A Un'orchestra nella testa - Intervista a Massimo Martellotta

Un'orchestra nella testa - Intervista a Massimo Martellotta

Nell’Europa contemporanea che torna ad apprezzare, con inquietante e crescente intensità, la disturbante formula magica dell’uomo forte al comando, l’unica storia di uomini forti che merita di essere raccontata è quella dell’infaticabile stakanovista Massimo Martellotta, che del polistrumentismo e della creatività a getto continuo ha fatto una ragione di vita (e una serie di dischi solisti piuttosto interessanti, tutti recensiti sulle nostre pagine). Il come e il perché dell’intera vicenda ce li facciamo raccontare dal diretto interessato.

1) Nello stesso anno in cui esce il miglior disco dei Calibro 35 di sempre, “Decade”, hai deciso di imbarcarti in quest’avventura solista in più volumi che, in Italia, non ha al momento eguali. Quando sei riuscito a comporre tutto questo materiale e perché hai pianificato di rilasciarlo tutto assieme?

Intanto grazie per “Decade”, è un disco di cui siamo molto contenti. Il materiale di One Man Sessions è figlio di una recente scelta personale: ho sempre avuto, e ho tutt’ora, uno studio in casa in cui lavoro abitualmente poiché, a parte il contenimento dei costi, non ho mai scisso lavoro/musica/vita e trovo che lavorare in un bell’ambiente casalingo a volte ammorbidisca alcune tensioni e favorisca la naturalezza. L’anno scorso però si è presentata la possibilità di lavorare ad una colonna sonora di un film per cui ho scritto alcune canzoni – Favola di Sebastiano Mauri con Filippo Timi – e contemporaneamente si liberava uno studio in un bel contesto e con un bel piano a coda: ho pensato che avrebbe potuto avere senso prenderlo in affitto a lungo termine per facilitare alcune fasi del lavoro. Così mi son ritrovato in questa stanza dove potevo fare tutto il rumore che volevo, e mi sono settato in maniera tale da avere tutti gli strumenti che potevo fisicamente intorno, microfonati e pronti per essere registrati senza l’ausilio di un tecnico. L’idea era solo ottimizzare le cose che avevo per lavorare il più efficientemente possibile, con tutto pronto, acceso e attorno a 360 gradi. Come spesso succede, gli studi ti sorprendono e mi son ritrovato a nuotare in un acquario dal quale non avrei mai voluto uscire. Da lì, sapendo di avere una lunga pausa live dai Calibro, mi sono concentrato per mesi sul fare musica a prescindere dall’utilizzo che ne avrei fatto. Una sorta di flusso di coscienza, o un confessionale se vuoi. E mi sono ritrovato con una mole di materiale immensa, che pian piano ho visto avere una certa affinità con dei filoni concettuali ben precisi. Ogni sessione è durata giorni e notti intere senza sosta o al contrario solo poche ore, ma l’intensità è sempre stata forte. Al che mi è sembrato sensato pubblicare tutti i capitoli per quello che sono: delle sessioni in solitaria dove suono qualsiasi cosa mi capiti a tiro suonando senza vergogna. Ho deciso di pubblicarli come un unico progetto un po’ perché figli di un periodo comune – una sorta di sampler di cose che mi piacciono e possibilità timbriche che mi piace sperimentare – e un po’ anche perché molta gente – come te del resto – non conosce la mia attività come polistrumentista e musicista a tutto tondo, che è in parte più da addetti ai lavori, ma conosce solo il lato “chitarrista/tastierista dei Calibro” quando invece quello che faccio per tre quarti del mio tempo, da quando ho 11 anni, è suonare le mie cose in solitaria, tutti gli strumenti che posso, e produrre musica in continuazione. Essendo cinque capitoli, dalla musica per solo synth a quella orchestrale, passando per i groove di batteria alle composizioni più minimali, avevo voglia di palesare a chi ha voglia di conoscerli quelli che sono i mondi musicali che produco; questa volta senza un committente che ne chiedesse la realizzazione, a parte il sottoscritto.

2) La specificità di ogni volume e la grande poliedricità del tuo stile potrebbero indurre ad etichettare il tuo progetto come un revival dello sterminato filone library che ha contraddistinto la cifra di molti grandissimi compositori italiani, prevalentemente tra gli anni ’60 e ’80. Per quanto mi riguarda, più che di library – che conserva volontariamente un carattere generico e adattabile ad ogni circostanza – si potrebbe parlare di tante piccole colonne sonore a tema. Qual è il tuo pensiero al riguardo?

