A Vic Chesnutt - Live Report

Vic Chesnutt - Live Report

 

Vic Chesnutt ha le fossette, e uno non se l’aspetta da un cantautore che è sulla sedia a rotelle da 25 anni e che si è affacciato sull’abisso più e più volte. Si, è crudele iniziare subito dalla sedia a rotelle e dall’abisso, ma trascurare questa cosa è impossibile. L’unica a riuscirci, una nostra amica: ha visto Vic attraversare da solo la sala e ci ha detto di averlo riconosciuto… dal cappello!

Fra l’altro lui ha sempre un cappello e gli si attribuisce pure la battuta “Sulla sedia a rotelle ci siedo disinvolto, è il mio cappello!”.

Vic Chesnutt è il musicista per cui artisti più o meno affermati (tra gli altri, R.e.m., Smashing Pumpkins, Madonna, Sparklehorse, Garbage) nel 1996 avevano pubblicato Sweet Relief II, una raccolta di cover di suoi pezzi i cui proventi erano destinati a pagare le cure per i postumi dell’incidente stradale che lo ha paralizzato. Sweet Relief II perché Sweet Relief era un benefit album a favore di Victoria Williams. Qualcuno ricorda Crazy Mary interpretata dai Pearl Jam? Dovreste. Comunque l’eco di entrambe le iniziative risuonò ben poco da noi.

A sentir dire che Vic Chesnutt viene da Athens, Georgia, uno salta subito col pensiero ai R.e.m. E infatti c’entrano, c’entrano anche loro in questa storia, e più di quanto si possa immaginare: Michael Stipe prese così a cuore la sua causa da produrgli un paio di dischi e farlo firmare con una major. E di Athens sono pure gli Elf Power (il Potere degli Elfi?), che hanno suonato nel suo ultimo album, “Dark Developments” e che si esibiscono anche qui, da soli, subito prima di lui. Acc! Li perdiamo, presi da futili quanto, in questo caso, perniciose chiacchiere da bar. Indie-rock di ottima fattura, ci sembra, ma sono veramente gli ultimi minuti quelli che riusciamo ad ascoltare.

È il suo turno, la gente improvvisamente si compatta sotto il palco e finiamo tutti imbambolati a fissare quella figura sghemba accasciata sulla sedia, semisepolta da una chitarra; poco dopo, uno sha-la-là di buckleyana memoria (sponda Jeff), quello che introduce Mistery, la canzone che apre il disco, e inizia il concerto. Un brivido. È chiaro che la disabilità di Vic è ben più grave di quello che immaginavamo: la paralisi che lo costringe sulla sedia a rotelle riguarda anche ambedue le mani (la destra è completamente immobilizzata e la sinistra ha i soli indice e medio che si salvano). Stilisticamente non sarà Hendrix, e nemmeno Django Reinhardt, tanto per rimanere in tema, ma il fatto che riesca a suonare la chitarra ha del miracoloso. Come la grande forza, e non solo d’animo, che sta dimostrando.

“It’s easy to accept, but hard to understand”, insiste introducendo The Mad Passion of the Stoic e si accerta che tutti capiscano.

Ci aspettiamo “Dark developments”, ma anche il precedente “North Star Deserter”, prodotto da Guy Picciotto dei Fugazi e registrato insieme al collettivo di musicisti che gravitano intorno all’etichetta Constellation, cioè gran parte dei componenti dei Silver Mt. Zion (gli stessi che poi hanno suonato nell’ultimo disco di Carla Bozulich). È proprio con “North Star Deserter” che i media sono tornati a parlare di lui, un po’ per le collaborazioni di lusso (ah, l’importanza dei nomi!), ma soprattutto - ci auguriamo - per la rara intensità del disco. È lì che mai come prima Chesnutt ha messo a nudo la propria cognizione del dolore: i pezzi crescono tesi e drammatici, la voce vibra di pura sofferenza, il messaggio - che suonerebbe trito e vuoto sulla bocca di chiunque altro - è “You are never alone” e “keep on keepin' on”. Comunque, il concerto ripercorre integralmente la scaletta del più solare “Dark developments”.

“This song is named A little fucker. This song is about me.”. Sorriso (con le fossette): “I am a little fucker”. Già al secondo pezzo siamo tutti stregati da tanta semplicità e da una fisicità quasi drammatica: il cappello calato fin sugli occhi, piccoli e azzurri, gli scatti che lo agitano, le esplosioni di una voce che si stenta a credere contenuta in un corpo così piccolo. È tarantolato, posseduto e, come se confidasse nel potere salvifico della musica per riuscire ad alzarsi, suona e canta ogni canzone come se fosse l’ultima. Alla fine di ogni brano torna col sorriso. È ironico. Ci tiene a instaurare un rapporto con il pubblico. Dal vivo i pezzi acquistano sia in compattezza che in intensità, tranne in un paio di casi, tra cui “Bilocating dog” (la bizzarra storia del cane John che si trova in due parti contemporaneamente), dove la compattezza del suono è eccessiva e copre l’assolo di chitarra che ricorda il jingle dello spot dei Pocket Coffee. Comunque, è Vic il padrone assoluto della scena: decide lui quando far partire una canzone e invita i musicisti ad improvvisare. E in mezzo agli Elf Power compaiono a turno pure fisarmonica, clarinetto, xilofono.

I bis: mentre il gruppo lascia il palco lui si ferma al centro a raccogliere gli applausi, poi ci fissa per qualche istante con quell’aria un po’ così, e come un ciclista che decide lo scatto decisivo sull’ultima salita, gira la sua sedia a rotelle e riprende la sua postazione: a richiesta arriva Warm in una versione voce e chitarra che dire intimista è dire poco. Siamo liquefatti. Cerca di svegliarci, allora, facendoci presente l’esplicito riferimento a John Fante del pezzo successivo, tratto da “West in Rome”. Nessuna reazione. Siamo ancora imbambolati. “C’mon! John Fante! Have you ever heard of John Fante? Anybody of you?” Ah! Si, certo! Arturo Bandini! Gli diamo un segno di vita e lui riparte. Per poi far rientrare gli Elf Power ed attaccare Everybody Hurts: il cerchio si chiude. Ad Athens.

Fine. Ma adesso, bellicosi, andiamo tutti ad assediare il banchetto del merchandising dove gli acquisti, avevamo letto, si potevano fare solo “between bands and after the show”. Il motivo è ineludibile: ci sono gli Elf Power alla cassa! Comunque i cd sono esauriti e, anche se un po’ delusi, ne siamo in fondo contenti. Le solite chiacchiere fuori dal locale, sempre un po’ confuse e sconnesse quando il concerto è memorabile, e di nuovo la ragazza che riconosce i cappelli: “Oddio, quello sembrava Vic Chesnutt! Era proprio uguale! Però mi sembrava strano che fosse in piedi!

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