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R Recensione

7,5/10

Esma

The lost atoms

Tutto parte dal “Mantiq ut-Tair”, poema epico di Farid al-Din ‘Attar, mistico persiano vissuto nel XII secolo d.C. e autore di un’opera, ancor oggi rappresentata a teatro, in cui tutti gli uccelli del mondo si radunano per decidere chi sarà il loro re. Tra l’allegoria centrale di un dio e i maestri sufi, ogni uccello rappresenta un vizio umano che ostacola il raggiungimento dell’illuminazione spirituale. Così è pure in “The lost atoms” di Eugenio Squarcia, in arte Esma. Il disco, acerbo ma complesso, mischia diligentemente post-rock, musica d’avanguardia, drone e ambient, in una cornice di poesia sonora che non ha molti concorrenti nel sottobosco italiano, ma che ha dei maestri negli ambienti accademici di certa musica acusmatica. “The lost atoms” lo può ascoltare chiunque – è godibile all’orecchio – ma certamente svela significati più articolati, che vanno dall’antropologia alla fantascienza, dagli anacoreti di ieri agli asceti di oggi, in una sorta di esegesi dell’epoca più svogliata e pornografica di tutte, la nostra. Dove un tuffo nel sacro non può che esser salutare.

Si comincia con “Autarky of the water”, e le burrascose acque di un fiume, ora placide, raccontano il fluire dell’esistenza, come se questa fosse un conto a partita doppia: tutto ciò esce deve prima o poi rientrare, affinché il bilancio sia in pareggio, in ultima analisi. Dopo la cinematografica “Where light is dim” e l’elettronicissima “The white road” giungiamo sulle rive di “Somewhere 6AM”, in cui il tocco cageano si fa regola. C’è l’acqua, metafora del movimento eterno che tutto contiene, e c’è una specie di carillon che riporta l’immaginario agli anni felici dell’infanzia, con rumori che fanno presagire qualcosa di brutto. Non a caso il nostro grande Bruno Maderna disse: «Dopo John Cage saremo tutti cageani». I bambini, nell’accezione meno pura e stereotipata, tornano con “To a child dancing in the wind” (suonata da Jacques Lazzari) in una danza scorbutica, delirante, da manicomio infantile. Finalmente arriva il tema del disco, “No place for love and dream at all”, un tempestoso esperimento di musica concreta, con saette e progressioni, infernali frustate elettroniche e rilassate arie strumentali. Qui Esma fa vedere tutto il suo talento musicale, passando con carisma e fine intelletto dal violoncello al campionatore, dalle tecniche di registrazione a quelle di sampling. Dopo il classicismo di “Edge of reason and the age of prudence” siamo al secondo momento topico del disco, “Xibalba (the central atom)”, dove il cuore nudo del discorso di Squarcia viene fuori: il luogo dell’oltretomba maya è qui inconscio e subconscio, è trascendenza mista a meschinità, trance e paura. La dolcezza impavida di un pianoforte caratterizza “The shell”, mentre uno scalcinato balletto imperversa prima in “Two swans came flying up to him” e poi, con maggior saturazione, in “Like a storm in the bathtub”. Tra l’ossessiva e minimale “A window on J’s heart” e la leziosa bonus track “Hyperborea”, c’è la meravigliosa astrazione di “Approaching of the pneumatic void”, con un effetto di dilatazione che accompagna tutto il componimento, quasi fosse un aereo in fase di rullaggio o una rincorsa di elettroni da un atomo a un altro.

Che questi atomi siano gli ultimi, o definitivamente perduti, non ci è dato sapere. Con certezza sappiamo che Esma, giovane come me, ha talento e produce in quantità industriale, rischiando ogni volta qualcosa in più, azzardando teorie che non sappiamo se reggeranno ad un più attento esame critico. Ma “The last atoms” è intrinsecamente bello e conferma la mai sopita vitalità dei musicisti italiani di fronte al progresso dei suoni.

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