì e no, dipendono da molti fattori: distribuzione, pubblicità, "momento storico" (appunto vendere oggi non è come vendere nel 1985), accessibilità della proposta per il pubblico generalista (non voglio sminuire eh, preciso: intendo pubblico che non segue per forza di cose con interesse maniacale la musica). Soprattutto i primi. Il trio "Il Volo", peraltro, vende tantissimo e ovunque: possiamo rivalutarlo in questa ottica oppure per loro rispolveriamo limiti e parametri? Vende perché è di qualità?

FrancescoB alle 14:25 del 15 dicembre 2015 ha scritto:

PS non sto facendo dell'ironia, giustamente stiamo abbattendo tutti gli steccati, indi in tale prospettiva - vendite - loro sono un fenomeno decisamente rilevante, e non solo in Italia. Mi chiedo appunto quali siano i motivi di tale successo, visto che di questo si parla

Dr.Paul alle 14:44 del 15 dicembre 2015 ha scritto:

vabè distinguiamo tra chi ha il minimo sindacale di spessore e chi no, Il Volo e decine di altri che hanno venduto dischi a palate non hanno mai avuto il plauso della critica, intellighenzia...chiamatela come volete! riguardo i queen eheh ricordi bene, il grande problema è che vogliono farli passare come grandi pionieri del rock, se vogliamo dire che i queen come entertainer sono stati dei grandi ok, per il resto....io credo che anche qui, per l'ennesima volta siano i dati di fatto a parlare: tra tutte le band del periodo 70/76..... erano preferibili ai queen, in tutti i sensi, penso a tutti i progster, la scena di canterbury, i roxy, eno, bowie, zepp, floyd, i krautrocker, praticamente tutti, vorrà pur dire qualcosa, deve dire qualcosa ahahah ditemi di sì....

FrancescoB alle 14:51 del 15 dicembre 2015 ha scritto:

Eh no, così stiamo erigendo le maledette barriera. "Il Volo" poi prende premi a destra e a manca, anche di spessore internazionale, e se ben ricordo è il primo gruppo italiano ad aver firmato con una major americana: direi che figurano doverosamente in questa discussione

Io non amo i Queen, ma ecco anche nel loro caso stiamo applicando parametri specifici (innovatori, rivoluzionari etc..) non dotati di valenza universale: se andiamo sulla qualità diventa tutto più fumoso. Comunque sono fra i meno celebrati dalla critica rock tradizionale dai.

Dr.Paul alle 15:15 del 15 dicembre 2015 ha scritto:

"Comunque sono fra i meno celebrati dalla critica rock tradizionale dai." ah, meno male non ero completamente fuori strada, qualcosa ancora funziona! per il resto "through the barricades", anzi no "ride the barricades".

woodjack alle 15:42 del 15 dicembre 2015 ha scritto:

"vabè distinguiamo tra chi ha il minimo sindacale di spessore e chi no, Il Volo e decine di altri che hanno venduto dischi a palate non hanno mai avuto il plauso della critica, intellighenzia...chiamatela come volete!" --- secondo me si torna al punto di partenza, quale critica? quale intellighenzia? chi sono costoro? siamo sicuri che il loro parere non sia influenzato da ragioni etiche/estetiche/territoriali/sociologiche/di marketing ecc.? io farei un distinguo tra ciò che è stato (uso un brutto termine) "storicizzato" e ciò che è critica contemporanea. Perchè nel corso della storia c'è una naturale convergenza dei giudizi, vedi i casi di Beatles e Madonna (una che ha esordito 30 anni fa ormai), che non è detto che sia la verità assoluta (il giudizio si può cristallizzare in maniera sbagliata) ma, più passa il tempo, e più diventa attendibile da un bacino di "critiche" diverse sempre più ampio (e lì che Madonna acquista credito presso pubblici a cui prima non parlava). Il giudizio "a distanza" permette per sua natura una visione più distaccata e una prospettiva di tutto l'insieme di quel periodo storico, cosa che un giudizio dato nella e sulla contemporaneità non può avere allo stesso grado.

Dr.Paul alle 16:28 del 15 dicembre 2015 ha scritto:

"siamo sicuri che il loro parere non sia influenzato da ragioni etiche/estetiche/territoriali/sociologiche/di marketing ecc.?" tutto giusto, ci avevo pensato sì, ma è un po' il discorso di "chi controlla i controllori?", a questo punto è valido anche il discorso contrario: chi garantisce oggi per i revisionisti e la critica contemporanea? nessuno, se era un incompetente (o prezzolato) bertoncelli o jon savage o morley, può benissimo oggi essere un incompetente ********** o chi per lui! cmq ragazzi, a monte di tutto dico una cosa: nowadays odio i fan, i fanclub e gli ascolti ottusi, sono la negazione dello studio, del giudizio spassionato e ponderato, come disse una volta fab inutile stare a sentirsi il 14esimo bootleg dei radiohead quando c'è ancora un'infinità di musica da ascoltare e scoprire, non riesco più ad essere in sintonia con chi giura fedeltà e onore ad una band....e combatte per quella. questo per dire che seguirò sempre con interesse chi intraprende la strada dello studio e dell'analisi, non voglio però intellettualizzare ogni singolo ascolto, voglio ancora continuare a farmi guidare anche dalla pancia, voglio continuare a mantenere il giusto equilibrio (almeno quello che ho trovato io) tra analisi e approfondimento...e pancia, istinto! e se per istinto continuerò (ogni tanto) ad avere "barriere ideologiche", vi prego di perdonarmi....

