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R Recensione

8/10

Bancale

Frontiera

È una scritta di sangue caldo su una lapide questo Frontiera, esordio sulla lunga distanza dei bergamaschi Bancale. Una continuità distorta tra ciò che muore e ciò che vivrà ineluttabilmente grazie alla morte stessa, unica sovrana di un regno chiamato rinascita. C’è del feroce ottimismo, c’è poesia sudata e vivida, c’è terra e pietra, ma anche acqua e respiro.

Frontiera amplia e potenzia il discorso intrapreso nel 2009 con Bancale ep dai tre, che dilatano le proprie ambizioni, sia musicali che letterarie, e affidano parte del lavoro di produzione e mixaggio alla mente sapiente di Xabier Iriondo, alle prese pure con chitarre e elettronica in un paio di pezzi. L’opera in dieci fasi che ne viene fuori è sceneggiata dai testi raggelanti e dalla voce declamatoria, sofferente, ma mai arresa di Luca Vittorio Barachetti, dipinta dalle chitarre di Alessandro Adelio Rossi, e colorata (di scuro) dalla batteria e i rumorismi assortiti di Fabrizio Colombi. Un immaginifico viaggio concettuale che, poggiando su un fulcro di sporchissimo blues, esplode in più direzioni e si materializza in lenti post-rock, noise malati, sincronie folk, addentrandosi in territori che sfiorano tanto l’industrial quanto il cantautorato classico, in un’amalgama sonora incredibilmente coesa, profonda, granitica.

In più di un frangente è tangibile la lezione dei mai troppo lodati Six Minute War Madness (progetto dello stesso Iriondo consumatosi in tre atti più di dieci anni fa) e l’attitudine minimalista dei Bachi da Pietra. A differenza di questi ultimi, nei Bancale non c’è negazione o rifiuto, ma arricchimento, realtà tangibile, materia da disfare, plasmare, ricomporre. L’iniziale Randagio, trascinata tra le lamiere, è straziante ma non si nega la speranza. Lago del tempo, silenziosa e marziale, accetta l’apocalisse come contrappasso della natura sull’individuo. Altrettanto marziale, declamatoria, nitida, Cavalli prende a prestito sul finale la voce recitante di Pasolini, la breve Catrame cita il visionario scrittore Giuseppe Genna, e c’è addirittura Pavese nei tremolii sussurrati di Un paese.

Tra battiti industriali alla Einstürzende Neubauten (Calolzio), silenzi alternati a strazi vicini al grind (il delirio della title-track, le saturazioni di Corpo (giorno che scorno)), brillano di luce accecante Megattera, ipnotico cortocircuito sensoriale, e la finale, suprema Suonatore Cielo, l’urlo silenzioso di un Fossati frastornato.

“è il mio corpo una chiesa che guardo da fuori e guardandola immagino travi e muri portanti cadere sul peso svuotante di tarme e di ragni…” (Corpo(giorno che scorno))

Un ascolto per pochi, un disco poco più che enorme.

V Voti

Voto degli utenti: 6,3/10 in media su 5 voti.
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gull 8/10
emil_var 7,5/10

C Commenti

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farmerjohn alle 9:52 del 4 maggio 2011 ha scritto:

sono destinati alla grandezza, conosco l'ep

hiperwlt alle 10:13 del 4 maggio 2011 ha scritto:

beh, a questo punto (dopo "frontiera" e la recensione) me li ascolto. grande scritto, Daniele, as usual!

thinwhiteduke alle 13:32 del 4 maggio 2011 ha scritto:

yeah!

un ascolto per pochi...lo snobismo degli alternativi è arrivato a tal punto che meno sono le persone a cui può piacere un album, e più grande è il valore dello stesso. Come se la vera grandezza non fosse fare un suono che dia piacere senza per questo che abbia dovuto svendersi.

bargeld, autore, alle 14:00 del 4 maggio 2011 ha scritto:

In realtà nella mia considerazione finale c'è una punta di rammarico. L'ascolto del disco, certamente ostico, richiede dedizione, tempo, amore per la parola. Converrai che (fuori da questi lidi, beninteso) questa non sia esattamente la descrizione del fruitore di musica medio italiano. Magari fosse un ascolto per molti! Magari in radio passassero i Bancale tra gli Ovo e i Verme nella trasmissione di punta del pomeriggio! Io gioirei! D'altronde adoro i Radiohead, e mi pare siano un fenomeno di planetaria rilevanza...

p.s. grazie Mauro, gentilissimo, as usual!

thinwhiteduke alle 14:51 del 4 maggio 2011 ha scritto:

