Quando i capolavori diventano inascoltabili
Capita spesso di sentire lodi sperticate attorno a dischi definiti meraviglie, capolavori della musica tutta, favolosi oltre ogni immaginazione. Capita ancor più spesso che approfondendo le indagini ci si imbatta in critici musicali che pongono come album fondamentali della musica (rock) dei dischi mai sentiti nominare, di scarsissimo successo commerciale o di pressochè nulla fama internazionale. Essendo l’uomo una creatura guidata dalla curiosità è inevitabile che l’amante della musica spinto da un minimo di iniziativa cerchi di indagare e scoprire sempre nuove sonorità, gruppi, artisti, canzoni. Penso di non essere il solo a essere partito con Beatles e Rolling Stones (i nomi “famosi”) ed essere finito al kraut-rock e ai Residents. Quante volte però è capitato di imbattersi in dischi “fondamentali” che sono risultati totalmente inascoltabili? Non sono poche.
Prenderò allora spunto da tre dischi da me ritenuti inascoltabili per avviare una riflessione personale che sia anche una concezione della musica in generale. I tre dischi in questione sono:
Metal machine music di Lou Reed (1975)
Trout mask replica di Captain Beefheart (1968)
Music for airports di Brian Eno (1978)
Metal machine music rappresenta l’apogeo del rumorismo: un disco in origine di oltre 6 ore, successivamente tagliato per ragioni commerciali e ridotto a un doppio, costruito interamente su un trionfo di distorsioni, amplificatori, cacofonie sonore prive di ogni melodia concepite per la pura estetica del rumore.
Trout mask replica segna un punto di incontro tra psych-rock e free-jazz e porta alla radicalizzazione il discorso intrapreso dai Velvet Underground con Sister Ray, ossia una registrazione in studio concepita come una jam-session in cui ognuno dei membri suona per sé, senza spartiti né direzioni precise, ognuno libero di seguire il proprio flusso interiore. A differenza dei Velvet Underground però l’improvvisazione personale tende a distruggere la canzone tradizionale disinteressandosi della melodia. Di fatto un atto di accusa ai canoni della musica melodica Occidentale.
Music for airports viene generalmente considerato il disco portabandiera della musica ambient, e più in generale di quella musica “discreta”, concepita da Brian Eno come sfondo alla vita quotidiana e realizzata appositamente in maniera minimale per “non essere ascoltata”.
Fatte queste brevi presentazioni la prima questione che va posta riguarda la loro effettiva importanza, ossia: meritano davvero questi dischi di essere definiti fondamentali per la musica? Hanno un effettivo valore? Hanno concretamente contribuito allo sviluppo della storia del rock (e in senso lato della musica)?
Assolutamente si!
La risposta può forse sorprendere ma trova spiegazione nella definizione della “musica”. Personalmente considero la musica (in quanto arte) come un nesso indissolubile di forma e contenuto. La forma rappresenta il lato puramente esteriore, quello auditivo, ossia il susseguirsi delle note una dietro l’altra così come arriviamo a percepirle con il nostro cervello. Il contenuto è un concetto più sfumato, rappresenta la struttura in sé e definisce il messaggio e lo stile della composizione. La forma definisce l’estetica, ossia il bello-brutto. Il contenuto permette di definire che un pezzo dei Ramones sia punk e non blues. Quando si trova un testo cantato all’interno della composizione il contenuto è il messaggio del testo, ossia la definizione del tema (una canzone può essere d’amore, di violenza emotiva, di politica). La forma del testo è la maniera di concepire se il modo in cui sia presentato il tale argomento sia riuscito oppure no (per esempio se il testo d’amore sia banale o degno di essere definito poetico).
Ora cercando di utilizzare questi canoni critici ai tre album sopra analizzati non sarà difficile spiegare la tesi iniziale, ossia che pur essendo dischi imprescindibili per importanza oggettiva, risultano di fatto quasi impossibili da ascoltare (al di là del gusto personale).
Metal music machine, Music for airports e Trout mask replica sono tre opere in cui ciò che ha carattere rivoluzionario non è la forma (trascurata quasi del tutto) bensì il contenuto.
