R Recensione

8/10

Marnie Stern

In Advance Of The Broken Arm

Un paio d’anni fa uscì un album che lasciò basiti molti, per struttura e composizione, entrambe orientate in chiave avanguardistica. Ancora oggi sconosciuto ai più, verrà probabilmente riscoperto solo tra qualche anno. Il disco in questione prendeva nome Ov e fu realizzato dagli Orthrelm, un duo (Mick Barr e Josh Blair) che con quell’opera si dilettò a mischiare rock e metal in chiave jazz e progressive, con un ‘impronta minimalista alienante e straniata.

Ecco, ascoltando questo esordio di Marnie Stern la prima cosa che viene in mente è proprio quel controverso album: stessi sonorità, la medesima volontà di sorprendere e di creare qualcosa di surreale e ipnotico. Attraverso questo impasto sonoro la Stern trova comunque una via personale tornando al formato canzone, creando una sua personalissima interpretazione del pop che può rimandare alle melodie fratturate dei Fiery Furnaces come alle folli scorribande sonore degli Hella.

Se a questo mix aggiungete un timbro vocale non troppo dissimile da quello di Karen O degli Yeah Yeah Yeahs ed una forte predisposizione al punk (inteso come sia come volontà di innovazione che come ardore giovanile) converrete con noi si sta maneggiando una miscela sonora che spiazza. E che può bruciare.

Le melodie e i ritornelli sono distorti e offuscati, a volte completamente assenti, e lasciano ampio spazio a sfoghi creativi inebrianti (Precious Metal). La canzone “classica” viene completamente smontata, destrutturata e poi rimontata in formato accelerato con l’accensione di continui cambi ritmici che riportano alla mente i Mars Volta. In mezzo a questo calderone di suoni e ritmi fioccano qua e là spunti di noise (Logical Volume, Absorb Those Numbers, Healer).

Su tutto prevale la voglia di correre, al massimo, di spingere a tavoletta senza mai fermarsi a riflettere sulle conseguenze. Ciò ne esce è un impasto abrasivo e progressivo, accelerato oltremisura fino a divenire irriconoscibile, sempre sull’urlo della nevrosi isterica e a lambire coraggiosamente pericolose ampollosità gratuite.

Eppure, ogni volta che la perizia tecnica risulta sterilmente fine a sé stessa, un improvviso ritorno a sonorità rock convenzionali riporta lo spiazzato ascoltatore su binari scorrevoli (come in This American Life e Plato’s Fucked Up Cave).

Altrove, assoli e riff di chitarra più consueti, hanno l’occasione di far risuonare la propria,rilucente, presenza: come in Every Single Line Means Something e Letters From Rimbaud, i due brani più “convezionali della raccolta”. All’opposto estremo dello spettro espressivo l’anarchia improvvisativa, quasi jazzistica, di The Weight Of A Rock e Grapefruit.

E In Advance Of The Broken Arm resta sempre lì, perennemente in bilico tra avanguardia schizofrenica e rimandi ad un passato prossimo riletto con una lente deformante: ne viene fuori un esordio coraggioso e a tratti sorprendente, che merita sicuramente di trovare spazio nel vostro stereo, di fronte a cui è difficile restare indifferenti o dissimulare un muto stupore.

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Voto degli utenti: 6/10 in media su 2 voti.
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