Sly And The Family Stone
There's a Riot Goin' On
Decadente. Questo è laggettivo con cui amo definire questo disco, uno dei grandi capolavori della musica funk e straordinario manifesto di un sound opaco, asfissiante, teso fino allinverosimile nellaffermare la propria negritudine e, al contempo, porsi come affascinante sintesi di linguaggi musicali. La musica che Sly Stone (alias Sylvester Stewart) concepisce per la sua band, infatti, non è soltanto unesasperazione edonistica del concetto di ritmo che James Brown aveva ideato nel 65 con Papas Got A Brand New Bag, ma un melting pot che ingloba blues, soul, gospel, rhythm & blues, rock ed echi africani in quello che è un ciclopico tentativo di dar vita ad una black music variegata ma che sia dotata di una propria autonomia e di una precisa rilevanza artistica.
Daltronde, se nei primi dischi della band quel sound era lapoteosi della solare spensieratezza dei tardi anni 60, su Theres A Riot Goin On trionfa una visione dinsieme quanto mai plumbea e nichilista, che riflette la situazione politico-sociale degli Stati Uniti (e, in modo particolare, dei ghetti neri) allalba dei 70s, dopo che ogni illusione pacifista si era polverizzata e dellestate dellamore era rimasto soltanto una vecchia fotografia i cui colori erano irrimediabilmente sbiaditi. E come risvegliarsi di colpo dal sogno hippy e ritrovarsi in un paese che sta attraversando uno dei suoi momenti peggiori, con la guerra in Vietnam che assomiglia sempre più ad un macabro tunnel senza via duscita e Nixon che si appresta a ricevere dallelettorato il suo secondo mandato. Non cè da meravigliarsi, pertanto, se il disco stesso appare ulceroso, malato, brulicante di malcontento. In esso si contorce un ammasso di ritmi viziosi come non se erano mai sentiti, un groviglio di voci straziate dalla rabbia che urlano la propria impotenza di fronte alla storia. Il sound stesso sembra coperto da una spessa nebbia che ne altera i contorni e impedisce alla musica di respirare liberamente, costringendo inevitabilmente la materia ad implodere su se stessa.
Proprio per questi motivi, Theres A Riot Goin On è unopera dal fascino inconfondibile, nonchè uno dei più grandi album della storia del soul. Sly Stone, da vero artista, è riuscito ad articolare il proprio dolore personale (ricordiamoci che il complesso era sullorlo dello scioglimento, tanto che il leader si è trovato spesso in studio a registrare in perfetta solitudine fra droghe ed eccessi di ogni tipo) e riverberarlo con quello di unintera civiltà che collassa fra lotte intestine e disordini razziali. Rinunciando quasi interamente agli agganci melodici del passato, lalbum conia un inedito idioma musicale simile ad una muraglia di ritmi sincopati (Greg Errico), arricchita da potenti slabbrature di basso (il grande Larry Graham), chitarre pesantemente effettate (Fred Stewart) ed una sezione fiati battagliera come non mai (Cynthia Robinson alla tromba e Jerry Martini al sax tenore). A completare questo sound meticcio ci pensano poi il piano e i cori di Rosie Stewart e, naturalmente, le polluzioni vocali e tastieristiche di Stone, che qui porta allestremo il parossismo del suo canto e lo frantuma in una serie pressoché interminabile di grida strozzate, falsetti beffardi e bassi cavernosi. Proprio come il Neil Young di Tonights The Night, Stone elabora un vocabolario canoro composto da gesti apparentemente casuali, sporchi e meravigliosamente fastidiosi (ossia lesatto contrario dello stile cristallino di molti cantanti soul) con cui esternare il suo disordine interiore e la sua infelicità.
Le composizioni sono oscure e taglienti: spesso si dipanano in forma libera attraverso complessi intrecci strumentali, smembrando le poche linee melodiche in un continuo assalto ritmico, come accade nella vibrante Luv n Haight (uno dei capolavori dellalbum, pura celebrazione di istinti primordiali che accoppia cori isterici, chitarra soffocata in un wah wah da capogiro e apocalittiche fanfare dei fiati), nel funk duro e crudo di Brave & Strong, nel proclamo politico free-form di Poet e nelle due lunghe jam gemelle (per un totale di sedici minuti) Africa Talks To You (The Asphalt Jungle) e Thank You For Talkin To Me Africa, veri e propri tour de force esecutivi e massima espressione della nuova idea di funk multi-etnico di Stone.
Altrove il ritmo rallenta e allora la componente autodistruttiva del leader ha la meglio, come accade nel blues scandito da una drum-machine e punteggiato dalle stanche tastierine-giocattolo della rassegnata Time, nella sibillina You Caught Me Smilin e soprattutto la perversa, strabiliante Just Like A Baby, uno dei funk più degradati e spaventosamente sensuali mai uditi, impostato su di uno strisciante loop di batteria sul quale le due voci sovraincise di Stone fanno a gara a chi emette i gemiti più perversi. I momenti più accessibili dellopera brillano comunque per fantasia ed inventiva: la schizofrenica Spaced Cowboy mescola alla Zappa aromi western deformati e un buffo vocalizzo jodel e Running Away è una deliziosa filastrocca per due voci enfatizzata dagli irresistibili staccato della chitarra. Su tutti, però, si erge la livida Family Affair (batteria sintetica, voce cancerogena alla Waits, rhodes intossicati, ritornello irresistibile): probabilmente il singolo dallatmosfera più deprimente che abbia mai scalato le classifiche. Theres A Riot Goin On è unopera veramente intensa, a sé, e merita un ascolto anche da parte di chi non ha mai avuto un grande amore per il soul in generale ed è sempre stato piuttosto restio a riconoscere lo status di capolavori a tanti dischi del genere che vengono osannati come tali. Questo qui però è diverso: questo è un capolavoro vero. Non fatevelo sfuggire.
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