A The Jam (1977-1982)

The Jam (1977-1982)

Sheerwater Secondary School, Surrey: si era nei primi anni ’70, quando un massimo comun divisore riuniva dopo scuola, quattro adolescenti: la passione per la musica.

Paul Weller, Steve Brookes ( che abbandonò presto l’impresa) Rick Buckler e Bruce Foxton, cominciavano a muovere i primi passi in un’epoca in cui dopo anni di silenzio, i mods erano tornati alla ribalta in sella ai loro scooters, mentre la terra d’Albione stava tremando al ribollire del vulcano punk. Weller e compagni si stavano ingegnando dunque a far sentire anche la loro voce, momentaneamente contentandosi di suonare covers di classici del rock’n’roll e dell’r’n’b, da Chuck Berry a Little Richard.

Finché “ My Generation” degli Who non folgorò il giovane Weller facendo divampare in lui la fiamma del Modernismo; eleganti ed impeccabili come i dettami mod esigevano ma con i capelli corti, i ritmi veloci e i volumi assordanti del punk, i seminali Jam si stagliarono nettamente e immediatamente nel panorama musicale della Londra d’epoca proprio per la portata innovativa del loro approccio estetico e musicale. La frenesia delle metriche del neonato movimento punk (i Sex Pistols giocarono un ruolo essenziale nel percorso stilistico di Paul Weller), vennero brillantemente combinate con la ruvidezza( seppur raffinata) di Who, Kinks, Small Faces e quel ricercato sound Tamla/Motown che funse da collante a questa combinazione vincente.

Miscela esplosiva che non poté sottrarre il trio alle attenzioni della Polydor con la quale firmarono nel 1977: “In the city”, singolo dirompente che titolava l’album di debutto, era un travolgente tributo al punk tanto che i Sex Pistols stessi ripresero il prepotente riff di basso e chitarra nella loro “Holiday in the sun”. Le irresistibili melodie rock/r’n’b degli inizi erano una costante, seppur combinati con l’aggressività punk: “Batman theme”,”Slow down”(cover di Larry Williams riproposta anche dai Beatles), considerati alla stregua di standards durante i 60’s ma rivedute e corrette nello stile Jam. Massiccia l’influenza stilistica di Townshend nell’uso nervoso e tagliente che Weller faceva della chitarra corroborata dalla potenza della batteria di Rick Buckler che serbava a ragione la lezione di Keith Moon e nel dinamismo, nella freschezza melodica della bass line di Foxton debitore di John Entwistle e Paul McCartney. Attenti al vissuto quotidiano dei teen-agers, erano tableaux di vita giovanile che i Jam dipingevano con le tinte forti della loro irruenza (“ Art school”, “Non stop dancing”,”From the streets”), in luogo dello scherno distruttivo contro la società inglese dei Sex Pistols o della pedanteria progressista dei Clash

. Non mancavano di certo attacchi politici verso il declinante impero britannico (“Time for truth”) e “In the city” stesso era un critica alle forze dell’ordine, ma un brano di denuncia quale “Brick and mortar” circa i disastri di una dilagante immigrazione, l’ostentazione della bandiera inglese e le sarcastiche dichiarazioni di Weller in merito al fanatico e cieco buonismo che stava trascinando il Paese alla rovina, fecero guadagnare al gruppo l’etichetta di conservatori e le antipatie di Joe Strummer. Sia che si prendessero sul serio o meno, l’astro dei Jam non poteva di sicuro venire offuscato da inutili diatribe politiche, prontamente consacrati a portavoce del mod revival col loro secondo lavoro “This is modern world”

.E non poteva essere altrimenti quando in brani grintosi come la brillante cover di Wilson PickettIn the midnight hour” o “The modern world” ,Paul Weller sfogava il male di vivere di una nuova generazione di mods che si andava stringendo sempre più intorno ai Jam. Sottile ed elegante, l’album coniugava le atmosfere Tamla/Motown con la foga ribelle degli Who, peculiarità che la stampa musicale faticò a cogliere, criticandolo, a torto, come inferiore rispetto al precedente. Irrilevante nell’andamento ascendente del successo della band, ad un lungo periodo di tournée seguì la pubblicazione di singoli ( la punkeggiante “A bomb in Wardour Street”, la cover di “David Watts” dei Kinks) tratti dal terzo “All Mod Cons”(1978), consacrazione ulteriore del terzetto a profeti del Modernismo. Persino una canzone scomoda come “Down in the tube station at midnight”,ulteriore attacco alla brutalità dell’immigrazione, compsosta in seguito ad un’aggressione di cui lo stesso Weller fu vittima ed immediatamente censurata dalla Bbc, non impedì all’album di conquistarsi il sesto posto delle classifiche.

