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A Leonard Cohen

Leonard Cohen

Poeta, scrittore e cantautore fra i più eccelsi e profondi che la musica pop abbia mai annoverato, Leonard Cohen nasce nel 1934 a Montreal da una famiglia di ebrei immigrati in Canada. Dopo aver pubblicato diverse raccolte di versi e due romanzi che suscitano l\'interesse della critica ma trovano scarso riscontro commerciale, si trasferisce a New York dove fa il suo debutto al Greenwich, ex tempio di Dylan e della musica folk in generale, dapprima come autore e quindi come cantante delle proprie composizioni. Il suo più che folgorante debutto avviene nel 1968 con "Songs Of Leonard Cohen" che è un po\' l\'epitome e il vangelo della sua poetica musicale. Canzoni scarne, intime, soffuse per voce e chitarra, arrichite da piccoli tocchi pianistici ed orchestrali (la produzione è di John Simon sotto l\'egida di Albert Hammond), e liriche di rara bellezza ispirate a storie di vita vissuta trasfigurate in chiave allegorica o filosofica. Un disco che rasenta il limite della perfezione (e resterà insuperato nella produzione coheniana), dieci capolavori fra cui si elevano: "Suzanne" (poi ripresa anche dal nostro Fabrizio De Andrè), "Sisters Of Mercy", "The Stranger Song", "Stories Of The Street". "Song Of The Room" (1969) prosegue sulla falsariga dell\'esordio e pur non raggiungendone le vette, conferma il genio di Cohen con brani come "Bird On Wire", "The Partisan", "Seems So Long Ago, Nancy". "Songs Of Love And Hate" (1971) segna un piccolo cambiamento di rotta, in questo senso, e, pur conservando la toccante poetica personale del musicista, presenta composizioni più lunghe, dall\'andamento solenne e drammaturgico, corredate da arrangiamenti più complessi e stratificati (con il contributo fondamentale del grande Paul Buckmaster): "Avalanche", "Famous Blue Raincont" e "Joan Of Arc", sono i classici che passeranno alla storia. 

Il declino di Cohen comincia con "New Skin For Old Ceremony" (1974), un buon disco di canzoni piane e normali, in cui l\'originalità del suo tocco si riconosce soprattutto in "Chelsea Hotel # 2", "Take This Longing" e "Who By The Fire". "Death Of A Ladies Man" del 1977 è l\'infelice parto della sua collaborazione col grande produttore Phil Spector (opera in seguito ripudiata dallo stesso cantauore), che si riscatta solo nell\'epica title-track (probabilmente più raprpesentativa di Spector stesso che di Cohen). Neanche "Recent Songs" di due anni più tardi risolleva di molto le quotazioni ("The Guests" e "Ballad Of The Absent Mare" gli unici colpi da maestro). Caduto volontariamente nel dimenticatoio, lo schivo e ascetico Cohen torna a pubblicare un disco di canzoni originali solo a metà degli anni \'80: "Various Positions" (1984) un recupero dello stile spartano ed evocativo degli esordi in cui brilla un capolavoro assoluto come "Halleluja" (poi divenuta una pietra miliare negli anni 90, grazie anche alla virtuosistica versione di Jeff Buckley). Il grande successo torna però a sorridergli, come mai prima d\'allora almeno a livello commerciale, solo nel 1988 con l\'album "I\'m Your Man": curioso ibrido di sonorità espressioniste e mitteleuropee (col baritono di Cohen, temprato e arrochito dal tempo, che assomiglia quasi a quello di Tom Waits) e arrangiamenti sintetici ed elettronici di chiara marca ottantesca: Cohen arricchisce il suo song-book di altri brani indimenticabili come la romantica e jazzata "I\'m Your Man", la tecnologica "First We Take Manhattan", "Take This Waltz" e "Tower Of Song". A quel punto Cohen ha ormai raggiunto, al pari di Dylan, lo status di maestro assoluto della canzone internazionale e il suo straordinario successo viene bissato da "The Future" (1992), un disco ancora segnato dalla commistione di elettronica e folk in cui spiccano l\'apocalittica title-track, "Democracy", "Light As Breeze" e "Anthem". 

Fedele al suo carattere ritroso e antimoderno, Cohen non approfitta del successo e si ripresenta sulle scena solo un decennio dopo con "Ten New Songs", disco influenzato dal suo avvicinamento alla meditazione zen, che non brilla nè per efficacia, nè per originalità ("A Thousand Kiss Deep", il capolavoro del lotto). Del 2004 è invece "Dear Heather" un disco fluente e drammatico, a tratti forse un po\' verboso, in cui spicca l\'eccellente "Villanelle Of Out Time".