A Silvania - Monografia

Silvania - Monografia

“L’arte è una carezza per i sensi” (Coco Ciëlo)

Nella loro parabola che li ha visti alfieri della scena alternativa spagnola e portabandiera della via neolatina a certo rock di matrice angloamericana, i Silvania si sono distinti per il loro contributo a una serie di generi musicali sbocciati fra anni ottanta e novanta (shoegaze, new wave, techno, electro pop), sicuramente lontani dalla sensibilità e dalla concezione del ritmo e della melodia della musica ispano americana, ma da loro interpretati con sorprendente lucidità e straordinaria brillantezza. La loro proposta non si esaurisce difatti in una operazione di mero manierismo, né in un patchwork disomogeneo di diverse influenze, bensì si concretizza come un valore aggiunto nel panorama della musica underground globale.

Peruviani di Lima trapiantati in Spagna, Coco Ciëlo (Jorge Luis Revilla all’anagrafe) e Mario “Telegram” Mendoza hanno dunque avuto Il grande merito di essere riusciti a interpretare in maniera magistrale gli stilemi di alcuni generi musicali molto lontani dalla sensibilità e dal gusto ispanico ma senza mai cadere nella riproposizione acritica di certa sonorità ed, evitando ogni forma di facile calligrafismo, hanno sempre dimostrato uno stile personale ed innovativo premiato dal riconoscimento dei più stimati colleghi d’oltremanica o d’oltreoceano, fra i quali vale la pena citare almeno Autechre e Seefeel, con i quali i Silvania hanno a lungo collaborato. Ecco perché la tragica morte di Coco Ciëlo avvenuta nel suo appartamento presso Plaza de Santo Domingo a Madrid nella notte di domenica 28 settembre 2008, segnando la fine della lunga esperienza musicale a nome Silvania prima e Ciëlo poi, segna e allo stesso tempo lo spegnarsi di quel faro che aveva guidato tutta una serie di artisti alternativi spagnoli e peruviani nel loro avvicinarsi e confrontarsi con le miriadi di rivoluzioni musicali emerse in Inghilterra e Stati Uniti fra gli anni ottanta e i novanta, dalla new wave dei primi Cocteau Twins fino all’ambient techno dei Boards of Canada.

Ricordato più che altro come un eccentrico e provocatorio dj che animava le serate di alcuni storici locali notturni spagnoli, in realtà Coco Ciëlo era innanzi tutto un musicista di grande spessore e dalla fine sensibilità artistica, che per sua stessa ammissione riusciva a esprimere realmente se stesso e a ottimizzare le sue capacità creative solo lavorando coll’inseparabile compagno Mario, costituendo così un duo affiatatissimo ma poco conosciuto, persino in Spagna, nonostante la generale benevolenza ed ammirazione di colleghi e di certa critica specializzata. Menestrelli dello shoegaze latino Formati a Valencia nel 1990, i Silvania impiegano due anni di lavoro per dare alla luce il loro primo EP, Miel Nube Hiel (Experience, 1992), contenente quattro pezzi di chiara derivazione shoegaze. Genere che, nonostante la progressiva perdita di spinta propulsiva, ancora in quell’anno (1992) tocca vertici artistici di notevole spessore con gruppi quali Ride (Going blank again) e Pale Saints (In ribbons). Attenti alle novità provenienti dall’altra parte della Manica, I Silvania infondono le loro strutture sonore di abbondanti dosi di effetti psichedelici a cui sovrappongono melodie delicate e sognanti come da miglior tradizione del genere. Eppure, lungo le quattro tracce dell’EP si sviluppa e concretizza un suono così lontano sia stilisticamente che nell’atmosfera dallo shoegaze britannico che una risposta alla loro peculiarità non può che derivare da certe vibrazioni della musica sudamericana, così carica di ritmi e melodie calde ed avvolgenti, rotonde, dolci, al limite del lezioso e della cantilena, tremendamente appiccicose. Meno aperto e arioso della media degli album shoegaze anglosassoni, ma anche più rotondo e intimo, l’EP è un incanto dream pop senza fine, valorizzato dai suoi interminabili sussurri conchiusi e auto compiacenti, persino autoreferenziali (Sè Girasol, uno degli apici della prima fase della loro carriera), ninnananne da distese desertiche polverose e ventose (Solineide, Sueňo Aerostàtico), e da imperiose cavalcate psichedeliche uptempo, il cui ritmo funereo è tenuto però magicamente entro un percorso regolare e sinuoso, mai esagerato, sempre controllato (il bellissimo incipit di El Alba es un Ala).

