The National @ Anfiteatro del Vittoriale (29/07/14)
Un momento totale, simbiotico, lapice di uno show che ha vissuto diversi e intensi momenti di trasformazione: la chiusura, con Vanderlyle Crybaby Geeks - sing-along intonato a squarciagola da tutto lAnfiteatro del Vittoriale. La band di Cincinnati allineata (e i due eccellenti e fidi turnisti: Kyle Resnick e Benjamin Lanz), Matt Berninger in mezzo alla platea, la gradinata finalmente in piedi; ed una stretta congiunta, in senso sempre più compatto, con il pubblico presente a Gardone Riviera. Lacrimoni: per comè arrivato il momento, per la partecipazione, la cornice (il Lago di Garda alle spalle, il centro storico e la chiesa illuminata); per linvischiamento pressante tra idiosincrasie personali e senso sociale dellevento. Un pezzo struggente (nel minimalismo epico delle liriche, nellarrangiamento allosso), lo sappiamo, qui reso asciuttissimo dalle sole chitarre dei Dessner (sulle ali di Resnick) ad accompagnare liriche amare da identità in moratoria (Leave your home, change your name, live alone, eat your cake).
Medium size american heart provato e insieme divertito (più di unassonanza con un Morrissey atipico: sfatto e sfacciato), quello di Berninger, che solo qualche minuto prima, in Mr. November, si aggirava minaccioso e avvinazzato tra la folla e le file della platea. Sbraitando da crooner navigato i residui aggressivi dei versi - Im the new blue blood, Im the great white hope. Rabbia scenica espressa e svaporata più del previsto, come in coda a Terrible Love e, nella prima parte dello show, in Graceless, Squallor Victoria (battimani insistente, Bryan Devendorf motorik incessante; la linea di piano, nei vuoti, da brividi) e Sea of Love (con la sua complessità esecutiva resa semplice e armoniosamente elettrica).
Ed è, più o meno, allaltezza di questo pezzo (Bloodbuzz Ohio, eseguita in precedenza) che qualcosa inizia a mutare nella gestalt dello spettacolo: il pubblico in platea finalmente si alza in piedi, portandosi in prossimità del palco; la sicurezza oppone solo una breve resistenza, pochi restano seduti i più, tra loro, infastiditi. Bene così: da qui Berninger cambia registro al baritono, molto (troppo) educato nelle prime Dont Swallow the Cap, "I Should Live in Salt e The Geese of Beverly Road e con lo svuotamento di Sauvignon che lo aiuta a calarsi nella parte; Bryce e Aaron Dessner innalzano a più riprese la chitarra verso luggioso cielo bresciano e si lasciano andare ad assoli graffianti e luminosi.
Le strutture dei brani, non eccessivamente devianti in rapporto agli arrangiamenti in studio, mostrano la loro solidità estrema anche con code piuttosto trattate. Che declinano spesso in gloria di ottoni, solidi e penetranti (Slow Show; mozzafiato in I Need My Girl; sul piano reiterato e nel crescendo tirato di una Fake Empire anch'essa dal sing-along istantaneo) negli squarci provocati.
Di Trouble Will Find Me i National propongono ben otto pezzi: i versi dapprima soffusi di Pink Rabbits sfociano in unaccentuazione estetica dellinterpretazione di un Berninger, perché no, capriccioso (lespressività in I was a white in a crowd of white girl in a park); Graceless mostra un climax vocale quasi teatrale (Scott Devendorf finalmente protagonista, nell'impalcare in senso wave il brano); This Is The Last Time in vesti di elegante elettricità (idem per Slow Show, uno dei quattro brani pescati da The Boxer: di chitarra elettrica e gonfia di trombe). Da Cherry Tree EP solo un pezzo (per qualcuno, il pezzo) rispetto al recente live di Roma (in cui ne sono stati eseguiti ben quattro), "About Today": pattern su bordi tribalistici, chitarra sottile, ottoni ampi negli spazi e con un finale in gloria (oserei) psichedelica. Gioia.
Gioia decadente, proiettata dal portamento ciclotimico (disteso e ansiogeno) del leader, che asseconda le domande degli astanti (Where is Tom [Berninger]?, ossia, il fratello "Mr. Hyde" di Matt), lascia loro il microfono, tocca, abbraccia (ancora Morrissey) e rischia di colpire in volto Bryce Dessner (che dedica una rara esibizione di "Guest Room" al sito dei fan italiani, slowshow.org); sbraita e immalinconisce gli animi con intima confidenzialità ("I Need My Girl") e con le sue weird memories ("Pissing in a sink I think": nella cullante "City Middle"). Corregge il pubblico ("Vanderlyle Crybaby Geeks", accettata dagli astanti con una sonora risata) e sbaglia a sua volta (l'amnesia di alcuni versi di "Abel"); sottrae e si intasca, sogghignante, cellulari e fotocamere dalla prima fila.
Band darena (o qualcosa di più) che non vuole essere darena; dallorganizzazione strutturale mainstream, ma su scala ridottissima (chi ha visto il documentario Mistaken for Strangers, la settimana scorsa, capirà); band, i National, che in una location esclusiva come l'Anfiteatro del Vittoriale trova, questa notte, il suo habitat e la maniera ideale per esprimersi. Soprattutto il suo leader, Matt Berninger, che riconferma il suo ruolo di assoluto protagonista tra i grandi della musica di questi anni. Lunga vita.
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