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R Recensione

7,5/10

Bent Knee

Say so

Dire che fanno art –rock è poco più che affermare che suonano”. Le parole di un critico musicale statunitense esprimono bene la difficoltà di etichettare la musica dei Bent Knee, nuovo fenomeno della scena musicale avant statunitense, partiti da Boston ed osannati dalla stampa specializzata, nonché oggetto di un inusuale endorsement da parte di una compagnia vicina alla Cuneiform per cui incidono, la Moon June di Leonardo Pavkovic. Il sestetto sfugge alle ovvie e plausibili definizioni già a partire dalla line up, che include un violinista, Chris Baum, e dal vivo schiera una giunonica front woman tastierista e cantante dalle doti vocali non comuni, Courtney Swain, davanti  a sezione ritmica (Gavin Wallace-Ailsworth e Jessica Kion), chitarre e tastiere (Ben Levin e Vince Welch). Se poi si affronta l’ascolto di “Say so” terza prova su cd dopo l’esordio del 2011 ed il seguente “Shiny Eyed Babies”, si deve scegliere di fronte ad un bivio:dotarsi di una pesante cassetta degli attrezzi critica per tentare di descrivere il patchwork di stili, umori e climi sonori che compongono la proposta del gruppo, oppure semplicemente lasciarsi trasportare da un flusso musicale coinvolgente ed avvincente senza porsi problemi di interpretazione. Avendole provate entrambe, a seconda delle circostanze di ascolto, non viene comunque meno la voglia di abbozzare una descrizione, che è poi il fine e lo scopo di queste righe rivolte a chi quel bivio deve ancora varcare. E allora partiamo dai dati più elementari da mettere in fila.

Innanzitutto l’espressiva voce della Swain che domina “Say so” dalla prima all’ultima traccia, trasformandosi in canto, coro, sussurro o grida, e la cui espressività sfrontata ed aggressiva diventa elemento strutturale delle canzoni. Quindi, un’ evidente propensione per l’uso degli ostinati ritmici che sostengono le elaborate evoluzioni canore e quelle, più controllate, degli strumenti. Infine, una moderata profusione di aromi progressive e di melodie di stampo orientale. Elementi che si ritrovano al completo in Leak water” che immerge un phrasing debitore di Joni Mitchell in un largo lago prog, o nelle acide atmosfere e nel climax cangiante di “Commercial”, o ancora nelle declamazioni corali seguite da autentiche esplosioni noise di “Counselor”, o ancora nelle pacate recitazioni dell’inziale “Black tar water”, che si potrebbe immaginare estratta dal repertorio di Anthony. Se un’anima jazz abita “Nakami”, prima di un’ imprevedibile trasformazione in funky groove, “The thing you love” è una eterea e straniata ballad sostenuta da un refrain vocale avvolgente che si conclude in un moloch corale, l’essenza di “Hand down girl” è quella di una scandita e scattante pop song, e la finale “Good girl” si sviluppa come uno slow su una base di chitarre bluesy. Lascio per ultima “Eve” perché in questo caso sono a corto di aggettivi: in nove minuti succede di tutto, dall’estasi alla furia sonora fino al cabaret, un pezzo che gli stessi Bent Knee definiscono epico, radicale e pieno di svolte e torsioni. Eccola, la definizione tanto a lungo cercata per questa musica: bastava chiederla a loro.

V Voti

Voto degli utenti: 7/10 in media su 5 voti.
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GiuliaG 8,5/10
luca.r 7,5/10

C Commenti

Ci sono 4 commenti. Partecipa anche tu alla discussione!
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Utente non più registrato alle 20:27 del 3 luglio 2016 ha scritto:

Eheheh...Uno dei gruppi più interessanti...

Sabato 30 Luglio alle ore 21.30 Casa di Alex Milano

woodjack (ha votato 6 questo disco) alle 9:49 del 4 luglio 2016 ha scritto:

uno dei più prog! o meglio, uno dei pochi che riesce a tener vive certe istanze del genere senza scadere nel revivalismo. Ho ascoltato il disco solo 2 volte... è indubbiamente un lavoro di grande classe e maestria, l'unica impressione negativa è che ho percepito un livello di tensione emozionale più basso rispetto alla prova precedente, certo più prolissa e irregolare, ma per questo caratterizzata da maggiore spontaneità, forza e pathos. Ripasso per il voto, che comunque sarà positivo.

Utente non più registrato alle 14:31 del 4 luglio 2016 ha scritto:

Già, sicuramente uno dei più prog...e non sono così pochi... di revivalismo poi ce né dappertutto...

Me li godrò anche dal vivo.

woodjack (ha votato 6 questo disco) alle 19:32 del 4 luglio 2016 ha scritto:

"di revivalismo poi ce né dappertutto" >> certo, e quello più didascalico - chiamiamolo così - lo trovo di una noia mortale, che sia di marca psichedelica o new-wave. Il gioco si fa più duro però quando si ha a che fare con un linguaggio per sua natura complesso e dalla gestione degli equilibri problematica come quello progressivo, insomma il rischio del pasticcio, della trombonata, della musica che si suona addosso, è più elevato (o - se ti piace di più - semplicemente più evidente). Loro sono bravi ad evitarlo, anche in virtù del fatto che, come i più colti gruppi prog del passato, si nutrono di un ventaglio di influenze ampio (come è stato sottolineato nella recensione) e usano certe sintassi come mezzo e non come fine del loro discorso. Quanto al dato numerico, non dubito che tu sia più ferrato di me in materia, diciamo che io non ne conosco tanti di gruppi così