V Video

R Recensione

8/10

These New Puritans

Field of Reeds

Prosegue la corsa verso l'autismo da parte di Jack Barnett e della sua band. Chi trovò pesante "Hidden", pur con la sua forte componente ritmica, farebbe bene a stare alla larga da questa nuova prova. Che in tutta onestà un po' stancante lo è, basti dire che di nove brani (per 53 minuti di durata), soltanto tre fanno un utilizzo significativo della batteria. La cosa è shockante se appunto si considera che l'album precedente era un assalto di tamburi minacciosi, roba da trincea. Molti dei nuovi pezzi si limitano invece a far scorrere le nenie vocali di Barnett fra tastiere, pianoforte, vibrafoni, cori e orchestra.

A riportare l'ascoltatore in casa sono alcune costanti, ormai marchi di fabbrica dell'autore: il timbro oscuro, i rimandi alla musica classica, gli arrangiamenti corali. Insomma, nonostante il sorprendente svuotamento ritmico, "Field of Reeds" è la legittima, naturale (e estremizzata) prosecuzione di "Hidden"

L'album ci permette di collocare i These New Puritans nel calderone dei musicisti che negli ultimi decenni hanno tentato un connubio fra sperimentazione e spiritualità, cosmo e intimismo. Vengono in mente Phil Elvrum e i suoi Microphones con la sinfonia di "Mount Eerie", la musica al rallentatore dei Bark Psychosis (il cui leader, Graham Sutton, è non a caso co-produttore di questo disco), le prove più recenti di cantautori estremi e solitari come David Sylvian e Scott Walker. Non cercate di rintracciare questi nomi in "Field of Reeds" però, il giochino del minestrone in questo caso non funziona: si sta semplicemente cercando di indicare un mood, comune fra un certo tipo di artisti. Musica opprimente ma al contempo riflessiva, oscura ma non gotica.

Volendo scovare dei rimandi diretti si fa prima a cercare nella classica: il minimalismo di Philip Glass certamente, ma anche gli ostici paesaggi di Ligeti, le eteree strutture orchestrali di Debussy, il senso melodico dei compositori rinascimentali inglesi come William Byrd e Thomas Tallis, dichiarati pallini di Barnett.

Partorito dopo sfiancanti sessioni in studio, in cui pare che Barnett abbia fatto impazzire i propri collaboratori a suon di richieste e aggiustamenti, "Field of Reeds" non ha la compattezza di "Hidden", né la forza d'impatto o la carica innovativa. Riesce però a sfiorarne l'espressività e addirittura a superarne il rigore. Inoltre, a dispetto di un paio di momenti in cui la trascina un po' per le lunghe, contiene una manciata di grandi brani. 

"Fragment Two" è il singolo di lancio (si fa per dire, visto che l'album s'è fermato al numero 90 della classifica britannica), una sorta di ballata dalle tinte jazz, con batteria irregolare e corredo di musica da camera. "V (Island Song)" si apre con soli piano e voce, evolve in un diabolico bolero e defluisce infine in una coda di musica d'ambiente. "Organ Eternal", con il suo attacco melodico e minimalista, è probabilmente il pezzo più vivace dell'album (il che è tutto dire): ascoltata in cuffia rivela in pieno il labirinto mentale di Barnett, fra strati orchestrali, corali e elettronici. Un gioco di incastri totale fra melodie, riff, droni, armonia e cacofonia. Infine c'è la title-track, un colossale muro di voci fra le quali spicca quella di Adrian Peacock, a tenere note incredibilmente basse: un gorgo che inghiotte senza pietà. Si tratta del brano probabilmente più sofferto dell'album, a giudicare anche da come si contorce la voce di Barnett durante il suo sviluppo. Nel mio personale e perverso giochino di assonanze, mentre la ascolto mi viene da pensare alla "Preghiera di penitenza per la Russia" di Tchaikovsky (problemi miei suppongo).

Nota di fondo: da non perdere il videoclip abbinato a "Fragment Two", fra i più belli degli ultimi anni. Lo ha curato Daniel Askill, valente artista australiano già al fianco dei These New Puritans per l'inno "We Want War".