Proprio in virtù della raggiunta maturità stilistica e compositiva, l’orientamento raffinato verso la musica nera non escludeva però la sempiterna vocazione del frontman talentuoso per il Mod sound classico ed inossidabile, con una strizzata d’occhio alla vena più melodica e beat. “English Rose”, “Fly”,ballate dalle sfumature decisamente Beatles, poetiche, morbide, lontane dalla rugginosità punk degli albori. Idolatrati in terra britannica, il loro tratto decisamente inglese impedì di consolidare oltreoceano la loro gloria; troppo inglesi per gli americani, troppo ricercati, non riuscirono ad ottenere consensi neppure aprendo per gli osannati Blue Oyster Cult.

Intanto gli anni ’70 volgevano al termine e datato 1979, il successivo “Setting sons”, più eterogeneo che mai in stile e tematiche, regalò due singoli alle charts inglesi, “Eton rifle” che fiondò al terzo posto la sua graffiante apologia della lotta di classe e la trascinante “Going Underground”, invettiva contro i trattati nucleari che non soltanto non fu ostacolata dalla BBC, ma raggiunse un trionfante primo posto. Il bassista Foxton che brillanti contributi aveva apportato in termini di arrangiamenti corposi e ricchi, firmò un brano che non passò inosservato ampliando la già variegata struttura dell’opera: con l’uptempo di “Smithers-Jones”, smorzò la tensione di protest-songs come “Private Hell”, “Little boy soldiers” grazie ad originali speculazioni beat. L’ispirazione pareva una risorsa inesauribile e l’anno venturo “Sound affects” fu dato in pasto al pubblico insieme a numerosi singoli ed inediti come la scoppientante “A town called malice”, sorta di ska dall’accattivante refrain d’organo, o il funky opulento di “Pretty green”.

Le sperimentazioni di Weller perfino in ambito folk esonderanno nella smagliante “Man in the corner shop” o nell’ironica ballad di “That’s enterteinment”, a conferma della poliedricità del suo compositore. Episodi come “The gift”, pomposa e dirompente, il punk di “Carnaby street” o l’antemica “Beat surrender” non facevano di certo subodorare, durante la rapida scalata alle toptens, la coraggiosa decisione a cui i Jam erano approdati.Nel 1982, allorquando la loro fama era pressoché mondiale e destinata a crescere senza posa, Paul Weller annunciò lo scioglimento del gruppo.

Il panorama pop-wave che si andava delineando in quegli anni ’80 non lo attraevano affatto e smanioso di campi sempre nuovi e raffinati in cui cimentarsi, fu ben lungi dallo svendere i suoi Jam ad un mainstream sempre più commerciale e da one-shot. Le strade si separarono dunque e con esiti differenti; il bassista Bruce Foxton entrò in pianta stabile negli Stiff Little Fingers, il drummer Buckler abbandonò la carriera di musicista dopo qualche infruttuoso tentativo di imporsi come solista, mentre Weller formò tre mesi dopo i sofisticati Style Council. Ma questa è un’altra storia, perché, dopo tutto, per dirla alla Jam …that’s enterteinment!

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TheManMachine alle 10:38 del 31 ottobre 2008 ha scritto:

Effettivamente, Paul Weller è stato un grande! Io ho seguito molto di più la sua fase con gli Style Council, che all'epoca mi piacevano tantissimo, ma due album come "Café Bleu" (1984) e "Our Favourite Shop" (1985) sono ancor oggi raffinati gioielli per quella commistione di pop-soul, funky, jazz e temi sociali che Weller armonizza da maestro, con pochi analoghi e forse molti epigoni. I suoi lavori con The Jam li conosco meno, e per questo ti sono ancora una volta grato, Brionia, oltre che per il puro piacere di leggere i tuoi scritti. Torna presto, mi raccomando!

REBBY alle 11:13 del 31 ottobre 2008 ha scritto:

Paul Weller è ancora grande. Ancora oggi fa degli

album che contengono belle canzoni (vedi As is now

del 2005 e 22 dreams di quest'anno).

Concordo con Carlo sui gioielli Style Council

(li ho doppi sia in Cd che in vinile).

Sui Jam dice benissimo Brionia.

Madelaine alle 12:29 del 31 ottobre 2008 ha scritto:

sì bellissimi i due dischi con gli Style Council, ma come dice bene Brionia "sofisticati". Forse troppo per Weller, che abbandona il progetto dopo poco. E torna ad essere graffiante e sanguigno da solista, come lo era stato con i Jam.