FrancescoB alle 18:00 del 15 dicembre 2015 ha scritto:

Beh sì, la libertà include anche la possibilità di avere barriere, l'importante forse è solo non spacciarle per verità assolute come fa una certa critica ottusa e militante

Detto che sarei curioso di sapere quanti fra noi libertari aperti ascoltano il black metal norvegese o robe simili, che numericamente hanno un'importanza non secondaria

FrancescoB alle 18:02 del 15 dicembre 2015 ha scritto:

PS sula fedeltà fanatica ti quoto, io ho i miei artisti di riferimento - e sono tanti - ma per carità siamo tutti esseri umani, se fanno qualcosa che non mi dice nulla lo dico senza problemi, ci sono persino pezzi dei Replacements che non mi dicono granché

woodjack alle 18:59 del 15 dicembre 2015 ha scritto:

Perfetto siamo arrivati ad un punto. Chi garantisce cosa? ognuno si sceglie il sistema critico che in quel momento gli fa comodo, che sente vicino al suo modo di sentire la musica, o se ti piace di riconoscerne la qualità. Per avvallare la qualità di Adele hai tirato fuori vendite e Grammy, perfetto, è UN sistema. Lo stesso sistema (non proprio lo stesso, visto che sono passati 30 anni) che riconobbe in Thriller un disco epocale. La storia poi però è che Thriller, che continua ad avere la sua importanza nel percorso della musica pop e nessuno gliela toglie, non si è rivelato così fondamentale come vendite e Grammy dell'epoca ci avrebbero indotto a credere (almeno così la pensa molta critica attuale, e molti di noi aggiungo - si può dire che è stato "sopravvalutato"?). Abbiamo parlato del caso Cyrus e di come due sistemi critici siano (l'uno per dei motivi, l'altro per altri) "ostili" a quel prodotto. Va da sè che gli stessi sistemi spingono, per gli stessi motivi, altri modelli estetici. Anche il fenomeno del "revisionismo" può essere soggetto a revisionismo, certo però definiamo revisionismo: per come la vedo io è la permeabilità di un sistema critico ad un soggetto/prodotto/genere che prima era respinto dal sistema stesso. Non è un semplice giudizio, è un giudizio che ha la forza di vincere un pregiudizio, spesso fortemente radicato, e spesso con radici proprio in questioni extramusicali. In sè la cosa non stabilisce nessun nuovo criterio assoluto (il punto è che criteri davvero assoluti non ce ne sono), ma di sicuro rafforza la qualità del giudizio stesso, e se i giudizi sono "di qualità" (cioè il più possibile scevri da condizionamenti), c'è la possibilità che più sistemi critici si incontrino su una posizione. In quest'ottica, il sistema critico del fan è semplicemente un sistema impermeabile a tutto ciò che non è (o non assomiglia) al prodotto dell'artista stesso, sì un sistema legittimo ma assai riduttivo perchè condizionatissimo, quindi molto poco attendibile. PS: ma i gusti non sono barriere ideologiche, io non ho nulla contro Bob Dylan, eppure continuo a essergli indifferente (ora con questa da beccarmi gli schiaffi di Paul sono passato a prendermi quelli di Los ).

FrancescoB alle 20:43 del 15 dicembre 2015 ha scritto:

Beh lo fai legittimamente. Ma se dicessi che non conta nulla per la canzone d'autore americana, il folk-rock o l'iconografia del '900 la tua opinione sarebbe sempre legittima - ovviamente - ma forse un po' meno fondata. Questo è una altro aspetto che spesso si sottovaluta: distinguere fra apprezzamento personale (davvero liberissimo) e riconoscimento di un certo valore che prescinde dai nostri gusti e dai nostri parametri di riferimento. Spesso però si tende a sovrapporli: il metal estremo non mi piace (a me davvero poco-nulla) = il metal estremo fa schifo - parlo di questo filone perché, forse non a caso, nessuno ha replicato sul punto. Già "Il Volo" ha riscosso più successo :9

Però ecco in generale, sul versante gusti, non si può invocare libertà assoluta e poi porre freni quando sembra si esageri: se vale la Cyrus (non conosco indi mi astengo, il poco che passa in tv non mi dice nulla ma ecco giudizio molto superficiale) vale anche per "Il Volo", per Club Dogo o per Valerio Scanu (per me tutti nella stessa categoria, ma qualche barriera inconscia ce l'ho pure io, come Paul).

Robinist alle 14:08 del 2 gennaio 2017 ha scritto:

Quest'articolo ha generato una sorta di Rivoluzione Copernicana nella mia testa, davvero complimentoni e un grande GRAZIE all'autore.

Mi ha dato ( e soprattutto mi darà ) molto da riflettere sul mio modo di ascoltare la musica, che ora più che mai ai miei occhi sta assumendo il ruolo di forma d'arte. Ho letto con medesimo entusiasmo anche la recensione sull'ultimo di Myley Cyrus e i relativi commenti, mi ha incuriosito molto quando hai definito Nicki Minaj un'icona (post) femminista, ti va di spiegarmi perché la consideri tale?

Ah, e auguri di buon anno!