Motorpsycho
In Norvegia le temperature invernali creano atmosfere a tratti gelide, ma nulla è capace di scaldare più della passione, dell\'estro e della sincerità della musica dei Motorpsycho. Il bassista Bent Sæther e il chitarrista Hans Magnus "Snah" Ryan, con l\'apporto del fido compagno batterista Håkon Gebhardt (sostituito, solo nel 2008, da Kenneth Kapstad), danno vita al nucleo della band nei primi anni \'90, quando oltreoceano i gorghi del death metal da una parte, lo shoegaze, il post-core e il grunge dall\'altra, avrebbero rivoluzionato il modo di pensare, intendere, persino fabbricare la musica.
Le prime prove del power trio, dal suono pesante e magmatico, sono ancora acerbe e raffazzonate, prendendo direttamente spunto dalle forme hardcore del decennio precedente, con scarsa attenzione verso l\'amalgama strumentale e la qualità di missaggio. Dal 1993 al 1998 la band infila una sequenza memorabile di capolavori: apre le danze "Demon Box", immaginifico contenitore di trent\'anni e più di rock tra folk inglese, ballate indie, metal, psichedelia sciamanica e folate di industrial cinematico; "Timothy\'s Monster" ne consacra le definitive, migliorate qualità tecniche, per la prima volta alle prese con un impegnativo doppio disco, ed i successivi "Blissard", "Angels And Daemons At Play" - recupero di certo hard rock frammisto ad una pesante psichedelia "cosmica" - e "Trust Us" - ancora un doppio disco - altro non faranno che spargere, in giro per il mondo, la meritata fama raggiunta dai tre ragazzi di Trondheim.
La svolta del Nuovo Millennio coincide con una svalutazione delle chitarre elettriche e la creazione di una trilogia "pop" ("Let Them Eat Cake", 2000: "Phanerothyme", 2001; "It\'s A Love Cult", 2002) che cerca di conciliare il nuovo scheletro melodico di canzoni essenziali ed eleganti con complessi arrangiamenti orchestrali per archi e fiati, ridisegnando i confini tra musica popolare e rock colto. Dal 2006 in avanti i Motorpsycho, esaurita la fase di ricerca creativa, mollano il freno a mano ed entrano in studio per dare vita ad una serie di dischi pesantemente debitori delle passioni musicali peculiari della giovinezza: da segnalare almeno "Little Lucid Moments" del 2008, potentissima opera rock in quattro elaborate suite fra stoner, space rock, indie rock e sprazzi acustici, e "Heavy Metal Fruit" del 2010, il loro album più indefinito, sfumato e, in qualche senso, jammato.
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