Il contenuto di Metal machine music è l’esaltazione del rumorismo, assunta a estetica assoluta, scevra di melodie e logiche commerciali. Il disco (esaltato tra l’altro da un certo Lester Bangs proprio per questo aspetto) risulta però totalmente privo di forma. Non che sia fatto male in sé, ma totalmente altro rispetto ai canoni della musica rock tradizionale. Essendo un’opera unica nel suo genere (quale genere? Rock? Avanguardia? Forse andrebbe inventata l’etichetta di “Rumorismo” solo per quest’album) è impossibile poterne giudicare la forma. Per farlo occorrerebbe che ci fosse almeno un altro disco “rumorista” per poterne fare un confronto. Non essendo così non rimane che un improponibile confronto con il modello melodico musicale tipico dell’Occidente che vede nell’armonia delle parti e nella melodia i suoi capisaldi. In questo contesto e con la nostra attuale mentalità sarà impossibile apprezzare esteticamente un disco che invece a livello concettuale è indubbiamente un’opera mirabile.
Trout mask replica presenta la stessa problematica dell’attacco ai canoni estetici tradizionali. Dicevamo prima che il disco è ai limiti del jazz. In realtà l’operazione di Don Van Vliet e compagni è di rivoltare come un calzino l’estetica del rock, radicalizzando la poliritmia fino a cacellare ogni traccia di un ritmo tradizionale. A livello contenutistico si assiste a una poetica del disordine, del caos assoluto che sembra applicare il dadaismo al rock. L’anarchia viene posta a modello assoluto. In quella che vuole essere un’antitesi della musica rock tradizionale (fatta, ricordiamolo, di ordine razionale e melodia sonora) il contenuto va ad “ingoiare” la forma, sacrificandola del tutto al messaggio.
Music for airports non è un’opera corrosiva come le due precedenti, anzi si può dire che sia l’esatto opposto: il suo intento non è aggredire l’ascoltatore con un sonoro volutamente rivoluzionario. Il suo proposito è invece più subdolo: essere di supporto alla vita quotidiana, adattarsi all’ambiente, diventare tutt’uno con esso, in modo da mischiarsi indissolubilmente con la realtà. L’ascoltatore ideale in questa ottica non è più un’ascoltatore perché non si accorge nemmeno più della presenza musicale nell’aria. Il limite di questa concenzione è che la musica, che in termini generali ha il pregio di essere universale e di adattarsi a ogni luogo, viene qui confinata a determinate situazioni e luoghi particolari, l’aeroporto in questo caso. Il contenuto dell’opera viene pertanto a limitare l’opera stessa, al chè anche la forma ne viene limitata. Per poter giudicare correttamente la forma del disco diventa quindi indispensabile contestualizzarlo secondo la volontà dell’autore, ossia si può capire Music for airports solamente ascoltandolo in un aeroporto (fatto realmente sperimentato all’aeroporto LaGuardia di New York, pochi mesi dopo l'uscita del disco). Solo in queste condizioni l’individuo potrà formulare giudizi pertinenti sulla forma.
Abbiamo confermato con questa analisi che i tre dischi in questione sono sì fondamentali per la storia del rock, ma non per la loro qualità estetica (forma) spesso deprecabile, bensì per la loro componente fortemente concettuale (contenutistica), che li pone sullo stesso piano di autentici manifesti artistici (e non solo musicali).
Tuttavia un’opera musicale non si può limitare al mero contenuto, ma deve progredire allo stesso modo nella forma. Quando in musica si annienta la forma per il contenuto non si ha più un’opera musicale. Si ha un concetto, un’idea, una dottrina. Ma la musica non può essere solo un concetto. La musica per sua natura deve essere ascoltata e come tale ascoltabile. Se l’artista non dovesse riuscire a coniugare ad altissimo livello forma e contenuto (queste le componenti del vero capolavoro) sarà allora comunque di gran lunga preferibile uno sbilanciamento verso la forma piuttosto che verso il contenuto, fatto che consentirebbe comunque un ascolto accettabile. Inevitabile allora concludere affermando che i tre album presi in esame sono dei “capolavori abortiti”, e che dal mero punto di vista estetico-musicale sarà preferibile perfino l’ascolto più infimo della stagione, purchè di forma superiore.
Forse un paradosso, ma anche un'amara verità.
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