Non saprei. In realtà una library non è mai “generica e adattabile ad ogni circostanza”. Anzi, è proprio il fatto di essere molto omogenee e specifiche che le rende utilizzabili da chi le cerca. Se sto facendo un documentario su un fatto di cronaca e una library si chiama “Il mondo di oggi” probabilmente mi attira ad utilizzarla e chi l’ha creata l’ha pensata in maniera estremamente specifica per quel tipo di utilizzo. Per me la parola “library” è associata a un filone molto interessante di musica nata come funzionale, ma che spesso ha un contenuto imprevedibile e bellissimo. Nel mio caso specifico, frequento la library music a cavallo tra i ‘60 e i ‘70 da più di dieci anni, con e senza i Calibro 35, e nel mio/nostro piccolo ci siamo ritagliati una certa credibilità come artigiani in questo senso. Tra Calibro e non ho prodotto musica per il cinema, la pubblicità, la radio, la tv, i videogames, le trasmissioni televisive e il teatro. La musica pensata come funzionale nello scriverla ha un fascino molto diverso da quella scritta per sé stessa. Si tratta di un lavoro di tipo strettamente artigianale, dove c’entra molto il mestiere e molto poco l’arte ed è comunque bellissimo a mio modo di vedere: perché si tratta di togliersi il maglioncino a collo alto da intellettuale e mettersi il camice da sarto. E vestire entrambi i panni lo trovo molto interessante. Nel caso delle One Man Sessions, se pur ricordano delle “library” come modus, una certa tematicità manifesta, non lo sono come pensiero: mi fa molto piacere che ti sembrino delle colonne sonore a tema poiché ho cercato, sopra ogni cosa, di tenere un filone narrativo di tipo emotivo che iniziasse, si sviluppasse e finisse in ognuno dei capitoli proprio come si fa con una soundtrack, aiutando i fini narrativi di una storia. Ovviamente in questo caso sei libero di immaginarti quello che ti passa per la testa mentre ascolti: il mio obiettivo era cercare di far entrare l’ascoltatore in un mondo e accompagnarlo nel film che si crea in testa mentre ascolta.

3) A tal proposito: su quest’operazione ci hai messo il tuo nome. Non è un dettaglio banale. Perché hai scelto di non adottare uno pseudonimo, se non parzialmente?

Perché è quello che faccio da sempre, solo che adesso in parte l’ho anche pubblicato e ci ho messo la faccia. Anche alcune scelte di non iperprodurre, fotografare e documentare dei momenti di ispirazione trovata o cercata è quello che cerco da sempre e quello che a me interessa di più nel fare musica. Trovo ci sia grande potenza e un livello di comunicazione inconscio molto forte nell’abbandonarsi all’ignoto, tanto quanto nello scrivere cesellando in ogni dettaglio.

4) Il procedimento creativo che ti porta a scrivere un pezzo per One Man Sessions è più vicino a quello delle sonorizzazioni brevi o all’attività dei tuoi gruppi principali (Calibro 35, Il Complesso di Tadà)?

Con i Calibro ho scritto e scrivo tantissimo, credo che più della metà del repertorio sia a mio nome poiché è un progetto e un linguaggio che mastico da sempre e mi rappresenta al cento per cento. L’ensemble coinvolto è fatto dai musicisti che stimo di più in assoluto e dai quali ho imparato e continuo ad imparare moltissimo. Quando “scrivo per Calibro” ogni parte di ogni strumento, dagli accenti di rullante alla linea di basso, alle parti di clavinet e organo, è spesso ben definita e pensata al dettaglio. Questo perché quando scrivi per un insieme di musicisti, se hai un’idea completa, devi essere più chiaro e preciso possibile per realizzarla efficacemente, a meno che non decida di avvalerti in modo creativo dei musicisti e dei cervelli che lo eseguiranno. In One Man Sessions la vera diversità nell’approccio compositivo è che almeno due dei cinque volumi sono quasi esclusivamente nati nel momento in cui li ascolti, e che l’ensemble è una persona sola che suona tutto. Mi son preso quindi la libertà di assecondare il flusso creativo, ho premuto “Rec” e mi sono buttato: quello che senti in gran parte è arrivato guardando le mani suonare. So che suona molto naif ma è la verità: la cosa che mi interessa di più in musica è documentare e rappresentare alcuni momenti inafferrabili in cui si forma un’idea. Quei momenti in cui ti svegli ed hai una melodia in testa hanno del magico, e mi ha sempre affascinato capire il perché e il per come succedano nelle teste dei musicisti. Ecco perché si può dire abbia quasi fatto da cavia per certi versi. Mentre altri volumi, come quello orchestrale, sono scritti e sudati fino all’ultima nota per cercare di ottenere il più possibile nei termini di resa sonora.

