Agalloch
The White
È un piccolo miracolo quello che sono riusciti a elaborare gli Agalloch con questo ep The white. Non tanto perché la band di Portland non sia stata capace in passato di regalare piccoli gioielli di tale brillantezza: Pale folklore (1998) o Ashes against the grain (2006) sono infatti lavori di enorme spessore che hanno qualificato il gruppo tra i punti di riferimento della fervida scena metal di questi ‘00s, comprendente nomi di livello come Baroness, Mastodon, Yakuza, High on Fire, System of a Down, Jesu e altri: gruppi a loro modo diversissimi e ognuno con proprie diversificazioni stilistiche, ma di fatto accomunati dalla comune origine metal e in grado di rinnovare con sapienza il genere verso nuovi lidi.
Gli Agalloch a sentirli oggi non sembrano neanche più una band metal. E pensando che fino all’altro ieri erano situabili in un incrocio tra black, death e doom oggi riesce davvero difficile identificarli in questo ep (che di fatto con i suoi 30 minuti è un lp neanche tanto mini) che si avventura in tutt’altri generi: neofolk prima di tutto. E qualcuno storcerà il naso perché il sottoscritto ignora forse che elementi di neofolk erano già presenti sparsi qua e là nei dischi precedenti. Mai però in simili quantità. Laddove prima erano elementi che andavano a impreziosire una trama decisamente metal ora è il contrario: il neofolk sembra essere diventata la vera natura degli Agalloch e le preminenze metal del passato sembrano essere diventate nient’altro che spunti isolati qua e là.
Quello che colpisce di più di questa tramutazione è però la capacità di conservare uno spirito metal pur suonando in maniera completamente diversa. E soprattutto spunta fuori una straordinaria capacità di scrivere ballate semi-acustiche malinconiche e poetiche in una maniera che ha sempre trovato spazio nell’epopea metal. Così il sapore nordico di Birch white riporta alla mente i Blind Guardian più epici mentre la grazia chitarristica che apre The isle of summer evoca le eleganti introduzioni felpate che Ulrich e Hetfield intrecciavano nel periodo Ride the Lightning-Master of Puppets. La differenza è che mentre i Metallica incantavano con leggiadria per poi arrivare al bombardamento rude gli Agalloch rinunciano alla violenza sonora rimanendo in un limbo di poesia fatata.
La stessa lirica ammaliante si fonde con un’effettistica psichedelica in Birch black, o rivela un’affinità romantica d’amore per la natura in Pantheist, stupendo brano che dopo una partenza soft sfodera un’appassionante e tragica galoppata.
Ma gli Agalloch non dimenticano l’origine oscura della propria musica e alternano questi idilli bucolici con elementi gotici: sono i sussurri e l’assolo apocalittico che accompagnano il folk di Sowilo rune, oppure lo scenario ambient-gothic in bilico tra Coil, Dead Can Dance e Have a Nice Life di Hollow stone.
Brani di fortissima intensità spirituale che trovano il loro compimento in Summerisle reprise: rintocchi di pianoforte riempiono lo spazio con sentimento ed espressività e la semplicità della litania si perde in un’atmosfera carica di incredibile intensità.
Spiritualità, natura e spleen. Questi i temi che trasmette il neofolk degli Agalloch. E diventa davvero impossibile rimanere indifferenti e non applaudire a questa straordinaria ode poetica. E altrettanto difficile è contenersi nell’elogiare questa svolta stilistica del gruppo.
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