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C Commenti

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Marco_Biasio (ha votato 7,5 questo disco) alle 8:45 del 9 luglio 2013 ha scritto:

L'ammirazione per i risultati conseguiti va oltre quello che, secondo me, è il reale gradimento estetico del disco. Un disco per l'appunto difficile, sacrale e maestoso, ambiziosissimo, che raggiunge vette di grande espressività togliendo anziché aggiungere. Ne viene fuori un blocco eburneo di musica a tratti quasi concréte, performativa, qualcosa che assomiglia esteriormente al "flusso" ma che non ne condivide granché le caratteristiche intrinseche. Veramente incredibile il trittico The Light In Your Name - V (Island Song) - Spiral, musicalmente densissimo e inaffondabile. Io però continuo a preferire Hidden, che coniugava ardite sperimentazioni ad una grande musicalità di fondo. Qui si va oltre, anche molto oltre il concetto di "musicalità", ed il rischio - da parte mia - è che tutto si trasformi in un vacuo apprezzamento formale, svuotato di contenuto. Incredibile la loro crescita, comunque. Spaventosa, per certi versi...

FrancescoB (ha votato 7,5 questo disco) alle 8:57 del 9 luglio 2013 ha scritto:

Quoto parola per parola l'intervento di Marco. Il disco ha un fascino oscuro e pressante, è immaginifico e ambizioso. Forse a livello di scrittura melodica ogni tanto annaspa, non è semplice cogliere sfumature e meccanismi. Il risultato resta appagante.

Molto bella la recensione.

Cas (ha votato 8,5 questo disco) alle 9:58 del 9 luglio 2013 ha scritto:

Recensione azzeccatissima, soprattutto per le delucidazioni riguardo alle componenti classiche che sono ingrediente fodamentale di questo Field of Reeds (aggiungerei anche il fascino sinistro di un Varèse). Un lavoro che si spinge oltre il superbo predecessore, si lancia in una prova ancora più coraggiosa, sebbene l'impatto emozionale risulti un pochino stemperato (Hidden continua a rimanere il loro lavoro che preferisco). Poco male, per me il disco più affascinante e rivoluzionario dell'anno

target alle 10:59 del 9 luglio 2013 ha scritto:

Dico la mia bestialità, tanto per confermare che alla fine il più rozzo di tutti sono io: il pezzo più bello dei These New Puritans resta "Elvis". Qua "Fragment Two" è una signora canzone. Il resto è troppo pesante per me. E, a parte alcuni momenti ("V", "Organ Eternal"), non mi sembra neppure così interessante. Al me paese se ghe dise "alessandrinismo".

Franz Bungaro (ha votato 6,5 questo disco) alle 11:49 del 9 luglio 2013 ha scritto:

quasi mi vergognavo ad espormi, anche perché ultimamente mi sento così fuori sincro con il mondo che inizio a pensare di essere io il "matto", ma visto che c'è Target alloro mi sento un pò rincuorato e autorizzato anch'io a - parzialmente -dissentire dal sentimento comune...quoto (ma proprio) in toto, quello che dici, anche se al mio paese non credo neanche sappiano cosa voglia dire "alessandrinismo" Ormai sembra che basti piazzare un pianoforte in scena, fare le voci fighe, sognanti, tremolanti, due ricami di elettronica, e non puoi mai fallire. Ammetto di aver dato 2, massimo 3, ascolti all'album, ma finora mi risulta pesante come una ricca peperonata di zia. Io non avrei dato un 8 se avessi ritenuto un album "effettivamente un pò stancante". A me la musica regala energia (come farei senza!?!), non mi stanca mai (se mi piace, chiaro)

loson (ha votato 9 questo disco) alle 0:45 del 10 luglio 2013 ha scritto:

"Ormai sembra che basti piazzare un pianoforte in scena, fare le voci fighe, sognanti, tremolanti, due ricami di elettronica, e non puoi mai fallire." ---> Però 'ste semplificazioni, dai Franz... Se ti provoca dissenteria niente da dire, ma il disco è oggettivamente molto complesso, dalla concezione delle melodie a tutto l'apparato strumentale fino all'uso delle voci, mica la solita "indie-ata" che stai descrivendo tu. Almeno riconosciamogli questo, per dio...