La qualità del materiale è più che sufficiente per convincere la gloriosa casa discografica Elefant a mettere sotto contratto il duo peruviano che, nel giro di un anno esordisce su 33 giri con En Cielo de Oceano (Elefant, 1993) che continua sulle stesse coordinate del precedente EP, consolidandone la forma, fra allungate, atmosferiche e soffuse cantilene psych folk (Trilce e Marlene de las galaxias alle quali è sapientemente affidata rispettivamente l’ouverture e la chiusura dell’album), dolci ballate tastieristiche in perfetto stile Slowdive (Arcángel, Un bosque en la memoria, che abbondano entrambe di momenti melodici entusiasmanti) e intermezzi ora rumoristici (En cielo de oceano) ora elegiaci (Maldoror). Globalmente, ne esce uno shoegaze molto arrotondato e levigato, orientato alla melodia e a privilegiare la continuità ritmica del flusso melodico, piuttosto che a enfatizzarne la frammentarietà e la discontinuità; anche la spigolosità e ruvidità sono caratteristiche tendenzialmente piuttosto contenute. Da questo punto di vista, i Silvania degli esordi sono sicuramente più in affinità elettiva con gli Slowdive piuttosto che con My bloody Valentine o Ride. A discapito di alcuni momenti più accademici in cui viene esibito uno shoegaze convenzionale ma sempre condito di grande intensità (El dìa del cielo è esemplare), l’originalità della proposta Silvana è riscontrabile lungo tutto l’album e si ritrova in particolar modo fra i solchi di una martellante ma anche classicamente epicheggiante Aura y tù e una meravigliosa Flor de agua infinida, vero capolavoro dell’album: ambient folk rarefatto e impalpabile, ritmo trascinante scolpito su un percezione dell’ armoniosità totale e cristallina, vocalizzi cocteauiani dall’incredibile potere evocativo per un dream pop giottesco nella sua perfetta rotondità. E quel senso di sofferta ma dinamica ed energica malinconia che si fa emblema del senso di celata ma vivida irrequietezza che si percepisce nell’ascolto di tutto l’album. Album che oltre alla bellezza dei suoi contenuti, ha nel tempo sempre di più assunto il ruolo, dalla non trascurabile importanza, di ergersi a faro della via ispano americana allo shoegaze, la cui influenza sarà decisiva per svariati gruppi fra i quali pare doveroso rammentare almeno i Resplandor, anch’essi peruviani di Lima nonché autori di ottime prove lungo tutti gli anni Zero.