5) Salta immediatamente all’orecchio la grande varietà del parco strumenti impiegato per ogni volume. È particolarmente divertente spiarti su Instagram e vederti all’opera con decine di strumenti diversi. Quanti ne possiedi? Qual è il tuo preferito? Nella stesura dei volumi di One Man Sessions, sapevi già cosa usare e dove?

Possiedo molti strumenti e non saprei dirti il numero esatto, ma continuo a cercarne, provarne tantissimi, studiarne di nuovi – il clarinetto ultimamente – e ad acquistarne. Non ne ho uno preferito, ma sicuramente il pianoforte è lo strumento con cui sono cresciuto e quello che mi riporta alla scintilla che ho avuto la prima volta che ho toccato un tasto, e che cerco ogni volta quando mi ci siedo. Inoltre, mette insieme l’aspetto percussivo, lo considero una batteria a tutti gli effetti, con quello melodico. Ad ogni modo, direi che ogni strumento ha una sua voce e ognuno di quelli che adotto ha qualche particolarità che reputo interessante, evocativa o semplicemente divertente. Nel lavorare ai volumi di One Man Sessions ho lavorato con cinque differenti setup strumentali, tenendo accesi e microfonati solo gli strumenti che mi interessava e spenti, quindi forzatamente non accessibili, gli altri. Un po’ come un pittore prepara la sua tavolozza. I colori e le atmosfere cambiano molto ma il fatto che ci sia un solo compositore e un solo esecutore ha dato a mio avviso un filo conduttore che ricorre nonostante la grande varietà timbrica.

6) Siamo ormai arrivati, con “One Man Orchestra”, a metà dell’opera. È possibile tirare le prime somme? Sei soddisfatto della ricezione? Cambieresti qualche carta in tavola, tornando indietro?

Sono soddisfatto molto, soprattutto del fatto di avere avuto il “coraggio” di metterci il nome. Conoscendomi sono uno che pur lavorando molto di cesello con o per gli altri, non ama stare in primo piano, ma credo che a 40 anni abbia molto senso palesare un mondo della mia attività che in parte conoscono solo i miei colleghi stretti. Sul tornare indietro e cambiare qualche carta non so, non ha molto senso farsi venire i dubbi su una cosa fatta: mi bastano, eventualmente, quelli sul futuro e va bene così. Sono foto di un momento e pillole per chi cerca un viaggio cosmico a portata di cuffia. Forse l’unica remora è un po’ come quando fai il primo figlio e pensi “Avrei potuto farlo prima”, ma se non l’ho fatto probabilmente non era il momento.

7) Hai in programma di presentare dal vivo una selezione di brani da questi volumi?

Mi piacerebbe. Dopo il quinto ed ultimo volume che uscirà a dicembre, e quindi aver palesato un bel po’ di mondi musicali diversi ho la scusa per pensare uno show veramente a tutto tondo e che possa spaziare da cose più intime e rarefatte a momenti più esplosivi. L’idea potrebbe essere di fare sul palco alcune parti in solitaria più cinematografiche e altre sezioni magari in compagnia di altri musicisti.

8) Domanda di rito, ma quanto mai necessaria: cosa ci dobbiamo aspettare in futuro? Quali sono i prossimi passi di Massimo Martellotta?

Mettere su un progetto col tuo nome e cognome quando hai già un tuo storico, sia con una band come i Calibro che come professionista del “dietro le quinte”, ti aiuta moltissimo a chiarirti le idee e a prendere degli “impegni” verso te stesso e verso chi ascolta. Per quanti molti o pochi possano essere. E questa esperienza ha messo in moto molti neuroni e in prospettiva più pratica alcuni progetti che ho solo in testa da un po’.

Per approfondire: https://massimomartellotta.bandcamp.com/

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