Franz Bungaro (ha votato 6,5 questo disco) alle 9:57 del 10 luglio 2013 ha scritto:

si, hai ragione, non volevo sembrare troppo superficiale. Diciamo che l'impressione che ha fatto a me, è di un disco che si atteggia a capolavoro, quindi da capire, da sviscerare, da "filosofarci" sopra, quando poi alla fine tutto sto capolavoro non è. La stessa sensazione quest'anno l'ho provata con i Baustelle. Critici in ginocchio davanti al capolavoro italiano del millennio, quando poi alla fine è un gran pallume che si atteggia a capolavoro. Un paio di pezzi qui sono veramente validi, poi il resto è un contorno troppo pesante per me da digerire. Magari in pieno inverno, da novembre ad esempio, potrei rivalutarlo, ma ora come ora non mi va proprio di incupirmi perchè non ritengo ne valga la pena con questo disco. Li preferivo quando erano più matematicamente rocchettari, tipo in Beat Pyramid.

loson (ha votato 9 questo disco) alle 10:45 del 10 luglio 2013 ha scritto:

L'ultimo Baustelle manco l'ho ascoltato: mi sono bastati l'orripilante ciddì di tre anni fa e un'ascoltatina al primo singolo "Fantasmi" per decidere di lasciar pedere... XD Sulle tue sensazioni di fronte al disco non ho nulla da obiettare e sarebbe stupido farlo, ci tenevo solo a puntualizzare che stiamo parlando di un'opera - noiosa o stupenderrima, entrambi i giudizi sono plausibili - lontana eoni dall'approssimazione riscontrabile nel 90% della cosiddetta musica "sperimentale" odierna, sia essa improv, l'elettronica più "out", free-folk, drone music, avant-metal o che cavolo ne so... Non ho alcun timore di essere smentito - almeno stavolta - se affermo che questo è un disco indiscutibilmente complesso; e non mi riferisco a filosofeggiamenti sui significati intrinseci, di cui peraltro mi frega fino a un certo punto, ma proprio al dato musicale: progressioni armoniche come quelle di "The Light In Your Name" o "V" sono merce rarissima in campo popular, e lo stesso dicasi per le pariture così audaci di archi, fiati, organici da camera. cori... Ogni passaggio è studiato al millimetro ed è frutto d'inesauribile riflessione/ricerca. Che poi tutto questo possa essere percepito come intellettualismo ci può stare. Del resto, se non si ha un buon feeling con la musica "colta" (termine odioso) del '900 o coi riferimenti tirati in ballo finora, il rischio è proprio quello di rifiutarlo in blocco perchè "non-pop". Non penso sia il tuo caso (ricordo distintamente il tuo apprezzamento per Scott Walker da "Tilt" in avanti...), ma puoi sempre smentirmi. Ti piace Laughing Stock?

Franz Bungaro (ha votato 6,5 questo disco) alle 12:09 del 10 luglio 2013 ha scritto:

Provo a risponderti punto su punto

1)

per quanto riguarda i Baustelle, ti invidio. Io invece me lo sono sorbito più volte perchè mi volevo convincere che mi piacesse, mi sono invece fatto del male!

2) che questo disco sia complesso, può pure starci, ma non è detto che tutte le cose complesse poi siano apprezzabili. Al momento, complesso o meno, semplicemente non mi dice tanto (tolte due tracce sopraffine, "Fragment two" e "Organ Eternal")...potrei pure ricredermi in futuro, chissà.

3) Ricordi bene su Scott Walker. Ti rispondo con un laconico "si fa presto a dire Scott Walker". Non c'è una volta che non venga tirato per la giacchetta. In questo caso, più che lui mi sembra più appropriato tirare in ballo un Thom Yorke ingessato nella sperimentazione "pianofortronica" o degli ipotetici Baustelle d'oltremanica.