I radiohead di certo non piacciono a tutti, anche se sono un esempio azzeccato parlando di chi è riuscito davvero senza costi di qualità. Il problema qui è che questi non rientrano in questo genere di gruppi, innovativi, sperimentali, originali, ma sempre piacevoli da ascoltare. Certo è vero che l'ascoltatore medio italiano non ha grande apertura, e con molti anche i radiohead o gli arcade fire sarebbero mal giudicati, però almeno per quel che riguarda i Bancale, ho paura che il problema sia più del gruppo che della pigrizia o semplicemente della mancanza d'orecchio del pubblico italiano. Sembra che i nuovi artisti facciano i vezzosi, sembrano dire: "noi siamo inspirati, abbiamo il sentimento, non importa non essere capiti e non importa essere comunicativi, la colpa non è minimamente nostra ma di chi ci giudicherà" come se l'impegno non fosse tanto di chi fa un bel disco ma di chi saprà "tradurlo". A questo punto i veri artisti sono i recensori, che si sforzano in tutti i modi di trovare il perché e l'intima essenza di un album, a costo pure di metterci dentro più di quello che abbia davvero. E' una strana autoindulgenza quella del nuovo cantautorato come se l'attenzione alla forma significasse mistificare e non esaltare: è il desiderio folle di rendere ogni sentimento, in musica, con totale crudezza. Purtroppo io sento dei limiti in questo e non credo dipendano esclusivamente da me. Comunque, la recensione è un bel pezzo.

bargeld, autore, alle 15:39 del 4 maggio 2011 ha scritto:

Allora chiedo venia, credevo mi imputassi il fatto che, giudicando l'album in questione "ascolto per pochi", gli riconoscessi una sorta di ulteriore valore aggiunto. Invece tu puntavi il dito verso la band stessa (e in generale il cantautorato ad essa affine). E' un discorso sicuramente più complesso di quel che sembri. Dubito che una band di questo genere nasca con l'intento di piacere, e personalmente ritengo molto onesto non scendere ad alcun tipo di compromesso a favore della propria (personale) urgenza comunicativa, in qualunque forma essa si presenti. Ma poi, non so se davvero esistano musicisti o artisti in genere che possano godere e accontentarsi di contare tra i loro "fruitori" cerchie ristrettissime di menti illuminate. Fosse così, nemmeno invierebbero i loro demo alle testate giornalistiche, non metterebbero i loro video su youtube, non aprirebbero una pagina facebook. In questo senso c'è molta più chiusura mentale tra ascoltatori e recensori che tra musicisti (famoso il nerdissimo detto "i listen to bands that don't even exist yet"). Ti ringrazio per il parere positivo riguardo alla recensione, ma ti assicuro che l'unica cosa difficile è stata spiegare a parole mie un disco che, in quanto a suoni e testi, rasenta di suo la forma comunicativa più appropriata possibile per veicolare le idee che vuole esprimere. E credo che questa sia una delle sue peculiarità più positive.

thinwhiteduke alle 16:33 del 4 maggio 2011 ha scritto:

Ricordo che un tempo la musica era capace di alterare il mio umore, non so se rendo bene l'idea parlando di "mimetismo". Ormai non mi capita più di cambiare umore ascoltando bella musica. Quando riascolto i miei artisti preferiti provo lo stesso piacere di un tempo ma le sensazioni mancano -i've got the spirit, but lose the feeling. Questo forse mi permette di giudicare più seriamente un album, perché artisti preferiti o nuovi gruppi ad ascoltare bella musica provo comunque piacere ma forse per apprezzare al meglio alcuni artisti dovrei riuscire come prima a fare mie le emozioni trasmesse. ho paura però, che in questo momento di grande freddezza se un album non riesce a smuovermi nonostante questa apatia, non deve valere poi così tanto. Non so. In ogni caso sono contento che la scena indipendente italiana si così in fermento, prima o poi troverò il gruppo che fa al caso mio.

gull (ha votato 8 questo disco) alle 20:16 del 13 maggio 2011 ha scritto:

Quello che ho ascoltato su youtube mi piace, eccome!

L'impronta è molto "Bachi da Pietra", ma un certo smarcamento, anche nel modo di cantare, c'è!

Interessanti e viscerali.

L'ho appena ordinato (insieme al libro di Blatto che mi hai consigliato!).

Grazie per averli scovati.

bargeld, autore, alle 17:26 del 14 maggio 2011 ha scritto:

Sono molto contento, gull!

gull (ha votato 8 questo disco) alle 19:17 del 23 maggio 2011 ha scritto:

Ma quanto è bella la coda di "Megattera"!

bargeld, autore, alle 20:47 del 24 maggio 2011 ha scritto:

Simone, con te mi tolgo un sacco di soddisfazioni! Mare mare mare mare...

gull (ha votato 8 questo disco) alle 18:18 del 26 maggio 2011 ha scritto:

Allora, rispetto a quanto avevo ascoltato in rete (ho scoperto che quasi tutti i pezzi erano dell'ep di esordio, peraltro ottimi) devo dire che i Bancale hanno acquistato molta personalità e varietà di stile. L'inizio è splendido con "Randagio", "Un paese" e "Lago del tempo", esemplari e ricchissime di suggestioni ed arrangiamenti mirabili (la produzione è uno degli elementi vincenti del disco, a mio parere). La parte centrale, più ruvida e spigolosa, porta al finale magnifico, con "megattera", "cavalli" e "suonatore cielo", che adoro.

Disco certamente non facile, né musicalmente né per le liriche. Insomma, non è un cd da mettere in auto quando si viaggia con gli amici. Disco intimo e sofferto, profondo e riuscitissimo. Bravi davvero. Voto: 8.