Ramona Falls
Intuit
Avanti con l’avant. In un anno che ha già dato qualche opera degna di nota nell’ambito della complicazione ‘avant-freak-folk’ (DM Stith, almeno), Brent Knopf, da Portland, decide di inaugurare un progetto parallelo a quello dei Menomena, di cui è una delle tre teste pensanti, che proprio nelle increspature del songwriting sperimentale, quasi a mo’ di sanguisuga, voracemente, si insinua.
L’invenzione targata Knopf del digital looping recorder (o deeler), marchingegno diventato cruciale per la fase compositiva dei Menomena, giacché permette a ciascun musicista di inserire una propria idea musicale su una base di metronomo e di eternarla in loop, consentendo somma democraticità a livello di scrittura, riversa anche su questo disco la sua influenza: tutte le canzoni presentano una struttura simile, che si articola attorno un fraseggio iniziale fisso (piano o chitarra) poi continuamente decorato di complicazioni e varianti. Ne esce un disco che si costruisce sulle stratificazioni, sulle aggiunte, su saliscendi di livelli e spessori, creando una dimensione sonora densissima su cui viaggiare quasi in 3D, alla ricerca di anfratti nascosti e dettagli nuovi all’interno di un sistema che le ripetizioni e i loop rendono diabolicamente chiuso.
I pregi di Knopf sono di non rendere nient’affatto ermetico l’effetto finale, poiché l’istinto melodico è sempre molto spiccato, e di non cadere in iper-cerebralità o, al contrario, in eccessi di limpidezza che soffochino il desiderio di ri-ascoltare il disco. Qui la progressione ipnotica dei pezzi, come una girandola che vortichi senza stop con cambi di direzioni inclusi, ha dell’infernale e del magico assieme, per ossessività e fantasia (vd. copertina), sicché la volontà di ripartire da capo si alimenta da sé, per inerzia di fascinazione.
Così è irresistibile perdersi negli intarsi piano/chitarra sincopati e nel crescendo di “Melectric”, o nel turn-over da Death Cab For Cutie votatisi al disordine di “Clover”, mentre “Russia” appare l’apice melodico esaltato da una teoria maestosa di varianti (tastiere, violini, synth, piano) che deviano e scombinano a furia di sovrimpressioni il giro di base. Il trucco del cambio di ritmo è vistosissimo in “Always Right”, che pencola tra cabaret da café-chantant e indie rock metallico, dimostrando qualche muscolo che torna qua e là, come nei passaggi scartavetranti di “I Say Fever” (Cloud Cult, Beck).
Il laboratorio compositivo di Knopf, nel suo stra-uso di miscugli e fusioni, produce fumi che allucinano con piacere (“Bellyfulla”, “Going Once, Going Twice”), senza impedire che sia una pulita associazione chitarra-voce, in chiusura (“Diamond Shovel”), a dare uguali sensazioni (dove sei, Bon Iver?), dimostrando che il talento del MacGyver di Portland prescinde dalle diavolerie in fase di produzione. Più che un intuito, “Intuit”. Per chi ama l’ascoltabilità pop boicottata da piccole e festose complicazioni, poi, una manna.
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Myspace: www.myspace.com/ramonafalls
Qui Brent Knopf mostra l'uso del deeler per la composizione di "Going Once, Going Twice": www.youtube.com/watch
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