4) Per quanto riguarda "Laughing Stock", potrei pure salvarmi e fare una figura ottima andandolo a cercare su wikipedia, ma voglio essere onesto: ma non so di cosa parli Il confronto con te è impari, penso di conoscere a stento il 10% di quello che conosci te...

loson (ha votato 9 questo disco) alle 13:58 del 10 luglio 2013 ha scritto:

"non è detto che tutte le cose complesse poi siano apprezzabili" ---> Sacrosanta verità. Infatti nel rimarcarne la complessità ho premesso che quest'ultima nulla ha a che vedere con la bontà dell'opera. Tanti album "complessi" non mi piacciono (a partire proprio dall'ultimo di Walker, ti ricordi che ne parlammo? ). Questo disco può essere percepito come stracciamaroni o sublime, sono plausibili entrambe le letture, ciò che non è contestabile è soltanto che sia "complesso" a livello puramente musicale, tutto qui. Walker qui non credo sia citato a sproposito se il senso di quelle citazioni, come chiarisce anche Federico nella recensione, è ricostruire vaghe "affinità elettive" col materiale qui esaminato. Il Thom Yorke pianistico di Pyramid Song ce lo sento anch'io moltissimo. Mi rifiuto di credere che l'ultimo Baustelle abbia a che fare con questa roba, ti scongiuro non costringermi ad ascoltarmelo... ;D Da WikiLos: "Laughing Stock" è l'ultimo album dei Talk Talk, risale al '91, è recensito su SdM e l'ascolto è consigliatissimo. Confronto impari? Ma dove?

Marco_Biasio (ha votato 7,5 questo disco) alle 13:20 del 9 luglio 2013 ha scritto:

Mmm no, non è una bestialità, ci sta anzi. Bizantinismo e alessandrinismo per questi These New Puritans sono due termini che calzano, parecchio. Sicuramente c'è un po' di forzatura, come rileva Filippo (lo scarto tra Elvis e Island Song è veramente abissale, per dire) e molta cura del dettaglio, del vestito. Per me a tratti manca il corpo sotto il vestito, tutto qui, ed è questa la ragione per cui preferisco Hidden (Beat Pyramids non lo prendo nemmeno in considerazione). Professo', la loro più bella è We Want War però, dai!

FrancescoB (ha votato 7,5 questo disco) alle 12:05 del 9 luglio 2013 ha scritto:

Secondo me anche musica così complessa e cerebrale può avere il suo perché, e ce l'ha nel caso dei New Puritans. La musica a tratti sembra un po' paralizzata, un po' immobile e ampollosa. Ma rimane comunque densa, ambiziosa. Certamante l'impronta avanguardista ridimensiona la presa emotiva,e come ho detto dal mio punto di vista la scrittura melodica è bizantina e non sempre efficace, ma resto dell'idea che siamo alle soglie del capolavoro. Un 7,5 ci sta alla grande.

Filippo Maradei alle 12:56 del 9 luglio 2013 ha scritto:

Io devo ancora ascoltarlo bene (finora solo un ascolto intero), ma già "Fragment Two" - che dovrebbe essere il singolo, ed è importante scegliersi bene il singolo - non mi dice granché, né come musica né come video (perché sarebbe il video più bello degli ultimi anni? lo chiedo per pura curiosità). Detto francamente mi stanca. Marco parla (giustamente) di crescita: e se la loro fosse una parabola 'forzata'? Temo mi piacevano di più quando si prendevano molto meno sul serio... ma gli darò altri ascolti..

skyreader (ha votato 8 questo disco) alle 12:57 del 9 luglio 2013 ha scritto:

Felicissimo che qualcuno abbia recensito, in modo così efficace, un album dal fascino così magnetico di cui sentivo proprio il bisogno. Uno dei dischi in grado di ammaliare anima e cervello. Mi ero riproposto di recensirlo io qualora avesse latitato una recensione: sono in sintonia con le parole scritte e con l'emozione che esse esprimono, anche se in questa ulteriore evoluzione dei TNP (quasi irriconoscibili se confrontati con la band che ha dato origine a "Hidden"), avrei sicuramente tirato in ballo i Talk Talk di "Spirit Of Eden" o "Laughing Stock". L'eredità dell' "Eden sonoro" teorizzato da "quei" Talk Talk (anch'essi "altri" rispetto a ciò che fu loro percorso), trovi una grande consonanza estetica in questo "Fields Of Reeds": una ricchezza di timbriche conseguita attraverso un minimalismo che non vuole mai giocare al ribasso o alla mera essenzialità delle forme. Ok, un disco cerebrale che però, nella sua volontà di ardire, mette in movimento sentimenti e smarrimenti, senza relegarsi nei confini della pura razionalità. Da quando il coinvolgimento dell'intelletto è divenuto qualcosa da epurare e di cui vergognarsi? Questo album, ma che dico, questa musica è di una bellezza stupefacente ed evanescente, di una bellezza di cui questa nostra contemporaneità avrebbe proprio bisogno, pur non riconoscendo di averne. Se non altro per controbilanciare le sin troppe bellezze immediate chiamate a rappresentare e ad assecondare le frenetiche pulsazioni con le quali si muove e si scuote il mondo. Al di là della superficie sensibile, al di là di ciò che si tocca con mano, c'é dell'altro, non meno autentico, non meno vivo. Qualcosa di pienamente significativo. The Light In Your Name, Spiral, V (Island Song), Dream, Nothing Else parlano con un linguaggio metafisico che trascende i confini dei generi, proprio così come fecero i Talk Talk che avevano introiettato nelle loro epifanie musicali le avanguardie jazz degli Anni '70, il blues, la musica contemporanea, le intuizioni ambientali sottraendole dal predominio dell'elettronica... Lo Spirito (dell'Eden) non cessa di rivelarsi concreto e immanente, anche se sfugge alle abituali logiche di comprensione. Ma per capire spesso non è necessario fare ricorso alla materia grigia. Isn't it?

Lezabeth Scott alle 14:04 del 9 luglio 2013 ha scritto:

Ma non era questo il disco che avrebbe risollevato le sorti dell'uomo e della musica? Stockhausen + Radiohead più una marea di roba infarcita nel mezzo come una specie di enorme club sandwich?

loson (ha votato 9 questo disco) alle 14:30 del 9 luglio 2013 ha scritto:

Questo e Hidden sono due monumenti: continuo a preferire di poco Hidden, ma non è questo il punto. Di Field Of Reeds non saprei rinunciare a una nota una.

salvatore (ha votato 5,5 questo disco) alle 17:13 del 9 luglio 2013 ha scritto:

Mi autocito dal forum, visto che, nel frattempo, nulla è cambiato:"Questa volta mi sembra davvero di aver ascoltato un altro disco... Non me ne vogliate, ma per me siamo sulle soglie dell'inascoltabilità... Stockhausen, Stravinskij, Reich (nel frattempo, vedo che si sono aggiunti Tchaikovsky e Debussy)... Avete sicuramente ragione voi, ma è troppo (poco) per me... Come mi sento lontano... Tanto per dire, una "The light in your name", non è un brano, è una punizione...".

Alle mie orecchie, spocchioso e noioso e non vi trovo bellezza alcuna. Salvo "Fragment Two" che mi sembra l'unica canzone dell'album. Sorry... Ma forse la colpa è mia che mi spingo lì dove non dovrei. Chissà...

loson (ha votato 9 questo disco) alle 0:36 del 10 luglio 2013 ha scritto:

Sal, il bello è che nessuno ci obbliga ad ascoltare ciò che sentiamo in partenza "lontano" dalle nostre corde. Su questo e su altri forum sono stati fatti, settimane fa, i nomi di Scott Walker, dei Talk Talk di "Laughing Stock", senza contare una fetta considerevole di classica moderna e contemporanea che tu ben citi e che, appunto, è stata chiamata in causa come palese ispirazione. Che non si trattasse di un disco indie-pop era chiaro fin da subito, insomma, e quindi ci si può stupire solo fino a un certo punto dell'inaccessibilità di questo disco (anche se per me inaccessibile non lo è affatto, ma il mio background comprende anche le musiche di cui sopra...). Poi, chiaro, ognuno è libero di curiosare dove gli pare, e magari farsi un giretto su giostre prima snobbate. L'importante è non aspettarsi troppo, così da non esagerare al momento di elaborare la propria delusione (?) o semplicemente il proprio sacrosanto disgusto. Ovviamente scrivo tutto questo in amicizia, Sal, non prenderlo come un rimprovero o una polemica... Scusa anzi se ti sembra che sia intervenuto a sproposito...

salvatore (ha votato 5,5 questo disco) alle 15:13 del 10 luglio 2013 ha scritto:

Che rimprovero, polemiche o scuse... Ci mancherebbe! E poi tu puoi anche mandarmi a quel paese, ma resti mio amico comunque, che tu voglia o meno

Guarda Mat, io non voto mai dischi di musica jazz o - chessò - metal perché lì proprio non ci capisco niente e avrei serie difficoltà a considerare un lavoro buono o cattivo, anche a prescindere dal gusto personale per un genere. Qui è diverso perché l'impressione non è quella di non averlo completamente capito (anche se il dubbio c'é: per quello scrivevo che forse "mi spingo lì dove non dovrei"), ma quella di non averlo affatto digerito. Poi "Hidden" lo avevo ascoltato e relativamente apprezzato, quindi mi è sembrato naturale avvicinarmi anche a questo.

