V Video

R Recensione

8/10

Box

Studio 1

Claudicanti anomalie.

Cosa ci fanno Orthrelm, Battles, Mr. Bungle, Red Crayola primi tempi (quelli di “The Parable Of Arable Land”, per capirci), Naked City e Magma tutti assieme sopra un palco?

Semplice: si uniscono assieme, nelle mani di un quantomeno losco progetto danese, si fanno chiamare Box (per poterci stare meglio tutti?) e si dannano anima e corpo (…e mente, aggiungerei…) per distruggere nel modo più spettacolare possibile la forma/canzone. Un po’ come prendere ad accettate la robomassa di Tetsuo e godere nei terribili clangori metallici suscitati.

Prima di passare ad analizzare quello che questo “Studio 1” ha da offrire, bisogna chiarire un paio di punti che, al fine della codifica strumentale, sono decisamente lenitivi.

Anzitutto: i Box sono un quartetto scandinavo, chitarra-basso-batteria-tastiere, come già accennato sopra. I sintetizzatori sono marca Supersilent, e questo è già qualcosa. Al basso troviamo un certo Trevor Dunn, e qui cominciano a scattare i primi campanelli d’allarme, visto che il Nostro l’abbiamo trovato, oltre che in Mr. Bungle e Fantômas, in decine di progetti paralleli a firma John Zorn, garanzia bollata di qualità avanguardistica senza remore né confini spazio/temporali. Che poi Dunn sia un virtuoso del suo strumento è una chiara implicatura del suo percorso artistico qui brevemente sottolineato.

Successivamente, quasi a smentire il primo sillogismo espresso, diremo che il basso non è in realtà il cardine pulsante della realtà che anima “Studio 1 ma, anzi, ne è una decorazione più viscerale ed interna. Sono chitarra e, soprattutto, batteria, gli strumenti che si imperniano sulla folta rete di ispirazione futurista del gruppo. Sei corde che sfuggono completamente ad ogni tentativo di etichettatura, e percussioni che disegnano spettacolari sezioni trigonometriche ricordando, ad un tempo, sia il geometrico John Stainer dei Battles che, per resistenza ed incredibile costanza ritmica, il ben più tentacolare Mick Barr degli Orthrelm (sotto Ipecac, lo ricordo).

Terzo: che genere propongono i Box? Dovessimo elencare tutte le influenze che mescolano al loro interno servirebbe una recensione nella recensione, e non si finirebbe più. Conieremo perciò la definizione avant-prog-jazz-fusion-post-core-math-punk-rock. Con chiarissime ispirazioni da quei “free form freak out” inventati nel lontano 1967 per mano di Mayo Thompson e compagni Crayola. Ancora non vi è chiara la faccenda? Allora si deve dire anche che l’album è composto da sei tracce, tutte prive di titolo (se non contraddistinte da un numero anonimo che le scheda automaticamente nel reparto “casi irrecuperabili”), tutte strumentali, per quarantadue minuti totali. La media, seppur errata, è presto fatta. Se ci aggiungiamo, come ciliegina sulla torta, una copertina degna di un nosocomio in disuso, riusciamo finalmente ad avvicinarci a quello che è il mondo sonoro dei quattro.

L’“Untitled 9” che apre il lavoro è un biglietto da visita perfetto, senza alcun bisogno di obliterazione.

Diciassette minuti e mezzo alla ricerca affannosa di una non-continuità, di un non-suono, di un alienante spasimo di distruggere tutto ciò che si trovasse nei pressi. L’avanguardia che supera l’avanguardia. Il prog che viene fucilato da un comando d’esecuzione fusion, a sua volta condannato per sommi capi da balistiche sventagliate hardcore di freddezza e violenza ineffabili. La chitarra prima algida, poi infuocata, poi acida ed infine impazzita, nel tentativo di imprigionarsi in quel florilegio di feedback che è terreno perfetto per le evoluzioni (avete letto bene: evoluzioni) del batterista, sempre presente anche quando non dovrebbe, a martellare pressante su tempi allucinanti, e ancora e ancora. Se registrato in presa diretta, rende bene l’idea di che sforzo debba compiere. Il silenzio dei sette minuti è visto inoltre come possibilità di ricreare un nuovo scheletro sonoro minimale, a partire da chitarra e tastiere, puntualmente distrutto poi da uno sfacelo acustico più disordinato che potente, che mette alla rinfusa migliaia di elementi diversi nel calderone cogitativo e li stupra secondo, ancora una volta, un non-ordine. Il cervello che va a braccetto col cuore e poi si fa esplodere.

Ma, questo sia chiaro, la proibitiva lunghezza e la massima perizia strumentale dispensate nel brano non vogliono certo dire che il resto del lavoro sia vacuo e sostanzialmente tendente ad un medley senza fine.

Anzi, se possibile, il bello (?) viene ora.

C’è il math rock rallentato e dilatato da silenziose distorsioni sottopelle, quasi a marca “Grand Guignol”, di “Untitled 13”, compendio dell’amore per tutto ciò che è deviante e malsano e, allo stesso tempo, perfettamente in linea – pardon, in spezzata – con i gusti del gruppo. Sboccia nuovamente l’amore incontrastato per il prog, quello bello complesso ed arzigogolato, irretito qui da interessanti segmenti elettronici e una vera e propria carabina combinata di rullante e paradiddle, mentre le linee di basso si deformano e schizzano, anacronistiche, a ribollire in sottofondo (“Untitled 7”).

Tuttavia, last but not least, bisogna certamente menzionare l’incredibile “Untitled 12”, che sposa alla perfezione Supersilent e Magma, senza per questo dover ricorrere all’espediente escatologico di una nuova lingua. Sono gli strumenti a dover parlare, e la loro è un’orazione cosmica, quasi liturgica sotto determinati aspetti, che congela i macchinosi intrecci psichedelici e li pone sotto un’altra luce, quella della fisicità e della muscolarità. Intelligente.

Delirante, ma non per questo meno ragionato, “Studio 1 si pone da subito fra i primi candidati per la palma di miglior album avanguardistico dell’Anno Domini 2008. A trovare la pecca, si può certamente scovare quella dell’eccessiva selettività e dell’ermetico fervore nel perseguire gli obiettivi prefissati alla nascita. Per le orecchie sensibili, devastante: per tutti gli altri, consigliato.

V Voti

Voto degli utenti: 6,7/10 in media su 3 voti.
10
9,5
9
8,5
8
7,5
7
6,5
6
5,5
5
4,5
4
3,5
3
2,5
2
1,5
1
0,5
REBBY 6/10

C Commenti

C'è un commento. Partecipa anche tu alla discussione!
Effettua l'accesso o registrati per commentare.

Lux alle 17:48 del 11 aprile 2008 ha scritto:

Sai, non sono per nulla sorpreso di vedere il nome dei Battles affiancato a quello dei Mr Bungle. Chissa che roba deve essere...