R Recensione

8/10

Lorenzo Monni

Debris

Tra tante pretese di internazionalità e globalizzazione che stanno percorrendo l’Italia in ambito musicale (e non solo) in questi ultimi anni, con risultati abbastanza eterogenei, uno tra i più titolati a ricoprire il ruolo di futuro timoniere di una musica più internazionale è senz’altro Lorenzo Monni.

Sardo di nascita, veneto di adozione, polistrumentista, autore a soli 23 anni già di due album entrambi autoprodotti, il primo dei quali, “Death Of Future Man”, risale al 2007.

Sorprende la maturità compositiva di questo ragazzo dell’86. La sua musica è di difficile impatto anche per i più “indie” tra gli “italian kids”. Perché non si tratta del solito electro-pop, bensì di una produzione cameristica d’avanguardia di alto livello professionale.

Debris”, datato 2009, è la seconda opera di Lorenzo Monni. Il disco si apre in maniera spettrale, per poi diventare gotico, annichilirsi e rinascere, con un crescendo finale come nel migliore post-rock. La chitarra elettrica è sempre in primo piano, costruisce assoli, ricama melodie, svela scenari ritmici nascosti, inventa paesaggi sonori.

Melodie trasognate si innestano a ritmi caraibici (“I Met The Craftsman”), carillon (“Ciel Brouille”), accenni nu-metal (“Dislove”), musica classica per orchestra (“Mont Saint Michel”), lievi sfumature jazz (“Ciel Brouille”), jam-sessions (“Embrace”), atmosfere pastorali (“The Dawn Of The Young Dolls”), derive ambient o post-rock (“Gone”), puro virtuosismo (“Naked Dialogues”) o potenza (“Rhom Antic” e “Dislove), trame talvolta ariose (“Mont Saint Michel”), leziose (“Shapeless”), o spettrali (“Embrace”, “The Big Laugh” e “Gone”).

Ma ogni brano ha una storia a sé, connotato da una sostanziale variegatura. Ed ognuno risulta a suo modo piacevole e irresistibile, sebbene per ragioni diverse. Ma chi vi scrive non può trattenersi dal segnalare in particolare “The Dawn Of The Young Dolls”, con il suo sapore medioevale di folk celtico, all’inizio malinconica e con un crescendo finale di assoli di chitarra elettrica, e “Mont Saint Michel” con il suo sapore gotico, all’inizio solenne per poi evolvere in musica sinfonica per orchestra, con un crescendo finale in stile post-rock.

In conclusione, questo “Debris” è un’opera di spessore, criptica, ma non ermetica; gotica, ma non claustrofobica. Un’opera notevole, certamente complessa, che necessita di molti ascolti per essere pienamente digerita, ma che non finisce mai di sorprendere e di spingere ad ulteriori ascolti.

V Voti

Voto degli utenti: 7/10 in media su 2 voti.
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lenny 9/10

C Commenti

Ci sono 2 commenti. Partecipa anche tu alla discussione!
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fgodzilla (ha votato 5 questo disco) alle 13:20 del 24 marzo 2009 ha scritto:

mah

Bravissimo per carita' ma mi sembra che stia sunonando per se stesso e non per un eventuale pubblico .

Un ottimo esercizio di stile

denvers alle 19:42 del 24 marzo 2009 ha scritto:

RE: mah

Sarà perchè l'ho conosciuto, ma la mia impressione è che non scriva solo per sè stesso, del resto è vero che si tratta di un album che necessita di diversi ascolti per svelarsi (credo).