Certo non avrei mai recensito (e votato da recensore) un lavoro del genere perché mi mancano le competenze, ma quando si è trattato di elaborare il mio disappunto, da ascoltatore sicuramente poco esperto, ci ho dato dentro (cosa che ho fatto pure con l'ultimo Flaming Lips) perché, in fondo, è bello esprimere un parere anche da non esperto (cosa che mi succede quando, per esempio, guardo un dipinto o una scultura, non avendo una formazione di storico dell'arte) e, soprattutto, perché sono un ragazzaccio

salvatore (ha votato 5,5 questo disco) alle 15:28 del 10 luglio 2013 ha scritto:

PS. Quando dico "mi mancano le competenze" o "ascoltatore poco esperto", non lo faccio per crearmi un alibi e autorizzarmi a dire qualsiasi cosa (perché rileggendomi, mi do questa fastidiosa impressione, da solo), bensì perché sono del tutto consapevole dei miei limiti culturali, in determinati ambiti. Ed è alla luce di questi limiti che mi avvicino "selvaggiamente" alla musica

loson (ha votato 9 questo disco) alle 11:41 del 11 luglio 2013 ha scritto:

Ahahah, te possino... Mo' che posso replicare a un intervento così? A parte tutto, ci sei andato giù pesante, dai: "siamo sulle soglie dell'inascoltabilità", "una "The light in your name", non è un brano, è una punizione"... C'hai il porto d'armi per affermazioni come queste? Cmq va benissimo, mi piace questo Salvatore cattivello... Solo una cosa: non usare l'alibi dei Flaming Lips perchè non regge... Loro sono paladini di critica e pubblico indie (3 grammy vinti, ricordo un loro disco esordire addirittura nella top ten UK), vecchi tromboni che, a parte il guizzo di "Embryonic", propongono da anni la stessa minestra riscaldata, si lanciano in collaborazioni assurde su misura per il Pitchfork-kid e pubblicano anche i loro peti; i TNP sono ragazzini al terzo album, viaggiano al di fuori di qualsiasi moda/movimento/stile musicale che abbia anche un minimo di seguito o riscontro, le classifiche manco sanno come sono fatte e, se escludiamo recensioni spesso positive, hanno un pubblico infinitesimale rispetto a quello dei Flaming. Coi primi è quasi obbligatorio andarci giù pesante (anche se l'ultimo non l'ho trovato così orrendo, pur essendo cmq minestra riscaldata), coi secondi equivale a sparare sulla croce rossa. C'è un po' di differenza, abbi pazienza...

salvatore (ha votato 5,5 questo disco) alle 13:38 del 11 luglio 2013 ha scritto:

Che puoi replicare? Non saprei! Io sono un furbetto Niente porto d'armi (ma mio padre e mio fratello sono cacciatori - alla faccia del politicamente corretto -, deve essere una cosa genetica)... "The light in your name", però, è la cosa più tremendamente pesante e scomodamente fastidiosa che abbia ascoltato quest'anno. Un collage di cose che stridono (Volutamente? Ne sono sicuro, ma il risultato non mi piace) l'una con l'altra: il cantato di lui, le litanie di lei, quei rintocchi di pianoforte, quella cosa che sembrano vetri che si rompono. Mat, sì, concedimelo, una punizione Che poi ci siano ricerca sonora e riferimenti "nobili" mi interessa fino a un certo punto. Preferisco Paul McCartney a Wagner (e cito Wagner perchè lo ama mio fratello e periodicamente me lo fa ascoltare) perché, ad oggi, mi ha dato di più e ha dato di più alla mia idea (sconclusionata, forse, ma è così) di musica... Con i Flaming Lips non facevo un parallelo musicale - anche se l'impressione con entrambi è quella di artisti che si siano fatti prendere troppo la mano dal "siamo geniali, fatevene una ragione": io una ragione me la faccio, mi complimento pure, ma geniali non vi trovo - o di carriera. Mi riferivo al fatto di elaborare "spudoratamente" il mio scarsissimo apprezzamento, quando sento di farlo, al di là di ogni moda o corrente di pensiero (Per questo non mi sono posto il problema di "sparare sulla croce rossa"... Se una cosa non mi piace, non sto a farmi troppe dietrologie): inascoltabili "The Terror" e questo, e brutto "Embryonic"... Ecco, li trovo paurosamente vuoti. E comunque, mostro coraggio nel dire tutto ciò, in considerazione del fatto che 1 - non ho porto d'armi, 2 - conosci il mio indirizzo

