John Zorn
The Crucible
Moonchild, parte 4. Scardinate le porte, bruciate le insegne, togliete i lucchetti, gettate lontano le chiavi. E mettetevi al sicuro.
Credevamo, noi, che lincubo si fosse finalmente sublimato in Six Litanies For Heliogabalus dellanno scorso, terrificante geenna avant-metal di rara potenza, bella e maestosa come non lo si sentiva ormai da tempo. Pensavamo, in qualche modo, che lesaltazione della figura controversa dellimperatore Elagabalo, noto nellantica Roma per la sua eccentrica predilezione di quotidiane orge accompagnate da musica, potesse placare la furia esecutiva dellaccoppiata John Zorn/Mike Patton, luno a scartavetrare melodie al sax contralto (come sempre), laltro impegnato a riempire di inconsulti sintagmi vocali il disco (idem, con patate). I due non ne hanno però abbastanza e, a dispetto delle previsioni (il progetto si sarebbe dovuto dipanare, teoricamente, in soli tre capitoli), dopo soli dodici mesi ritornano, più folli ed incontrollati che mai. The Crucible. Punto e a capo.
Già mi immagino, sorridendo, le obiezioni di voi, miei compagni e amici recensori: Oh, ma che palle John Zorn. Ormai sappiamo che ti piace, ma lo ascolti solo tu!. È musica per pochi, lascia perdere. Bene, sebbene debba convenire, in maniera quasi cronica (e un po triste) sulle prime due osservazioni, non così sono autorizzato a fare sullultima. The Crucible, infatti, ha a che fare tutto e niente con i suoi predecessori. Papale papale, è cosa buona e giusta muovere un po di critiche agli antesignani, per poter indirizzare in maniera migliore i profani. Astronome, seppur molto riuscito, pagava lo scotto di essere la prima tappa del percorso: Moonchild: Songs Without Words era eccessivamente sbilanciato verso il versante metal, annaspando per un certo deflusso compositivo e finendo, dunque, per disturbare in maniera eccessiva la sensibilità dei più; il già citato Six Litanies For Heliogabalus, infine, si proponeva come chiusura ideale del cerchio, con una formazione allargata (Jamie Saft e Ikue Mori fra le new entry) ed un suono più variegato e futuristico, ma i detrattori dello Zorn più free e rumoristico non avranno potuto avvicinare il materiale con facilità.
Ecco perché questennesimo giro di boa dellallegra combriccola tzadikiana può essere considerato davvero meritevole dattenzione. Il disco, composto, ça va sans dire, in tempi record, è indubbiamente il più ricco e completo, da un punto di vista stilistico, della serie, proprio per il fatto di essere stato concepito in virtù di una maggiore gamma di influenze e, conseguentemente, di una superiore fetta di ascoltatori. Almadel lo testimonia: un geniale e pirotecnico klez-metal che salta subito in aria e che viene poi portato per mano da una lucida disamina sassofonistica, più attenta alle distonie di Ornette Coleman che alle abrasioni sonore tipiche degli episodi più spinti del compositore newyorchese. Witchfinder raddoppia la dose, con un riff gypsy distorto da una sezione chitarristica sfrigolante.
Il disco, in linea generale, vive in una dimensione molto più oscura e sottocutanea di quello che ci si sarebbe potuto aspettare. Nessuna concessione alla cacofonia più pura e gratuita, niente di vistoso o di appariscente. Eppure, questi pezzi colpiscono il bersaglio più e più volte, proprio per la loro potenza implosiva. Maleficia vive in estrema tensione per oltre otto minuti, con un basso strisciante e sotterraneo quasi doom, gli anatemi scagliati da monsieur Patton in sottofondo e il sax che, periodicamente, deflagra con violenza, trascinando dietro di sé polvere, detriti ed oscurità. Ha sorte simile Incubi, poco più di una cupissima cornice strumentale che punta i suoi stridenti fari sulla figura del leader, riscopertosi dincanto esorcista bebop, pieno di ruggine e dolore.
Non poteva mancare, anche in questa release, lospitata speciale, ed ecco che alla chitarra elettrica, su 9 X 9, troviamo lintramontabile Marc Ribot. Il risultato è una jam session molto vicina alla Black Dog zeppeliniana, dove le schitarrate del generoso musicista più blues che hard, a dirla tutta si infrangono periodicamente contro le estrosità vocali del collega urlatore. E dire che Zorn ce laveva pure scritto, nel sito della Tzadik, sulla presentazione di The Crucible, che including special guest guitarist Marc Ribot on one Led Zeppelin influenced track. Maledetto sia San Tommaso.
Musica profonda, ma non impegnativa. Complessa, ma niente affatto pesante. Squassante, ma al contempo estrosa e divertente. Che sa quando mostrare i muscoli (Shapeshifting) e che, se vuole, sa fare più male di qualsiasi altro ideale voi abbiate in mente (il delirio disarmonico di Hobgoblin, allucinante tritacarne noise).
Ma che fate, siete ancora lì seduti?
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