Non completamente soddisfatti della riuscita di En cielo de oceano e intravedendo il rischio che la loro proposta musicale si potesse eccessivamente appiattire sulla superficie unidimensionale di un solo genere, i perfezionisti Coco & Mario intraprendono, per dare maggiore respiro e libertà alle loro composizioni, una decisa virata stilistica, abbandonando il comodo sentiero che avevano aperto con i loro primi lavori su cui si sarebbero potuti adagiare, per avvicinarsi progressivamente all’elettronica d’ascolto e in particolare a certa musica ambient ispirata dal loro mito Brian Eno e ottenuta con svariati effetti digitali. Su Paisaje III (Elefant, 1994) troviamo un gruppo all’apice della propria parabola artistica e in una fase di entusiasmante creatività. Se l’unico elemento di continuità col passato sono le appiccicose ma sbiadite melodie dream folk, vero e proprio marchio di fabbrica del duo peruviano e grande elemento di forza del duo, d’altro canto ad accompagnarle non è più un rumoristico muro di chitarre, bensì le molteplici possibilità offerte dai synth. La cura degli arrangiamenti si fa certosina, ma l’interesse primario dei Silvania resta quello del contenuto. Nonostante il tema di fondo del disco, quello del movimento, della transizione, del passaggio, appunto, appaia tutto sommato abbastanza banale, non lo sono le melodie e le strutture sonore ispirate da esso: Coco & Mario plasmano atmosfere fluide, ipnotiche e policrome, che possono riportare alla mente tanto i Cocteau twins più lirici ed emotivi che il Brian Eno più sperimentale o L’IDM più cerebrale. Paisaje III risulta così un variopinto gioco di colori e immagini cangianti e in perenne movimento, un esercizio di astrazione (il surrealista brano manifesto Acuarelas, Espirales & Elefant) e allo stesso tempo di introspezione (Hélice, Mar Amar), una danza frenetica in cui classicismo e avanguardia si rincorrono l’un l’altra (il capolavoro Nudo de cielo y delfín, forse l’apice di tutta la loro carriera). Non mancano comunque i momenti in cui la pura e asettica sperimentazione elettronica prende il sopravvento : qua pezzi come Movimiento, che strizza l’occhio al glitch degli Autechre, e Raymi I giocano la parte di veri e propri intermezzi ma rappresentano altresì i primi tentativi che apriranno la strada per una nuova evoluzione della loro sonorità, nella decisa direzione di un elettronica glaciale, sperimentale e d’ascolto. Ecco allora che se volessimo tirare le somme, potremmo attribuire A Paisaje III l’album in cui tutte le intuizioni, interessi e influenze dei Silvania, dal dream pop alla techno passando per la new wave e il folk trovano libero sfogo e si mescolano armonicamente insieme, in un trionfo di creatività difficilmente ripetibile.

Electronic Reinassance

Questo magico equilibrio viene però infranto molto presto, e di proposito, da Cielo & Mario che sono oramai interessati a dare sfogo al proprio desiderio di sperimentazione elettronica e decisi a intraprendere una progressiva rinuncia e abbandono dei canoni del rock tradizionale. Già l’EP Avalovara (Elefant, 1995) mostra un gruppo che anche laddove non rinuncia al suo fascinoso pop etereo e atmosferico (En líneas sen fin), è ormai in completa sintonia con L’IDM d’oltremanica (si ascolti la title track Avalovara). Riprova ne è Delay Tambor (Elefant, 1996), album di remix che si avvale della collaborazione dei più prestigiosi maestri dell’elettronica mondiale, fra cui Locust, Seefeel e Autechre e che legittima l’annovero dei Silvania fra gli dèi dell’olimpo elettronico. Anticipato dall’EP Suprematiz (Elefant, 1997), contenente quattro lunghe tracce di evidente derivazione techno, Juniperfin (Elefant, 1997) è così un album che oltre alla chitarra rinuncia quasi totalmente anche al canto ed esibisce un paesaggio dominato dai sintetizzatori che impongono ora lunghe passeggiate galattiche, spesso lievi e rilassate (Ialu) altre volte agitate e febbrili (Junifer), ora piccoli bozzetti destrutturati (Fantasis 02, Tempo). Il suono celestiale, lontano, aperto è perfettamente coerente con il tema dell’esplorazione di pianeti lontani e sconosciuti (ma anche di mondi interiori). Non siamo in realtà lontani dagli ambient works di Aphex Twin: anche qui la ripetuta sovrapposizione di suoni e sampler conferisce all’album un aurea di ermeneutica impenetrabilità, di un emotività filtrata e celata, inafferrabile nella sua dimensione eterea e sfuggente. Anche per questo è difficile cogliere il messaggio dei Silvania, ma ma un tantativo interpretativo potrebbe portare a scorgere un profondo senso di solitudine, ineludibile e totalizzante che è quella dell’astronauta (Aldrin e Isonauta che vanno non a caso annoverati fra i pezzi più angosciati) alle prese col suo viaggio di esplorazione dell’universo che si fa allegoria della solitudine dell’uomo di fronte al mistero e all’ignoto che lo circonda. Il risultato è quello di un disco riuscito a metà che sovente conquista con le sue atmosfere allungate e disperse (Lunik e Cielo hanno tutto ciò che si può chiedere a un disco di elettronica ambient: creatività, inventiva, potere di evocazione), ma che non sempre riesce a coinvolgere pienamente e in cui si possono ravvisare dei passaggi a vuoto, dove il rischio di cadere in una eccessiva monotonia (Ialu, Aicel) non è eluso. L’importanza di Juniperfin sta comunque nell’essere il primo vero e proprio lavoro dei Silvania nell’ambito dell’elettronica d’avanguardia dotato di una struttura e coerenza interna tale da andare oltre lo sperimentalismo situazionista degli EP del triennio 1995-1997. Gli sforzi di questi anni interlocutori verranno comunque ben presto ripagati (almeno dal punto di vista estetico) dal pregevole Naves sin puertos (Elefant, 1998) che vanta la presenza d alcuni dei pezzi ambient techno più stupefacenti di quegli anni. Lo scarto rispetto al precedente album è palese: al ritmo serrato, pieno di stimoli e di giochi elettronici di Juniperfin si contrappone un glaciale minimalismo, un senso di vuoto e di straziante monotonia. Naves sin puertos descrive un paesaggio lunare dove la solitudine non è più dovuta al disorientamento di fronte agli stimoli del mondo esterno, ma al contrario è dovuta a una implacabile e ineludibile routine del quotidiano che rende meccanico ogni gesto e movimento e congela le prospettive di una vita più ricca e piena. La techno spoglia, plumbea e ossessiva dei Silvania appare come una versione post-punk, primitiva e robotica di Seefeel (Niňos de lluvia, Lunik Lunik) e Autechre (Planitud, Miniespacial, Aquí viene el oceano). Nonostante qualche piccolo strappo alla regola (la funerea e ronzante Df Luz) le pulsazioni subiscono un rallentamento estremo tanto che non risulta difficile scorgere qualche somiglianza con certo trip hop oscuro e alienato (ancora Niňos de lluvia e Planitud), mentre un angosciato romanticismo trapela da Nave, piccolo capolavoro di nostalgica forza evocativa che si avvicina alle meraviglie che Fennesz sta cominciando a produrre in quegli stessi anni. Gli stessi Silvania hanno sempre considerato Naves sin puertos il loro migliore lavoro insieme a Paisaje III.