FrancescoB (ha votato 7,5 questo disco) alle 14:47 del 10 luglio 2013 ha scritto:

Matteo ti quoto sulla questione complessità: avercene di lavori (peraltro questi sono quasi ragazzini o sbaglio?!) tanto coraggiosi, che esplorano le possibilità della musica con tanta lucidità visionaria. Insomma il discorso armonico e strutturale in genere, per quanto ne capisco io, è di grande fascino e complessità

L'album perde qualcosa alle voci intensità e godibilità, che rappresentano un po' gli altri parametri di riferimento (per me): non è accessibile e spesso la cerebralità prevale sull'emozione in se. Per questo lo considero grande, interessantissimo, coraggioso ma (secondo i miei parametri, ovvio) non sempre belllissimo e toccante, come riscescono invece ad essere altri lavori altrettanto coraggiosi, che raggiungono però l'equilibrio perfetto (Mount Eerie, Rock Bottom e pochi altri).

loson (ha votato 9 questo disco) alle 11:46 del 11 luglio 2013 ha scritto:

Il bello della musica è anche la diversa percezione che ognuno di noi ha dello stesso brano o album. Field Of Reeds in me tocca corde profondissime, mi emoziona proprio...

forever007 (ha votato 5,5 questo disco) alle 10:03 del 23 luglio 2013 ha scritto:

C'è qualche spruzzatina di musica classica qui è lì, ma resta comunque, secondo me, un normale Cd pop che non esplode quasi mai. Scusate la superficialità, ma avete già detto molte cose voi.

gull (ha votato 8 questo disco) alle 23:47 del 25 luglio 2013 ha scritto:

Mah, io di "Pop" ci sento davvero poco. L'ho ascoltato moltissimo. Musica che conquista piano piano, ascolto dopo ascolto. Ogni volta mi piace di più, colgo qualcosa, capisco un passaggio, mi scopro ad aspettare una frase musicale che mi sembra perfetta. Ecco, musica prodotta con una cura certosina, potenzialmente fredda, ma che poi non lo è. Originale come poca altra in circolazione. "V (island song)" la mia preferita, ma è bellissimo dall'inizio alla fine. Scarterei solo "Dream".

forever007 (ha votato 5,5 questo disco) alle 14:06 del 25 agosto 2013 ha scritto:

Sono in disaccordo completo soprattutto sulla questione dell'originalità, ma forse sono gusti.

Giuseppe Ienopoli alle 12:08 del 23 luglio 2013 ha scritto:

... effettivamente è il primo esempio ben riuscito di spray music vs tiger mosquitoes ... ideale per questa stagione! ... pertanto da ascoltare fino alle prime brume autunnali ... non oltre.

condor1972 alle 17:55 del 26 ottobre 2013 ha scritto:

invertendo la massima di Califfano potrei dire "a parte tutto il resto quest'album è noia. manca a parer mio una matrice portante, manca ritmo, mancano emozioni. Altro che opera cerebrale, ma chi sono questi "i Mothers of Invention?! direi un album "snob" alla ricerca di un senso che non ha. E noi siamo li a riempire pagine di commenti su qualcosa che non è classica non è jazz non è rock... è un calderone di stili che vuole affabulare l'ascoltatore riempirgli le orecchie di cerume musicale senza fine… vogliono spiazzarti con qualche ghirigoro musicale, qualche trovata presa dal progressive, dalla classica, dal jazz senza riuscire a convogliarlo in una linearità sonora che abbia una continuità musicale degna di "nota".

