The Residents
Not Available
Difficile parlare con distacco di un disco che il sottoscritto considera una vera e propria opera darte del secolo scorso, scaturita da alcune fra le menti più geniali della storia del rock, e con la quale è in continuo dialogo. Un continuo confronto con un opera che ha la capacità di germogliare di nuovi significati ad ogni ascolto, fertilità che nasce fra i meandri oscuri del suo tessuto composito. Quando si parla dei Residents è inevitabile inciampare nel concetto di oscurità, ma sarà bene connotare il termine per evitare fraintendimenti. Quel senso di indecifrabilità che scaturisce dallascolto non appartiene al disco ma a noi stessi; come ogni altra possibile emozione, erompe dal nostro spirito o, meglio ancora, dalla nostra particolare formazione individuale. Beauty is in the eye, tanto per citare la gioventù sonica.
Ora, ogni personale educazione spirituale è espressione del contesto in cui vive, come dire che lalbero storpio denuncia il terreno sul quale è cresciuto. La società di massa, con le sue scatole in serie e la sua felicità pronta al consumo, è lhumus oleoso dal quale è germogliata ogni nuova generazione a partire dalla prima metà del novecento. Terriccio fecondo ma che ci ha ammaestrati tutti sotto ununica insegna: il paradiso è a portata di mano. Esiste, di conseguenza, una parte di noi che è rimasta schiacciata, ma che ha braci abbastanza forti per rinfocolarsi. Non che i Residents siano i custodi di tale verità violata, ma è almeno un tentativo (e direi più che riuscito)di restituirci una fetta di ciò che ci è stato rubato, indagando in un territorio oscuro e soggettivo, quello dellimmaginazione.
A tale scopo, la parodia veste unimportanza particolare, come strumento critico di quella parte di mondo fagocitata dai sensi; farsa ed ironia non in senso zappiano, ma più come il vizio di un condannato a morte che non ha nulla da perdere. La parodia definisce la sintassi dei pezzi. I brani sono un convoglio di ritagli musicali uniti fra loro da un montaggio alogico, una pratica direi quasi dadaista per svelare linconsistenza della società, la perdita delle ideologie, la sconfitta delle generazioni moderne. Anche e soprattutto un modo per burlarsi dellindustria discografica, lindustria del prodotto finito, della pubblicità, dei mass-media; mi si conceda di dirla alla Campana: lindustria del cadavere.
A tale proposito loscurità gioca un ruolo fondamentale: in contrasto con la musica dimmagine, ancora oggi nessuno sa con precisione chi siano i Residents. Ciò è dovuto al maniacale occultamento della loro identità nel corso degli anni (nelle loro poche esibizioni dal vivo si presentavano con orrendi bulbi oculari posti sul capo). La loro arte, fedele alle teorie sopraccitate, è caricatura della musica di consumo, assemblati di genere popolare, elettronica, avanguardia e musica colta. Il tutto espresso attraverso mezzi precari ed artigianali di produzione del suono (che a lungo andare è diventato il loro marchio di fabbrica) e, come già spiegato, utilizzando il montaggio delle parti come procedimento primario nella composizione ed esecuzione dei brani.
Iniziamo finalmente a parlare del disco in questione che rappresenta il canto del cigno della formazione di San Francisco, vetta alla quale purtroppo non riusciranno più a pervenire negli anni a seguire.
Dopo laudace ep del 1972 a nome Santa Dog, uscirà nel 1974 il gioiellino Meet the Residents, disco che prospetta già tutte le caratteristiche essenziali della band. In quello stesso anno i Residents registreranno dellaltro materiale, ma che inspiegabilmente verrà dato alle stampe solo quattro anni dopo con il titolo Not Available.
Il disco, non disponibile fino al 1978, è la rappresentazione musicale dellorribile pantomima delluomo moderno; un musical dannato in cui appaiono personaggi grotteschi, scavati nellanimo, vuote bambole di ceramica che giocano allamore. Il brano di apertura Edweena irrompe in una fragorosa esplosione di piatti, spianando la strada al solenne tema di apertura, sorretto da sovrapposte percussioni tribali. Raccapriccianti scioglilingua proiettano il tutto in una sorta di atmosfera rituale che viene bruscamente convertita in ben altro scenario; le percussioni svaniscono, una lugubre melodia di synth ricalca la geografia del limbo, unanima angustiata celebra la sua agonia. Oasi nellangoscia è il motivo seguente, un carillon di suoni delicati e atmosfere cosmiche sui quali una voce femminile delinea unapparizione virginea ma illusoria; riecco la trasfigurazione, lalternanza delle partiture imita le diverse fasi di una crisi esistenziale.
The Making of a Soul si apre con un secco fraseggio di sax, sorretto da un incalzante tappeto di piano e percussioni; anche in questo caso un brusco cambio di registro scaraventa il tutto in unatmosfera rarefatta; una voce debole e lamentosa guaisce sulle fragili note di un pianoforte riverberato; è la seduzione dellabbandono. Poi, come di rito, una breve reprise del brano di apertura, una filastrocca, qualche attimo di silenzio ed un nuovo scenario; unallegra danza macabra, un valzer elettronico per anime castigate. Il cantato snervato languisce fino alla solenne chiusura; un cheese sdentato allobiettivo della fotocamera luciferina.
Il terzo brano, Ships a Going Down è una summa di frammenti eterogenei; linnocenza dei fiati dapertura e latmosfera quasi idillica è commuovente. Presto prorompe una sonata maledetta, unaria da giostra deserta; la voce rauca irruvidisce la composizione; il tutto è alternato a zampilli corali e digressioni a tono documentaristico. Lultima parte, al contrario, è contraddistinta da una disperata sovrapposizione di voci lancinanti, libere di muoversi fra i severi confini di una melodia estremamente drammatica; la manifestazione dellineluttabilità ed il sommo grido di pietà.
Una breve tregua ci è offerta dal quarto brano Never Known Questions, un avanzo di trasparenza; la ballata del buonsenso si esprime in un ritmo lento e sensuale, una linea vocale quasi infantile ma molto efficace, una sovrapposizione di tracce ben equilibrata, un pianoforte stonato di una fragilità toccante. E qui che avviene il passaggio dalla consapevolezza alla rassegnazione; dopo una breve parentesi parlata sottesa a poche solubili note di piano riverberato, ecco esplodere il tema finale in tutta la sua magnificenza. La marcia è pomposa ma altresì morbida e delicata; un timido contrappunto nel quale spicca il sordo barrito del sax a dettarne la metrica.
Epilogue è un palco ormai svuotato di ogni suo artificio scenico. Le maschere invocate in precedenza hanno esaurito la loro forza vitale; sono stanche di recitare. Rimane solo il tempo per una breve ripresa del brano dapertura Edweena, quasi a voler sottintendere la ciclicità della vita e che tutto non è perduto finché abbiamo la possibilità di ricominciare da capo; la voce di un fanciullo sancisce tale speranza.
Il capolavoro è quasi compiuto e mi soggiunge un pensiero: sono passati circa trentanni dalluscita di questo disco e le strade battute allora sono esattamente le stesse che calpestiamo adesso. Forse la via dellassoluzione è davvero non disponibile? Un ultima carezza di arpa ed il sipario è calato.
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