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R Recensione

7/10

General Strike

Danger In Paradise - Ristampa 2012

Danger In Paradise” fece la sua comparsa nell’ormai lontano 1984, solo su cassetta, grazie alla Touch. Dietro il progetto General Strike c’erano Steve Beresford e David Toop, il primo arrangiatore nonché trombettista, il secondo curatore del suono. Dopo quella veloce quanto anonima pubblicazione, nel 1996 fu la volta dell’edizione in CD per la Piano e solo oggi possiamo ascoltare questo disco rimasterizzato da David Cunningham in vinile o in digitale grazie all’intenso lavoro di riscoperta operato dalla francese Staubgold. Se pensiamo che le registrazioni dell’album cominciarono nel settembre 1979, e lasciamo fare i conti a chi li sa fare, questo disco suona ancora giovane. Ad essere puntigliosi si potrebbero scoprire sonorità che oggi sono il tratto caratterizzante di Architecture In Helsinki, Björk, Grace Jones, Ellen Allien, Autofant, Matthew Herbert e tanti altri ancora. Sono convinto che l’influenza di questo disco sugli artisti menzionati sia stata nulla ma certamente ci offre una gradevole finestra sull’avanguardia europea dei primi anni Ottanta, oscurati dal mito new wave e poi dalla plastificazione del pop sintetico.

L’atmosfera fantascientifica che impregna il lavoro proviene dagli esperimenti elettronici di Lejaren Hiller, Oskar Sala e Bernard Hermann, fino a giungere al rapporto Dracula/Frankenstein di Moritz Eggert. Sin da “My Other Body”, passando per “The Fatal Glass” e “Next Day”, il suono analogico tratteggia uno scenario tecnologico assimilabile a quello della Guerra Fredda, fatto di tichettii, sgommate, scordature, infezioni, immersioni, pause, battiti, cigolii e dilatazioni, cercando sempre di mantenere un’aura di armonia che dia slancio e vanità al tutto. Da “Babycart To Hell” a “The Barkless Dog”, passando ancora per “Snowdrops”, il mood si fa decisamente scalcinato, con rimandi alla musique concrète, tanto che se non ci fosse quel basso un po’ dub (come in “Interplanetary Dub”), i brani sarebbero dei meri esercizi di stile. Da “Interplanetary Music” a “We Travel The Spaceways” abbiamo la prima vera svolta di “Danger In Paradise”: il sottobosco culturale è quello di George Pal (“L’Uomo Che Visse Nel Futuro”) e Robert Wise (“Ultimatum Alla Terra”), e con uno stile musicale vicino a Raymond Scott e alla sua musica per l’infanzia, i General Strike si incamminano nello spazio interstellare a caccia del paradiso celeste. Stesso discorso per “Parts Of My Body” e “Bamboo House Of Dolls”, con computer costruiti a mo’ di Blackwell Tower che combattono gli alieni con la sola forza della trigonometria. Queste sonorità tanto vintage si sposano con l’immaginario degli odierni pixels e di tutta quella corrente 8-bit (chiptune, cirtcuit bending e micromusic) che negli ultimi anni ha monopolizzato l’arte della videoinstallazione. Con “Friendless Animals” il tono dell’album torna prettamente avanguardistico, tanto che in “Sea Hunt” e “Guided Missiles” la trama compositiva viene quasi interamente delegata ad un riuscito collage di tromba e rumori vari, con voci in falsetto che mimano la disco music. Arriva solo alla fine la title-track in un pinzimonio di glockenspiel, percussioni, organo Farfisa, diamonica, chitarra preparata, sintetizzatori Prophet, flicorno e drumkit.

Figlio delle esposizioni universali che dispensavano alle persone pillole di ottimismo, questo “Danger In Paradise” è uno straordinario compendio di suoni galattici dell’era atomica, che di primo acchito è catalogabile come uno scherzo, un divertissement, ma che in realtà offre, con humour, un panorama suggestivo della regressione europea con particolare attenzione alla scienza e alle sue promesse non mantenute.

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Voto degli utenti: 8/10 in media su 2 voti.
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paolo gazzola (ha votato 9 questo disco) alle 10:51 del 28 marzo 2012 ha scritto:

Me lo sono riascoltato ieri sera, ché me lo ricordavo un disco assurdo… e infatti. Ci fosse andato un altro Armstrong, sulla luna, avrebbe suonato, poi, della roba così. Ambient non so di che ambiente, cazzeggi jazz in pantofole, dub da Grillo Parlante, minimalismo post-punk, toy music piena di grazia. E quel costante alone di avanguardia che, comunque, ucciderebbe più di un ascoltatore. Il tutto come se venisse direttamente da Madre Natura, mica dall’uomo. Insomma, una delle cose più originali e lungimiranti uscite, senza far rumore, in quel periodo. La doppia cover di “Interplanetary Music” di Sun Ra, insieme con l’U.F.O. sul retro copertina, dicono bene di quanto alieno sia ‘sto disco. Non so come suoni questa ristampa. La mia è quella in CD del ’95, voto quella!