e proprio questo voler uscire dai generi e voler stupire a tutti i costi che porterà questi "puritans" inevitabilmente a rimanere nel marasma musicale di questi tempi. Saturazione sonora per il momento niente di più.

hiperwlt (ha votato 9 questo disco) alle 11:27 del 17 dicembre 2013 ha scritto:

Non mi ero ancora azzardato a commentarlo: mi sembra arrivato il momento. Credo che "Field of Reeds" sia una delle opere più ambiziose e coraggiose del nostri anni, metafisica pop curvata all'avanguardia e alla classica; un turbinio di disperazione e commozione (la componente emotiva) che si alterna ad estetiche asettiche ed estremamente razionali (quella cognitiva). I These New Puritans, mi sembra, hanno forzato i canoni estetici del pop oltre i limiti, e il risultato è un lavoro già senza tempo. Ammetto di essere entrato in rapporto simbiotico col disco: certe cose (come la title track) ho persino timore ad ascoltarle, talmente è forte il potere evocativo che mi suscitano. Il 9 lo concedo solo ai capolavori assoluti: "Field of Reeds", per quel che mi riguarda, lo è in ogni sua sfumatura.

Cas (ha votato 8,5 questo disco) alle 12:30 del 17 dicembre 2013 ha scritto:

chapeau, una sintesi perfetta del disco!

Lepo (ha votato 8,5 questo disco) alle 17:54 del 17 dicembre 2013 ha scritto:

Grandissimo album, in perfetto equilibrio tra sperimentazione ed emotività. La musica dei TNP è qualcosa di unico nel suo genere e in questi tempi di diffusa omologazione, ce n'è un gran bisogno.

NathanAdler77 (ha votato 8 questo disco) alle 19:58 del 31 dicembre 2013 ha scritto:

Un monolite di visionaria, radicale e metafisica bellezza, quasi la trasfigurazione sonora di un sogno kandinskijano: memorabile l'intersecarsi di musique concrète e avantgarde-pop da camera in "V-Island Song" e "Organ Eternal". "Nothing Else" sembra evaporare tra i Talk Talk più incorporei, Ligeti e un'ost di Nyman.

Lezabeth Scott alle 23:54 del primo gennaio 2014 ha scritto:

Ha vinto sia qui che a "Onda Rock": siamo ai limiti della consacrazione!

Simone Giorgio (ha votato 8,5 questo disco) alle 12:47 del 2 gennaio 2014 ha scritto:

ha vinto pure su XL!

Utente non più registrato alle 14:00 del 20 maggio 2014 ha scritto:

Gli ingredienti per un ottimo disco c'erano tutti, ma alla fine mi risulta un pò monocorde.

REBBY (ha votato 8,5 questo disco) alle 12:47 del 20 giugno 2014 ha scritto:

Rileggendo gli interventi fatti sotto le recensioni dei 2 album precedenti credo che l'ascolto della loro musica stimola in me doti divinatorie eheh

Quindi azzardo: non hanno ancora realizzato il loro capolavoro!

La progressione (geometrica?) sin qui realizzata da Barnett & Co. è impressionante, stordente ed antiossidante. Cibo per la mente, non per la pancia (che brontola eheh ), mancano gli zuccheri, le proteine e i grassi, non potrebbe essere altrimenti ghgh

Totalblamblam (ha votato 8,5 questo disco) alle 21:38 del 20 giugno 2014 ha scritto:

ma che sta a dì? senza zuccheri proteine e grassi la mente non lavora

REBBY (ha votato 8,5 questo disco) alle 1:07 del 21 giugno 2014 ha scritto:

Senza non si vive, quindi ovviamente non lavora anche la mente. Ma Non ho detto certo che bisogna ascoltare solo questo disco. La dieta variata è sempre la migliore ghgh

Cas (ha votato 8,5 questo disco) alle 20:07 del primo febbraio 2018 ha scritto:

Ho ascoltato questo pezzo e ci ho trovato incredibile affinità con la ricerca timbrica di questo disco. Non so se la band sia appassionata di musica polifonica del Cinquecento, ma sicuramente questo è un altro segno di quanto studio ci sia in Field of Reeds...