A chiudere la trilogia elettronica dei Silvania ed anche loro parabola artistica, è un disco registrato alla fine degli anni ’90 ma pubblicato solo nel 2007 da una piccola casa discografica messicana specializzata in musica techno col bizzarro titolo di Campo de espirales – árboles – Sequencias posibles (AT- AT, 2007). Se Juniperfin rappresenta l’aria, Naves sin puertos il mare, quest’ultima fatica vuole offrire un immagine trasfigurata della campagna e delle foreste. Ne risulta un album destrutturato, che dà l’impressione di essere stato assemblato in fretta e furia, senza particolare attenzione alla successione dei brani della tracklist. Ancora una volta, Coco & Mario impongono una nuova metamorfosi stilistica al loro sound che si allontana decisamente dalla austerità del precedente lavoro per recuperare in parte quel carattere aperto e fluttuante delle loro composizioni elettroniche che già si erano concessi su Juniperfin. Tuttavia, riportati alla forma canzone, i bozzetti dipinti dai Silvania sono i più vivaci e giocosi che abbiano mai realizzato: se non se ne sapesse la provenienza, canzoni come Palido final e Ver= cerrar lo ojos potrebbero essere attribuite senza problemi a Four tet, mentre Clima: neblina, nonostante il titolo, è quanto di più primaverile si possa immaginare. L’uso di voci femminili campionate dona dolcezza e sensualità (Il chill out/house ipnotico di El es eco, l’orientaleggiante Nadie entre Jeanette y Stina o la delicatissima e sfuggente Mi día Vendrá dove viene intonata una Sunday morning velvettiana mai così evanescente) a un disco dai contorni sfumati ma dall’inesauribile inventiva . È il degno epilogo di un complesso sempre in movimento, ammirevole nel suo sapersi continuamente rinnovare e nel proporre soluzioni stilistiche sempre diverse e mai banali. El último baile Nel corso degli anni zero, Coco & Mario, congelata l’attività Silvania, la cui interruzione risulterà purtroppo definitiva a causa della morte dello stesso Coco nel 2008, si dedicano a un nuovo progetto musicale sotto il moniker di Ciëlo che ha all’attivo tre album (di cui uno di remix), i primi due dei quali editi dalla Click New wave, la nuova etichetta fondata da Coco per promuovere talenti emergenti in Spagna e non solo. Abbandonando gli intellettualismi IDM degli ultimi Silvania, i due danno vita a uno spensierato e allegro synth pop che testimonia ancora una volta il loro amore per gli anni ’80 e che fornisce un ulteriore prova della loro abilità camaleontica. Su Un amor mató al futuro (Click New wave, 2002) si rimane sbalorditi nel trovare un Coco impegnato a sfornare una sfilza di leziose, sensualissime e piuttosto vanitose melodie super- catchy in terreno Pet shop boys (Luz artificial, Patricia). Briosità e vivacità, rese ancora più marcate dal cantato in spagnolo, alleggeriscono anche quei rari passaggi in cui ancora le estenuanti pulsazioni sintetiche di derivazione techno sono in primo piano (Tekno film, Linea rectas) e trionfano quando è il momento del tributo/parodia più divertente e originale possibile agli OMD: una Electricity (qui Elektronika) che potrebbe essere scelta come sigla per qualche cartone animato rigorosamente under 14. Gli altri scherzi (le robotiche Gris moderno e Vamos a caminar ovvero: due saggi su come amare e prendere in considerazione, ma poco sul serio, i Kraftwerk) contribuiscono a forgiare un album leggero, globalmente molto piacevole e godibilissimo. Un electropop più convenzionale ma non meno brillante è contenuto nel successivo lavoro, Paraiso Vacío (Click new wave, 2007) in cui al carattere irriverente e scherzoso si sostituisce un atteggiamento più composto e attento alla struttura sonora, più prevedibile e formalizzata. Coco e Mario dilatano le canzoni e confersicono alle melodie un incedere sempre allegro ma più epico e meno burlesco (M, la meravigliosa Benelux, El último baile). Non tutto è perfettamente messo a fuoco, Velvete underground (tutto l’album è un omaggio ai Velvet: in scaletta anche una deliziosa Stefania dice) ad esempio parte benissimo nel suo coniugarsi a metà fra New order periodo Low life e OMD ma si perde in un ritornello piuttosto banale, mentre la lunga intro Este es mi avión semplicemente fallisce in quello che dovrebbe essere il suo compito principale cioè, appunto, introdurre all’interno delle atmosfere del disco. Ma è altresì vero che non mancano i pezzi da novanta: oltre alla già citata Benelux, non possiamo non menzionare almeno uno dei rarissimi duetti vocali offerti da Coco & Mario nel romanticismo decadente di Siempre tan lejos. L’album di remix di alcuni dei pezzi dei primi due album, Radio Subterránea (Static discos, 2007), è di fatto l’ultimo lavoro a firma Mario e Coco. La morte prematura di quest’ultimo impedirà al suo talento di potersi esprimersi nuovamente.

