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R Recensione

8/10

Synusonde

Yug

Synusonde è un progetto firmato da Paolo F. Bragaglia, compositore dalle spiccate tendenze acusmatiche, e Matteo Ramon Arevalos, pianista espressionista. Partiamo dal fatto che il nome del progetto rimanda all’onda sinusoidale, madre della musica contemporanea elettronica che, dall’Istituto di Fonologia della RAI di Milano all’IRCAM di Parigi, passando per l’Internationales Musikinstitut di Darmstadt e l’Instituut voor Sonologie di Utrecht ha permesso a grandi musicisti come Pierre Boulez, Luciano Berio, Hans Kox o Karlheinz Stockhausen di rivoluzionare l’idea di suono nel XX secolo. “Yug” mi obbliga dunque a tirare in ballo nomi grossi della musica, rischiando per questo di proporre confronti improponibili. La verità è che questo primo disco del duo italico dimostra una solida conoscenza delle avanguardie nonché un profondo e appassionato studio delle nuove tendenze. Non a caso entrambi gli artisti possiedono un curriculum di tutto rispetto nei quali è possibile leggere i nomi di Jonny Greenwood, Morton Feldman, Howie B, Olivier Messiaen e György Ligeti.

Il disco si apre con “Motetus”, esempio di addizione musicale figlio della ben più antica pratica liturgica del tropo: al suono dato dal beat vengono via via aggiunti elementi contrastanti come il contrappunto. In “Allsaintz” parte la maratona minimale tanto cara a Steve Reich e Terry Riley; su un tappeto spesso immobile di archi vengono a sfumare rapide toccate di piano preparato. Dopo il breve computer modeling della title-track si arriva a “Mahler”, di certo lontana dal “Der Titan” del maestro austriaco, eppure traccia maestosa perché esponente di un rinnovato ideale di musique d’ameublement. Quando si giunge a “DoD” si intuisce il peso elettroacustico del progetto Synusonde giacché l’amalgama di accordi pianistici e frequenze ambientali è perfetto, come nelle “Cinque Sintesi Radiofoniche” di Marinetti. Il gusto per la melodia esplode poi in “Locust”, composizione dinamica sporcata qui e là dal glitch e da un vago retrogusto illbient. Con “Cannon” abbiamo invece un lavoro encomiabile dal punto di vista della pulizia dei suoni: un’ampia panoramica tra i canali permette agli FX di interagire spazialmente con l’ambiente circostante, quasi fossimo in ottofonia.

È solo con “Luv” che prendiamo confidenza col violoncello, qui portato alle sue estreme conseguenze da un ottimo lavorio in fase di mixaggio: musica ambient che cerca un compromesso con la tradizione classica, arrivando infine ad una sorta di soundtrack cinematografica. Ancora sorprese in “Shadowline” dove il buon Bruno Perrault saggia le sue competenze alle onde martenot, uno strano aggeggio musicale nato dalle ceneri del più noto theremin. Il miscuglio di rumore bianco e pianoforte, di sinusoidi e denti di sega, dà vita ad un affascinante ibrido con momenti di tensione elettronica spezzati da carezze analogiche. “Motetus II” segue il filo conduttore della composizione additiva mentre “Lontano” si inerpica sul sentiero tracciato dai grandi maestri dell’elettronica come Iannis Xenakis, Pierre Schaeffer, Mauricio Kagel o Henri Pousseur. Alla fine arriva un rework di “Cannon” in versione décollage, con chiari riferimenti agli esperimenti di Zappa e Varèse.

Trovo che “Yug” sia un ottimo disco, una mirabile evoluzione di quella che viene chiamata, non senza errore, musica contemporanea. I Synusonde tentano per tutto il tempo di rinchiudere l’astrazione avanguardistica all’interno dei canoni della musica popolare e, a mio avviso, ci riescono con grande perizia e con un’estetica rarissima.

V Voti

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