SILVANIA

Miel Nube Hiel (Experience, 1992, EP): 7,5

En Cielo de Oceano (Elefant, 1993, LP): 8

Paisaje III (Elefant, 1994, LP): 8

Avalovara (Elefant, 1995, EP): 6,5

Suprematiz (Elefant, 1997, EP): 6

Juniperfin (Elefant, 1997, LP): 6

Naves sin puertos (Elefant, 1998, LP): 8

Campo de espirales – árboles – Sequencias posibles (AT- AT, 2007, LP): 7

CIËLO

Un amor mató al futuro ( Click New wave, 2002, LP): 7

Paraiso Vacío (Click new wave, 2007, LP): 6,5

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fabfabfab alle 0:37 del 17 dicembre 2011 ha scritto:

Ammetto la mia totale ignoranza. Conosco il nome, ma non li ho mai ascoltati. Domani mi metto alla ricerca. Grazie Alessandro, monografia superlativa. Bentornato!

Marco_Biasio alle 11:52 del 17 dicembre 2011 ha scritto:

Uau Alessandro, che lavorone! Mi aggiungo ai cori dei bentornato e ancora complimenti!

otherdaysothereyes, autore, alle 18:21 del 19 dicembre 2011 ha scritto:

Grazie ragazzi, i vostri complimenti fanno sempre piacere come del resto fa piacere essere tornato a scrivere fra queste pagine: spero di riuscire a dare un contributo più continuativo!